La cosa è già di per sé surreale, perché invoca due tipi di familiarità: quella (artificiale) con la cultura americana, e quella (naturale) con la propria esperienza di tutti i giorni. Un qualcosa di contemporaneamente distante ed estraneo, ed allo stesso tempo vicino e familiare.
Spaced è la storia di un gruppo di tardo-ventenni e delle loro surreali avventure, quel tipo di avventure che si possono vivere solo in quel periodo magico in cui si è già abbastanza cresciuti da poter fare ciò che si vuole della propria vita, ma anche non ancora abbastanza cresciuti da sentire il peso delle responsabilità e del tempo che avanza inesorabile.
Un quartetto d'eccezione che, affiancato da una serie di comprimari assolutamente fuori di testa, dà vita a delle gag memorabili, fatte di tempi comici perfetti e di quell'umorismo tagliente e sagace, ma al tempo stesso ancorato alla realtà e alla vita "vera", che si può ritrovare solo nelle produzioni realizzate al di qua dell'Atlantico.
Al tempo stesso però c'è una vena malinconica che percorre il tutto, e che in certe puntate esplode in tutta la sua consistenza bluastra, lasciando tanto esterrefatti quanto più si pensa alle risate che si sprecavano fino a pochi istanti prima. C'è un po' della tradizione europea, in fondo, nell'infilarci sempre una punta di amaro in mezzo al dolce.
È nella seconda serie che, in particolare, si ritrovano i momenti più neri, compreso un finale che lascia un po' l'amaro in bocca (anche per la conclusione prematura del tutto, che dura solo 14 episodi in totale).
Forse era proprio per questo progressivo disincanto che si è scelto, nonostante diverse voci che davano per certo il contrario, di non proseguire con una terza serie. Pegg e la Hynes non sarebbero potuti rimanere per sempre dei tardo-ventenni squattrinati e dediti alle giornate perse davanti alla TV e alle serate affogate nelle risate e nell'alcool dei pub.
Meglio di no.
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