Reboot, sequel e spin-off: esiste un confine da non varcare?

Creato il 09 febbraio 2016 da Rivista Fralerighe @RivFralerighe

X-Files: volevo crederci.

Oggi verrà trasmesso in Italia il quarto episodio della decima stagione di X-Files. Come molti sapranno, l’evento ha generato parecchia trepidazione tra i fan della storica serie che vede come protagonisti gli agenti Fox Mulder e Dana Scully, andata per la prima volta in onda nel settembre del 1993 e conclusasi 9 anni dopo. Faccio parte di quella categoria di telespettatori che non sentivano la necessità di un sequel; il finale aveva già detto tutto ciò che c’era da dire e l’annuncio di una miniserie, composta da 6 puntate, in tutta franchezza non ha risvegliato alcun tipo di nostalgia in me – che, in quanto figlia di genitori che non davano molto peso al colore dei bollini durante le trasmissioni televisive, posso dire d’essere stata cresciuta dalla serie originale.

Evolviti o muori.

Far andare avanti una serie nata negli anni ’90, soprattutto se Sci-Fi, è una cosa molto complicata. Riprenderla dopo tanti anni di inattività probabilmente equivale a scalare l’Everest senza alcun tipo di preparazione fisica dietro. Certo, i fan più sfegatati probabilmente apprezzeranno ogni minuto di ciò che gli è stato offerto (soprattutto se gli sceneggiatori decidono di regalare momenti da “mascella-sotto-le-scarpe” come quello della scorsa puntata, e tante grazie a Gillian Anderson!) senza notare certi espedienti discutibili che adesso risultano molto più evidenti. Ma si tratta di elementi propri dei serial dell’epoca. Riguardare oggi altri prodotti “suoi coetanei” farebbe lo stesso effetto.
Il passaggio agli anni 2000 è stato traumatico per molte serie, tra queste anche Stargate* che ha passato 3 fasi nei suoi quasi 15 anni di programmazione: la comicità un po’ troppo presente del periodo in cui Jack O’Neill (Richard Dean Anderson) guidava la squadra SG-1, i toni un po’ più smorzati (ma sempre abbastanza leggeri) della squadra su Atlantide per i successivi 5 anni, per poi finire con la sensazione di costante claustrofobia, colorata di tanto in tanto dalla presenza di Eli Wallace (David Blue), a bordo di una nave degli Antichi alla deriva nell’universo. Questo accadeva quando al palinsesto si aggiungevano telefilm del calibro di Firefly (seppur per un’unica stagione) e Battlestar Galactica.
Gli standard iniziavano a elevarsi dieci anni fa, arrivando oggi probabilmente a livelli forse davvero troppo esagerati.
L’evoluzione e il cambio di format, tuttavia, non sono sempre un bene. Se da un lato l’operazione compiuta nel 2005 per rilanciare Doctor Who è stata un vero successo, le aggiunte più recenti (vedere stagione 9) hanno fatto storcere il naso a ben più di un fan, facendo crollare gli indici d’ascolto a metà stagione.

Quando non puoi andare avanti, prova a tornare indietro!

E questo ci porta (forse) alla peggiore delle 7 piaghe dell’epoca moderna: il reboot. Per chi non avesse molta familiarità col termine, reboot è una riscrittura (totale o parziale) di un prodotto già offerto al pubblico, il tutto condito dalla speranza di potergli ridare popolarità e creare un nuovo seguito.
La lista di reboot in programma, per il piccolo e grande schermo, purtroppo non è corta. Partiamo dal tanto temuto Ghostbusters (a sessi opposti) per poi passare per flop annunciati prima ancora di aprire il botteghino (nessuno ha fatto il vostro nome, Fantastici 4) e arrivare a progetti ancora da definire, come MacGyver e *Stargate (il film, che in questo caso darebbe un colpo basso ai fan della serie con una manovra più dolorosa dell’eliminazione dell’universo espanso di Star Wars).
In alcuni casi il reboot ha avuto un discreto successo anche tra i fan del prodotto originale, come nel caso di Star Trek, altri sono davvero serviti a dare un nuovo stile a personaggi già abbastanza popolari, come Batman, e altri ancora non hanno generato aspettative perché, lo sapevamo tutti, si trattava di un disastro annunciato (sì, Fantastici 4, a nessuno piacciono i vostri film).

“She spun-off” (cit.)

Quando si tratta di spin-off nessuno è al sicuro, nemmeno chi se ne lamenta. Prima o poi cadiamo tutti nella trappola dorata delle serie incentrate su personaggi secondari di altre serie magari ispirate a libri già esistenti, e via dicendo. Basterebbe dire Xena per portare a casa la discussione e chiudere qui il paragrafo, questa volta senza tirare in mezzo i Fantastici 4. La lista è davvero immensa, talvolta il risultato è persino più soddisfacente dell’originale, come nel caso di Ashes to Ashes che ha addirittura superato di una stagione la serie genitrice, o i vari CSI che tutti abbiamo più o meno seguito nel corso degli ultimi sedici anni. Altrettanto spesso, tuttavia, il disperato bisogno di continuare a mungere la mucca da latte con serie dedicate a personaggi molto amati dal pubblico, come nel caso di Joey, serie dedicata all’omonimo sesto protagonista della serie Friends, si rivela un’operazione a dir poco disastrosa. Altre, come the Cleveland Show, hanno vissuto di vita propria per un breve periodo prima di tornare all’ovile con la coda tra le gambe dopo 4 stagioni.

Alcune serie hanno davvero una fine.

Capita di rado, ma non è impossibile: alcune serie finiscono davvero. Nessuna interruzione forzata, ogni punto della trama riceve una risposta e nessuno si chiede “quando faranno una nuova stagione?” perché fine vuol davvero dire fine.
Nulla può dare la stessa sensazione dolce-amara di un finale ben costruito e assolutamente chiuso. Avere la certezza di non doversi aspettare nulla dopo è quasi confortante, non importa quanto dolorosa sia stata la conclusione. E non importa nemmeno quali decisioni della rete abbiano costretto la produzione a chiudere (perché, si sa, la morte naturale in questo campo si chiama “chiusura forzata”). La bravura in questi casi consiste nel riuscire a dare il massimo nel poco tempo a disposizione, come nel caso di Sanctuary o Continuum.

Che poi, si sa, è come il principio che sta alla base di un dente dolorante: meglio toglierlo subito e soffrire un po’ anziché aspettare e dover patire le pene dell’inferno.
I sequel o reboot o qualsivoglia diavoleria spremi-oca-dalle-uova-d’oro derubano il telespettatore di quella sensazione sopracitata, perché si può provare solo una volta. E se il nuovo prodotto, per quanto atteso, in realtà si rivela non all’altezza delle aspettative? Tempo sprecato, magia finita.

X-Files: voglio crederci? Forse. Due settimane passano in fretta e potrei persino ricredermi. In fondo, non potrà mai essere come i Fantastici 4.

Christine Amberpit



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