Realtà artificiali
Creato il 12 gennaio 2014 da Claudia Stritof
Tema attuale, più che mai in questo periodo, è quello sull’artificiale. Questo, come facebook e le sue le immagini, sono temi che mi interessano molto. Ho deciso di riflettere sul tema, sempre e comunque attraverso il mondo dell’arte e come questo tema sia stato rappresentato nell’arte contemporanea, prendendo un campione di cinque artisti, a mio giudizio molto bravi e interessanti. Realtà Artificiali vuole essere una riflessione critica sulla società contemporanea e sui meccanismi che la governano. Ho deciso di utilizzare un ossimoro nel titolo: da una parte la realtà intesa come ambiente in cui viviamo, dall’altra una realtà che ormai è diventata un suo surrogato, una realtà che attraverso la ripetizione e la ricerca di valori futili ha imitato sé stessa ed è diventata pura forma, creando un paradosso tra ciò che comunemente intendiamo come natura e come artificio.
I social network sono un fenomeno di fondamentale importanza sia nella ridefinizione dell’individuo sia nello sviluppo della comunità globale poiché il proprio corpo e il proprio “io” diventano un avatar che creiamo per socializzare; ciò che conta in questi mondi virtuali è l’apparenza: solitamente non modellata sul proprio essere, ma ridefinita attraverso l’immedesimazione in corpi altrui già ben codificati e accettati per essere credibili nella collettività.
Freud nei suoi saggi sull’arte citava l’immedesimazione dell’attore e dello spettatore nel personaggio rappresentato. Lo spettatore vivendo la sua vita banalmente e poco intensamente, grazie al teatro, aveva la possibilità di immedesimarsi nell’eroe o al contrario di vivere la morte senza soffrire materialmente; attualmente questa possibilità ci viene data anche dai mondi virtuali, in cui il soggetto manifesta costantemente una sospensione identitaria tra realtà e finzione.
Identità definite attraverso topos attentamente indagate nelle ricerche degli artisti contemporanei quali Cindy Sherman, Yasumasa Morimura e in modo estremo dalla Orlan, attraverso i cui lavori “sperimentano una pluralità di vite”; non un corpo altrui da imitare ma un’analisi meditata attraverso l’identità individuale che si eleva all’individuazione di “tipi” collettivi.
Ricerche artistiche che hanno profetizzato l’andamento della società contemporanea e ne hanno svelato i processi: la maschera indossata come oggetto di riflessione artistica, oggi si è sostituita al volto proprio definitivamente.
Un sottile gioco illusionistico in cui il rifiuto del sé è espressione di un corpo imperfetto, il quale ha portato negli ultimi anni al dilagare della chirurgia estetica. Il corpo risente dell’ambiente sociale e viene ricostruito attraverso un assemblaggio ben studiato che ne determina la sua accettazione e la sua collocazione nella società.
Il percorso può essere affrontato su più livelli: il tema centrale è il corpo come oggetto plasmabile all’interno della società; fa un’analisi approfondita attraverso le opere di diversi artisti che rendono manifesto il disagio alla base dell’attuale civiltà; in primis l’incomunicabilità dell’individuo contemporaneo, che nell’era delle grandi comunicazioni interattive, in cui si è costantemente aggiornati sulla vita altrui, sorge quasi come fosse un paradosso. L’apparente complicità dei media digitali ha portato al dilagare di immagini e stereotipi in cui l’importante è apparire.
Martin Parr, fotografo della Magnum ha sicuramente un ruolo di primo piano sulla mia personale riflessione sull’artificiale. Esso ritrae nella serie Luxury, realizzata tra il 2004 e il 2008, i soggetti appartenenti alle classi alte della società internazionale in occupazioni futili e in rituali socialmente connotati quali: fiera d’arte di Miami, corse di cavalli a Dubai, sfilate di moda, fiere automobilistiche e mostre d’arte.
Luoghi stereotipati che tendono ad esaltare l’artificiosità degli ambienti e delle persone rendendoli oggetti tra gli oggetti; pura forma e apparenza, sinonimo di una cultura kitsch. Il fotografo coglie sia particolari dissonanti: macchie sul vestito, bambini con bombetta (sinonimo di un’adolescenza già conclusa) e mosche adagiate su cappelli come se le persone fossero immobili statue di cera; ma anche gesti assolutamente banali come il versare champagne nel calice o fumare il sigaro, che nel momento stesso in cui vengono congelati attraverso lo scatto si elevano a pose stereotipate e grottesche.
Nelle fotografie di Martin Parr tali cliché diventano sinonimo di cattivo gusto e artificialità, poiché condivisi da grandi masse di persone all’interno dei gruppi sociali elevati; essi vengono visti con ironia e humour tesi ad esaltare le maschere della società, che con la ripetitività dei loro atteggiamenti si riducono a stereotipi sociali. Il tutto caratterizzato da uno stile dai colori saturi e dall’utilizzo del flash, anche in giornate soleggiate, permettendogli così di congelare in modo definitivo i gesti della persona.
Il tema dell’identità e dello stereotipo sociale è un tema ancor oggi di fondamentale importanza ed è stato oggetto di riflessione fin dall’inizio della sua carriera da parte dell’artista Cindy Sherman. L’artista annulla sé stessa alla ricerca continua di nuove identità nelle quali identificarsi, sempre in bilico tra realtà e finzione.
Nella serie qui proposta l’artista si è incarnata in innumerevoli identità riuscendo a tipizzare l’universo femminile delle classi sociali elevate: la donna ricca elegantemente vestita e in posa da modella all’interno della propria casa con cortile rinascimentale e la donna anziana dai tratti segnati, ma su cui interventi di trucco e possibile chirurgia estetica ne hanno ridisegnato i tratti del volto.
L’unica differenza con gli scatti di Martin Parr è l’eccesiva forzatura e la manipolazione digitale con la quale Cindy Scherman ha rappresentato le proprie donne; tipi caricaturali al limite del grottesco, per la loro intesa caratterizzazione e abbondanza nei particolari: orecchini, gioielli, foulard di seta, volto eccessivamente truccato. Essa rende evidente tutte le banalità celate nella società e divulgate dai mass-media, l’artista trasforma, o meglio elimina ogni traccia della propria personalità.
Altro opera che riflettere questo tema è il video-documentario del 2009: DUBAI_CITYTELLERS (Video, 58’) di Francesco Jodice e facente parte della trilogia city tellers dedicata alle città di Dubai, San Paolo e Aral.
Il video-artista e fotografo svolge un’attenta analisi socio-politica sulla città di Dubai. La costruzione integrale di un eden artificiale, visto come paese dei balocchi per ricchi signori occidentali e orientali.
Nelle riprese, Jodice svela i meccanismi di costruzione della città; sorta su modello occidentale, ormai acquisito e fatto proprio con la ripetizione ossessiva di atteggiamenti ed eventi creati artificialmente.
Contrapposizioni messe in atto dall’artista attraverso una scelta tecnica di disagio percettivo, che pone lo spettatore in situazione di incertezza e presa di coscienza, riuscendo così ad esaltare l’artificiosità della società e dei suoi abitanti: ippodromi sorti nel deserto, in cui a correre non sono cavalli ma cammelli; una pista da sci sorta all’interno di un centro commerciale e fiere del lusso; scenari fittizi dove poter mettere in scena sé stessi e rendere credibile la finzione.
Minimo comun denominatore nelle analisi di questi artisti: lusso, ricchezza, potere e la ricerca di una pura bellezza esteriore sinonimo di glamour.
Valori esattamente corrispondenti a quelli presentati nella sezione dedicata alla serie del 2002, Girl Culture di Lauren Greenfield, attualmente una delle fotografe più importanti nella società americana grazie al suo stile documentativo.
La serie indaga gli usi e i costumi dei teen-ager americani e il modo in cui questi crescono. Ne svela i meccanismi reconditi e drammatici: i desideri non sono quelli corrispondenti alla propria età ma fanno emergere un disagio interiore spesso nascente dalla volontà di essere perfetti ad ogni costo. La Greenfield riflette sul mito del corpo e i rapporti che esistono tra questo e la propria identità. Indaga nelle età di passaggio: momenti personali, momenti collettivi e momenti di vanità che nascono da un preciso codice culturale da rispettare assiduamente per non essere emarginati dai coetanei. Una massificazione che ormai è giunta al limite e ha reso il nostro corpo oggetto stesso della produzione stereotipata. L’artista mostra ciò che quotidianamente osserviamo attraverso riviste, reality show e televisione: la ricerca di un’identità che sia diversa dal nostro aspetto, dai tratti sempre inadeguati. Una ricerca del fisico perfetto ma artificiale, da mantenere integro per mezzo della chirurgia estetica o attraverso ore interminabili di esercizio sportivo. Una realtà in cui ciò che conta è la messa in scena di sé stessi, che nello stesso tempo in cui avviene esalta tutte le incertezze e i disturbi di corpi feticizzati e innaturali.
La società attuale combatte la vecchiaia e la morte: in questo senso l’ultimo artista in mostra ci fa riflettere su aspetti grotteschi della realtà, non nel loro inserimento nei contesti architettonici e ambientali, ma attraverso ritratti individuali in studio.
Il fotografo Erwin Olaf nella serie Mature (1999) pone una riflessione ironica sulla bellezza del corpo e sulla vecchiaia, ormai ostacolata attraverso incessanti cure di bellezza. Il fotografo ritrae modelle di circa sessantacinque anni in pose erotiche alludendo attraverso il titolo ai nomi delle supermodelle. Una riflessione ironica, che cela al di sotto la faccia tragica del reale e la paura di invecchiare. Esalta l’erotismo, la vecchiaia e la bellezza del corpo, donne anziane ma con ancora qualcosa di sensuale in loro nonostante l’età. Da una parte humour dall’altra attrazione, due poli sempre presenti nelle eclettiche serie di questo fotografo.
Ritrarre l’apparenza vuol dire decostruirla e svelarla, l’apparenza che ci ha reso manichini e marionette in cui ognuno ha il proprio ruolo ben definito all’interno dei luoghi di socializzazione.
La finta complicità comunicativa creata dai moderni mezzi di comunicazione, altro non fa che svelare una società costruita su aspetti formali ben consolidati. Una realtà artificiale, svelata attraverso gli scatti di questi fotografi e proposta con la massima oggettività, senza trucco e senza l’utilizzo, nella maggior parte dei casi, della post-produzione in digitale. Manipolazione che, anche quando è presente, non viene celata: i fondali architettonici della Sherman, chiaramente finti, tendono ad esaltare il cattivo gusto delle donne caricaturali appartenenti all’upperclass, da lei stessa interpretate.
Il lettore è chiamato a riflettere attraverso la continua sensazione di disagio in cui perde la cognizione della realtà; tutto è in contrasto, ciò che sembra vero non è altro che una ricostruzione immaginifica della realtà, come ben è sottolineato dalla riproposizione della cupola bruneschelliana nel mezzo del deserto arabo da Francesco Jodice. Un’artificiosità esaltata dei corpi e favorita anche grazie alla fissità della fotografia, che congela ogni minimo particolare ed esalta i dettagli minuziosi rendendoli caricaturali anche attraverso i colori sgargianti di forte impatto visivo.
Questa riflessione svelarne i meccanismi che si sono innescati a partire fin dagli anni ottanta e che grazie alla circolazione delle informazioni, e soprattutto di internet, ha cambiato radicalmente la nostra realtà, non solo in quanto ambienti, ma anche nella nostra stessa individualità in rapporto alla nostra funzione sociale. I rapporti umani si sono ridefiniti e sono andati sempre di più avvicinandosi; le culture hanno perso i loro caratteri specifici a favore di una globalizzazione culturale che ci ha portati a ridefinire i concetti di frontiera e di identità; su questi aspetti hanno indagato i fotografi qui presentati svolgendo un’attenta analisi e riflessione sul ruolo del singolo individuo all’interno della società contemporanea.
Claudia Stritof
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Martin Parr | Cindy Sherman | Francesco Jodice | Lauren Greenfield | Erwin Olaf
Letture consigliate:
Marshall McLuhan, Gli Strumenti del comunicare. IBS oppure Amazon (nuova edizione).
Freud, Saggi sull’arte. Amazon
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