E si potra uscire a giocare, anche con il cattivo tempo - e l'orco - fuori. Il mio voto: ★★★★ Il mio consiglio musicale: Ezio Bosso – Rumba verso il buco
I
mostri non esistono. I fantasmi, i lupi mannari, le streghe sono
fesserie inventate per mettere paura ai creduloni come te. Devi avere paura
degli uomini, non dei mostri.
Titolo:
Io non ho paura
Autore:
Niccolò Ammaniti
Editore:
Einaudi
Numero
di pagine: 216
Prezzo:
€ 10,00
Sinossi:
In
questo romanzo Niccolò Ammaniti va al cuore della sua narrativa, con
una storia tesa e dal ritmo serrato, un congegno a orologeria che si
carica fino a una conclusione sorprendente: e mette in scena la paura
stessa. Michele Amitrano, nove anni, si trova di colpo a fare i conti
con un segreto cosi grande e terribile da non poterlo nemmeno
raccontare. E per affrontarlo dovrà trovare la forza proprio nelle
sue fantasie di bambino, mentre il lettore assiste a una doppia
storia: quella vista con gli occhi di Michele e quella, tragica, che
coinvolge i grandi di Acqua Traverse, misera frazione dispersa tra i
campi di grano. Il risultato è un racconto potente e di assoluta
felicità narrativa, dove si respirano atmosfere che vanno da Clive
Barker alle Avventure di Tom Sawyer, alle Fiabe italiane di Calvino.
La storia è ambientata nell'estate torrida del 1978 nella campagna
di un Sud dell'Italia non identificato, ma evocato con rara forza
descrittiva. In questo paesaggio dominato dal contrasto tra la luce
abbagliante del sole e il buio della notte, Ammaniti alterna, a colpi
di scena sapienti, la commedia, il mondo dei rapporti infantili, la
lingua e la buffa saggezza dei bambini, la loro tenacia, la forza
dell'amicizia e il dramma del tradimento.
La recensione
Ricordo
che, da piccolo, si andava dai miei nonni una volta all'anno. Ci
fermavamo di più rispetto ad ora – due settimane, spesso anche un
mese – e che il viaggio dalla Sicilia alla Campania era un'odissea
di curve brusche e chilometriche attese. Qualche volta prendevamo la
nave e, tutti insieme, ci stringevamo in una cabina: io e mio
fratello lottavamo per il secondo piano del letto a castello e, di
notte, durante la traversata, guardavamo il mare dall'oblò. Per
anni, ovviamente, i miei ci hanno protetto dall'epilogo di Titanic
– in ballo, le nostre preoccupazioni e i loro nervi. Durante uno
degli ultimi viaggi, prima di trasferirci, durante una cena in famiglia – al tempo ero buono buono e
tali ricorrenze non mi annoiavano; noi bambini
sedevamo a un tavolino a parte, vicino al camino – i miei cugini
avevano iniziato a parlare dell'ultimo film che avevano visto al
cinema, accompagnati dalla scuola. Che invidia! L'anno prima, con la
maestra, eravamo andati a vedere, dalle mie parti, il Pinocchio
di Benigni: perfino all'epoca, lo avevo trovato bruttissimo. Avevo
rovinato l'entusiasmo di bambini che avevano
visto, chissà dove, la magia. I miei cugini – e anche la più
piccola di loro, che era addirittura una femmina: somma ingiustizia –
erano stati a vedere Io non ho paura. Quanto avevo sperato di
vederlo anch'io, quel film o, nell'attesa che passasse in tivù, di
leggere il romanzo: non ero ancora un gran lettore, ma mamma –
abbonata a Mondolibri – mi aveva letto a voce alta la trama su uno
dei loro opuscoli pubblicitari. Da amante dei racconti da brivido,
spettatore a tradimento di horror che non avrei dovuto guardare, mi
si era ficcata in testa quella storia: un protagonista con il mio
nome – e, quando vivevo in Sicilia, nessuno si chiamava come me;
forse, solo il proprietario dell'alimentari all'angolo – e la
scoperta di un segreto più grande di lui. Ero convinto che l'altro
Michele, che aveva nove anni come me e viveva al Sud come me, sarebbe
stato in pericolo per – mia ossessione a quell'età – le
sette sataniche. Al telegiornale si parlava tanto delle Bestie di
Satana, dodici anni fa, e, al mio paese, animali fatti a pezzi e
minacce sparse non si sapeva bene se fossero colpa della criminalità
locale o di Lucifero in persona. Nelle ronde in bici con i miei compagni di
classe – anche noi, come i protagonisti, ci spingevamo oltre il
seminato, padroni di un boschetto di ortica e fiori che puzzavano
come carogne – ci sfidavamo a chi diceva più parolacce e a
mostrare coraggio da leoni. Anche in quel caso, ruoli che si
ripetevano: un bullo come Scheletro, che ridacchiava alle mie spalle,
in seconda elementare, minacciando di annegarmi nella piscina
comunale; un migliore amico come Salvatore che, però, non mi ha
tradito mai, anche se la vita e la lontananza ci hanno divisi;
l'unica ragazza del gruppo, tormentata dai maschi come Barbara, ma
assai più graziosa e assolutamente ben disposta ad affrontare
maliziose penitenze; il fratello minore che ti fa perdere il ritmo
della sfida – nel romanzo è una sorella, Maria – e che puoi
insultare solo tu, guai gli altri.
E restavo io, Michele, simile a
Michele lui: quello curioso, anche a costo di farsi male, come il
gatto del detto popolare; quello meno svelto e meno capace degli
altri, anche se era abile nel dissimularlo. Il più sveglio.
Con una mamma bellissima e che correva – e picchiava: quante
punizioni e quante “cucchiarelle” rotte? - forte, un papà
carabiniere – dall'altra parte della barricata, dunque, ma spesso
assente, in anni di fuoco che lo volevano impegnato altrove – e un
fratellino zavorra, portato appresso sotto minaccia: se non porti
Diego, tu non esci: capito? Io non ho paura l'ho
visto una volta sola, qualche anno dopo, ma lo ricordo molto bene: è
uno di quei film che, se sei così fortunato da essere nato nell'anno
giusto, da essere giovane ma non troppo – io c'ero negli anni
novanta, non negli anni settanta, ma ho visto videoregistratori,
musicassette, serate passate a giocare a nascondino o a "un due tre
stella" prima che sparissero, come i dinosauri –, un po' ti segnano.
Perciò non ho mai sentito il bisogno di leggere il racconto che lo
aveva ispirato, prima di quest'anno: quando la bella stagione mi ha
fatto scoprire che Niccolò Ammaniti mi piace tantissimo e che, in
programma per l'autunno, c'era Anna,
il nuovo romanzo. Storia di meridionali e bambini soli al mondo. In
attesa di poterlo dire mio – gioia immensa quando l'ho trovato a
metà prezzo su Libraccio; santi che volano, invece, se Libraccio,
come in questo caso, ti cancella l'ordine – ho
portato con me, in un weekend stranamente silenzioso, quel libricino
che avevo in casa da dieci anni buoni e che, in copertina, aveva il
bollino con il prezzo – appena cinque euro, nell'edizione I Miti
Mondadori – e il giallo dei campi.
Il segno di
una estate in mutande e canottiera sottile che vorresti non
finisse mai, oppure sì. Il colpo d'occhio, di chi ha talento vero,
con cui si coglie un periodo di passaggio mentre sta passando. Quando
capisci che l'uomo nero non esiste, ma che i mostri sono reali.
Siedono al tavolo della tua cucina. Dormono nel letto che è di tua
sorella: ospiti. Imprigionano i bambini come te nei buchi, in attesa
del riscatto o del Paradiso. La storia degli innocenti di Acqua
Traverse – frazione fantasma con sei case e sei famiglie; acqua che
ti va di traverso e ti strozza; questione di Mafia o 'Ndrangheta, non
di diavoli, il che è peggio – corre come una bici sgangherata nei
mari di spighe; come un brivido che, addosso, ti lascia una sensazione
che permane. Ti racconta, per voce di chi la vive, l'amicizia
commovente con un mostriciattolo tenuto in cattività che non apre
gli occhi, farnetica di orsetti lavatori (ma esistono davvero?) e
città del nord (dov'è, il nord?); di una paura – ma Michele non
ha paura, quella del titolo è una promessa a sé stesso – che in
combutta con le pieghe nere dell'immaginazione trasforma la natura
notturna in un inferno dantesco. Soprattutto, della dolcezza con cui
una vittima può scambiare uno dei suoi diavoli per l'angelo custode.
Allora niente, davanti a due mani tese, sarà più lo stesso. Letto in un pomeriggio, d'un fiato,
più che una nuova lettura, Io non ho paura
è stato una specie di seconda visione. Un film che avevo già visto, e che ho rivisto – per magia – attraverso le parole vivide di un
Niccolò diverso dal solito. Conciso e nostalgico, quando lui invece
è prolisso, pulp e fortemente ironico: abituato alla narrazione in
terza persona – qui, invece, usa la prima – per porterti dire,
dei suoi tanti personaggi, vite e peccati. E io che, da sempre,
immaginavo che Ammaniti fosse questo. Io non ho
paura, invece, è una parentesi
agrodolce che dura un'estate. O forse la meta finale del viaggio? La verità, senza fronzoli, è che Ammaniti ha fede nei bambini, anche se sono condannati a soffrire. Ha fiducia nel domani, anche se pare pioverà. Ma sono i piccoli a insegnare qualcosa ai grandi, nelle sue storie di ordinario orrore: il coraggio, l'amicizia. Il coraggio dell'amicizia.
E si potra uscire a giocare, anche con il cattivo tempo - e l'orco - fuori. Il mio voto: ★★★★ Il mio consiglio musicale: Ezio Bosso – Rumba verso il buco
E si potra uscire a giocare, anche con il cattivo tempo - e l'orco - fuori. Il mio voto: ★★★★ Il mio consiglio musicale: Ezio Bosso – Rumba verso il buco