Sono le 11 di una domenica mattina di inizio maggio. Il sole è alto e il cielo terso, di quella che si preannuncia una giornata ventilata. Siamo a Recanati, in provincia di Macerata. Nella piccola piazza la gente si muove in gruppi.
Visitabile è solo la biblioteca, dove Giacomo ha trascorso la sua giovinezza, chino su quei libri che tanto ha amato. Poco importa, ci siamo detti. Se qualcosa di lui è rimasto, sicuramente si trova lì.
Alcuni gradini di marmo ci conducono al piano rialzato, mentre poco distante, una scalinata imponente che si snoda su due lati, conduce agli appartamenti al piano superiore. Proprio dove ci è proibito recarci.
E pare di vederla, Adelaide Antici, la madre del poeta, fare capolino da quella balaustra. Lei che non usciva mai di casa, che considerava casa Leopardi la sua fortezza, e che odiava che estranei si introducessero nei suoi spazi. La guida ci accompagna alla biblioteca, facendoci notare, adagiate in un angolo, delle palle di cannone abbandonate dalle guerre napoleoniche e portate lì da Monaldo Leopardi, il padre di Giacomo, che le collezionava.
Di lì deve passare tanta gente, e quindi ci si deve adeguare alle vigenti normative. Ma viene comunque tenuto conto della catalogazione che fecero Monaldo Leopardi in persona, insieme al figlio Carlo.
La stanza che ci accoglie è detta “La sala introduttiva”, ed è quella del precettore dei fratelli Leopardi, poiché a quei tempi vigeva l’usanza che l’insegnante dovesse vivere in casa con la famiglia stessa. Monaldo Leopardi era un grande appassionato di libri, che ha trasmesso questo interesse anche ai suoi figli, soprattutto a Giacomo. In un periodo in cui i libri erano costosissimi, ne aveva accumulati in una quantità che, ripetiamo, è incalcolabile.
Il suo intento era di aprire la biblioteca agli abitanti di Recanati, anche se per molti anni non si presentò mai nessuno a consultarli. Il pensiero agli investimenti sbagliati che avevano fatto sì che la nobile famiglia Leopardi fosse economicamente decaduta, è inevitabile. Monaldo, riportato alla società di oggi, sarebbe stato un “compulsive shopper” di libri, quindi è inevitabile che un grande sperpero di finanze sia andato a finire lì, nonostante fosse per nobili cause e sia rimasto un patrimonio inestimabile alla città di Recanati.
I fratelli Leopardi, Giacomo, Carlo e Paolina, potevano accedere liberamente a tutti i testi presenti nella biblioteca del padre, compresi quelli che erano considerati “proibiti” perché ritenuti eretici, e che la chiesa affidava ai nobili per salvarli e far sì che non venissero trovati e distrutti. Il libero utilizzo era concesso anche alla sorella Paolina, che seguiva lo stesso programma di studi dei fratelli, nonostante a quell’epoca raramente si permettesse alle donne di farsi una cultura.
La “Prima Sala”, era la preferita di Giacomo, e contiene libri di argomento enciclopedico. Egli era solito accostare il suo tavolino di studio, per altro ancora presente, alla finestra, spostandolo a seconda della luce, poiché non vi era corrente elettrica. Dall’altra parte della piazza, proprio di fronte alla finestra, in un edificio in semplice muratura, le cui finestre ora sono verdi, egli scorgeva la graziosa fanciulla, morta a soli 21 anni, che celebrò nella famosa poesia “A Silvia”.
Al centro della stanza, un busto in marmo del poeta, e poi su uno dei tavoli il suo calamaio bianco, di ceramica. Si passa alla “Sala dei Manoscritti”, arredata dal nipote omonimo, figlio di Pierfrancesco, il più giovane dei fratelli Leopardi, in occasione del primo centenario della nascita. Dal 1898 quindi, la biblioteca è aperta al pubblico ed è meta di turismo. Nella teca al centro ci sono le opere autografe del poeta, dalle sue prime composizioni agli scritti più maturi.
Ci sono ancora i loro banchetti. Sul muro, sono appesi alcuni disegni eseguiti dai tre ragazzi. Nella parete di fondo, una raccolta di opere scritte da Monaldo stesso che, senza avere le capacità del figlio, evidentemente si dilettava nell’arte della scrittura. La guida ci parla di un particolare curioso, che può apparire anche agghiacciante. L’istruzione in casa Leopardi era fondamentale e, a periodi di circa 6 mesi, Monaldo faceva delle verifiche per vedere quanto in realtà stessero apprendendo i suoi figli.
Creava dei veri e propri “eventi” ai quali invitava parenti e amici e, davanti a tutti, interrogava i tre giovani. Giacomo non era affatto preoccupato da questi esami così formali, anzi, era fiero di poter esternare a tutti il suo sapere, arrivando talvolta a suggerire le risposte ai fratelli, per evitare loro di fare brutte figure. La nostra visita è conclusa. Ritorniamo alla luce del sole, nella piazzetta di Recanati. Consapevoli di quanto sacrificio costi la cultura, e di quante rinunce di debbano fare in suo nome.
Written by Cristina Biolcati