Recanati, Leopardi e Goghe'
Creato il 23 agosto 2015 da Luz1971
Quando vidi Recanati qualche anno fa, non immaginavo minimamente che sarebbe stata molto diversa da come la pensavo. Recanati è, per chi non c'è stato, ma ama Leopardi, un luogo dove ci si aspetta di trovare un bellissimo palazzo signorile e un'immensa biblioteca, invece è molto di più. Palazzo Leopardi è il gioiello incastonato in un borgo che tutto è affascinante. E' come una tavolozza in cui si trovano, in perfetto accordo, la casa dove visse, le stradine lastricate in cui camminò, il colle fonte d'ispirazione per uno dei capolavori della Poesia, il paesaggio che restituisce agli occhi del visitatore lo stesso panorama. Ho visto tutto ciò che lo riguardasse, sono entrata nella sua casa, ho toccato la scrivania dove studiò, ho visto i suoi disegni di bambino, così come i mirabili scritti che dedicava al padre fiero della sua precoce intelligenza.
Le sue carte autografe che mostrano l'irrequietezza del genio, i 20.000 volumi che Monaldo suo padre raccolse pazientemente, che catalogò assieme ai figli, il celebre ritratto che abbellisce i lineamenti di Giacomo (e che lui detestò per questo), il tenero foglio a stampa su cui è riportato il saggio dei bambini di casa Leopardi che si esibiscono in domande di storia, grammatica, astronomia dinanzi a uno zio, e tanto tantissimo altro. Insomma, molto di più di ciò che immagini. Bello acquistare nell'emporio di fronte, magari trovando riproduzioni di scritti autografi e libri di cui ignori l'esistenza, come "La piscia della Befana", o la biografia di Giacomo curata da Pietro Citati (che consiglio vivamente).
Recanati è anche la città di Beniamino Gigli e una visita al bel teatro che il conte Monaldo fece costruire a metà Ottocento - nel quale il celebre tenore cantò per buona parte della sua vita - è d'uopo. Quando a sera ho lasciato il borgo, la luna era splendida nel cielo, nonostante le luci di città ne mortifichino la bellezza, e ti fai una chiara idea di come la dovesse vedere lui, che fa della luna la protagonista di tantissimi versi.Recanati accoglie migliaia di visitatori, con numeri che sono diventati importanti dopo il film di Mario Martone, un progetto andato a segno visto che il borgo diventa di lì a poco meta turistica da boom di presenze. La multiforme massa di visitatori si mescola a quella delle gite scolastiche ed è proprio come accompagnatrice di vivaci ragazzini che mi capita di tornarci un annetto fa. Li avevo preparati a dovere e la visita si svolge con tranquillità e una buona dose di curiosità da parte loro. Uniquique suum, il percorso è breve ma è anche allietato da una vivacissima guida, che per una volta non è la solita signora di mezza età con voce monotona, ma un baldo giovanotto dall'aria intellettual-chic e l'eloquio brillante, che non solo illustra e descrive ma intrattiene. Mi resta impresso perché è evidentemente spinto da entusiasmo e serio interesse verso ciò che conosce, e poi l'ottima dialettica mi conquista a prescindere. Gli chiedo alla fine della visita di consigliarmi qualche buona pubblicazione e mi indica la biografia di Citati, che posso trovare nel negozio di fronte.
Poi chiedo il suo nome all'altra guida con l'intenzione di cercarlo su Facebook per non lasciarmi sfuggire l'opportunità di qualche altra perla di saggezza. Eh sì, così sono fatta. Le persone che mettono testa nelle cose mi garbano non poco. Francesco è fra i miei contatti da un pezzo, e ho appreso che è anche un musicista oltre a un fine conoscitore di Leopardi. Di tanto in tanto delizia i suoi amici con gustosissime descrizioni di grotteschi visitatori di Casa Leopardi, che non fatico a definire "imperdibili". Francesco di insegna che Recanati è anche questo, che ciò che anima le sue strade potrebbe essere materia di costruzione di personaggi da farsa, che moltissimi si improvvisano in arzigogolanti tentativi di apparire colti e invece finiscono con l'essere ridicoli, che l'Italia è anche questo. Gustatevi questo racconto, che ho recuperato perché non finisse disperso, e saprete di cosa parlo. Con un sorriso, su il sipario.
Il caos, sotto forma di femmina di razza bianca di circa quarant’anni, si presenta di buon mattino e siinforma sugli orari, le possibilità, i costi. Il caos è mefitico e teatralmente antipatico nel presentarsi inavvertito, facendo “caos” per l’appunto. Io sono un operatore museale maschio, di razza pallida, peloso, pelato, miope, dotato di pazienza, senso civico, fatalismo, acribia. Oggi sono in modalità “ci siamo quasi”. L’arrivo del tanto agognato caldo, di agosto, delle ferie che agosto esplicita, del “battuto” fine-fine di cipolle e ascelle, del frusciare aprico di vesti bianche, del claudicar di zoccoli e ciabatte, mi dice che siamo “quasi” all’apice dell’orgasmo collettivo chiamato estate. Il mio “quasi” personale è legato all’essere giunto all’ultima mattina che precede il mio giorno di libertà.Celebro, con intima esultanza, l’esser tornato per un istante il “garzoncello scherzoso” di leopardiana memoria. Circonfuso di aspettativa, insufflato di speranza, punteggiato di misericordia, gongolo –con stile- mentre avvio con bonomia la visita. Il pubblico, empatico al sentire della guida, risponde con trasporto ai feromoni di allegrezza piena che rilascio. È strano come cambi la percezione del morale una visita, a seconda del giorno o dell’orario di ingresso. Siamo tutti rilassati: i turisti, che si godono questo tempo sospeso fra un rimbrotto del coniuge:“Ti ‘go dito de parcheggiaa’ meglio che te fan’ a multa!!” e un capriccio del bambino “Papà, m’avevi detto che ce staveno i leopardi!? Qui è solo pieno de libbri! E statte’zzitto a’ppapà n’attimo che a guida ce spiega come ha fatto a diventa’ gobbo imbibbrioteca!”; io che pregusto già l’idea di riempire le ore a venire di tutte le cose che adoro, di fianco alle persone che amo. Questo bucolico quadretto viene annichilito dall’araldo del caos, fin lì silente spettatrice con sguardo trasognato. Siamo in una sala introduttiva, arredata da pezzi d’epoca raccolti da uno zio del Poeta, assieme ad un panciotto del Conte Monaldo, un monetiere, una cassapanca e un separé. Abbelliscono una parete due nature morte. Non attirano mai l’attenzione di nessuno, non perché siano brutte opere, ma perché sono quanto di più prevedibile ed impersonale: fine ‘600/ primi del ‘700, tratto anonimo, soggetti scuri, cornici dorate e ordinarie. La domanda viene posta con voce stentorea e bocca a “culo di gallina”, consonanti acuminate quasi a volermi pungere e vivo desiderio – negli occhi - di cogliermi in fallo e farmi capitolare con ignominia.Zatanna regina chiatta del caos e del disordine, figlia di Arimane e di una etera : “Di chi sono quei quadri?”Guida Francesco San in modalità “porgi l’altra guancia” Judo (userò la tua forza e la mia bonomia per farti cadere, convincendoti di essere inciampata da sola): “Di un prozio di Giacomo, era un sacerdote e questa era la sua camera.”Zatanna disgustata come se avesse appena assaggiato un lecca-lecca gusto guano: “L’autore, intendevo. Non il proprietario.”Guida Gaetano Bresci vs Bava-Beccaris: “Autore ignoto Signora, fanno parte di un’ampia collezione d’arte della famiglia, molto poco specifica in quanto ad attribuzioni.”Convinto di aver aggirato l’ostacolo che mi separa dal tranquillo svolgersi della visita, cerco di proseguire. Invano. Il caos è caos perché non tiene conto di: logica, sesso, razza, religione; è democratico e crudele, anti statistico e pandemico, sussultorio e ondulatorio. Incrina le tue temporanee certezze come un uragano, è monsonico e liminale. È un volo di rondini che cagano come piccioni.Zatanna, ricettacolo di nefandezze e turpitudini: “Secondo me è Goghe’, non credo di sbagliarmi. Lei ce lo vede Goghein?”Lei è matta. Io un povero stronzo sfortunato, sottoposto a questa ordalia. Evoco dai recessi della mia memoria immagini delle opere di Gauguin e trovo diafane figure dalla pelle scura, seni puntuti e solare lascivia fra le palme. Atolli e monokini, pittori ribelli e turismo sessuale. Era un impressionista, ha dipinto qualche natura morta – ricordo un “Vaso di fiori”- ma non c’entra nulla con quei quadri. Niet. Nisba. Sto per desistere, soccombente all’altrui follia, atterrito dal panico e dalla crudele insensatezza della donna che ho di fronte. Pencolo in stallo, dondolando su un precipizio aperto sul solido nulla fino a ricordare di essere a casa del genio della speranza. Risorgo, assaporando il profumo di libertà e di potenziale, il lussureggiante scenario di eventualità liete ostacolato da questa stronza. Sono Daitarn con le illusioni al posto dell’energia solare.Guida M. Night Shyamalan: “Lei ci vede Gauguin? Può darsi ma non lo chieda a me, vedo e sento cose che non ci sono da quando avevo otto anni.”Qualcuno del gruppo ride, qualcuno mi guarda accigliato, cercano di capire chi fra noi due sia quello instabile. Se vuoi contrastare la follia devi prenderla in contropiede.Zatanna incerta: “Quindi Goghe’, c’è o non c’è?”Guida John Constantine illusionista della truffa: “Potrebbe esserci, oppure no, come preferisce Lei. Giacomo sosteneva che l’importante è mantenere intatta la capacità di illuderci, solo questo può salvarci da “l’apparir del vero”. Io, per esempio, in questo momento credo che Lei non esista e questo mi fa stare molto bene.”Il resto della visita scorre via in ordinaria tranquillità, con Zatanna che, silenziosa, si guarda attorno, fra le occhiate incredule dei presenti -viventi che osservano una loro simile - convinta d’essere un’illusione. È sabato, qui dove il sabato ha un sapore struggente di aspettative uniche e di illusioni palpabili, è un arcano che non può essere spezzato se hai al tuo fianco Giacomo. Io e Lui, in quanto a fuffa, insieme siamo imbattibili.
Il mago si congeda, buona speranza a tutti.Francesco F.
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