Recensione a basso costo: Le luci nelle case degli altri, di Chiara Gamberale

Creato il 18 gennaio 2016 da Mik_94
Vorrei che nei momenti di disperazione non ti venga in mente di invidiare la felicità degli altri, le fortune, i successi, le certezze, i risultati, le luci nelle case degli altri: dappertutto c’è del bene, dappertutto c’è del male.
Titolo: Le luci nelle case degli altri Autrice: Chiara Gamberale Editore: Mondadori Numero di pagine: 392 Prezzo: € 9,90 Sinossi: Mandorla è la bambina felice di una ragazza madre piena di fantasia. Maria, la mamma, lavora come amministratrice d'immobili e ha lo speciale dono di trasformare ogni riunione condominiale in toccanti sedute di terapia di gruppo... Quando un tristissimo giorno Maria muore cadendo dal motorino, i condomini di via Grotta Perfetta 315, quelli che più le volevano bene, scoprono da una lettera che proprio nel loro stabile la piccola Mandorla è stata concepita... ma su chi sia il padre, la lettera tace. Proprio perché con tutti Maria sapeva instaurare un legame intenso, nessun uomo tra i condomini si sente sollevato agli occhi degli altri dal sospetto di essere il padre di Mandorla. È così che verrà presa la decisione di non fare il test del DNA su Mandorla, e stabiliscono di crescere la bambina tutti assieme. È questo il fatale presupposto di una commedia umana che, con l'alibi del paradosso, in realtà ci chiama in causa tutti. E mentre, di piano in piano, Mandorla cresce, s'innamora, cerca suo padre e se stessa, ci si avventura con lei verso rivelazioni luminose e rivelazioni scomode, si assiste a nuove unioni e a separazioni necessarie. L'autrice costruisce attorno al cuore pulsante della sua protagonista un romanzo corale dove i grandi archetipi si mescolano agli struggimenti contemporanei, la verità e la menzogna cambiano continuamente di segno per dare vita a una voce fresca e profonda, che condurrà, fiduciosa soprattutto dei suoi dubbi, verso un finale sorprendente.                                               La recensione Viviamo tutti all'oscuro di qualcosa che ci riguarda. Di solito non ci sto tanto appresso, agli autori superpubblicizzati e ai casi editoriali. Figuriamoci se lo scrittore – scrittrice, in questo caso – attira su di sé attenzioni indesiderate: immancabili le scaramucce, quanto il tuo libro vende e tu sei ospite ricorrente in tivù. Non pensavo, dunque, che Chiara Gamberale potesse piacermi così tanto, e non per partito preso ma perché amo di mio le storie più dure, gli stili ruvidi al tatto, ma il 2014 – possibile, mamma mia, che siano trascorsi già due anni? - aveva smentito alla grande le mie supposizioni. Ci sono cose che, a pelle, non mi convincono. Sono istintivo, testardo, odio cambiare idea. C'era però questa Chiara, contenta per natura e mica così disimpegnata, che mi aveva rimbeccato con un sorriso soddisfatto sulle labbra: vedi che sono in gamba?, te l'avevo detto, io. E Chiara, una di quelle rare autrici a cui mi rivolgo per nome e non per cognome scrivendone, era in gamba sì, e tanto solare. Cosa aveva in comune con me, tipo pensieroso e cupo per forza di cose? Mi ero accorto, tra un libro e l'altro, che facevamo gli stessi stupidi pensieri impossibili. Quando Quattro etti d'amore, grazie prendeva polvere da un po' sul mio comodino, entrambi fantasticavamo sul contenuto dei carrelli della gente in fila alla cassa e pensavamo di trovare tutto quello che cercavamo – ma cosa cercavamo, poi? - sul ripiano più alto dello scaffale. Per dieci minuti, esperimento sociale dal piglio ironico e dal contenuto autobiografico, ci voleva alle prese con cose mai fatte prima; e se sbagliavamo, nessuno se la prendeva granché. In L'amore quando c'era, un racconto da leggere alla fermata del bus, ci convincevamo invece che i rapporti sentimentali, a lungo andare, vadano a male e in Arrivano i pagliacci, forse il mio preferito, vincevamo la timidezza davanti alle storie (e alle stanze) dei nostri eventuali locatori. In Le luci nelle case degli altri, sin dal titolo, tracce miracolose di un giochetto che facevo da bambino. Affacciato al balcone, mi domandavo come vivessero quelli del palazzo di fronte: invidiavo loro l'albero di Natale meglio decorato, l'odore di arrosto quando invece mamma aveva preparato una tristissima minestra. Perfino le loro piccole liti ad alta voce, sapete, mi rassicuravano. Allora, c'era poco da invidiarli; di quelle, avevamo già le nostre in abbondanza. Come quando di un autore leggi il grosso in una volta sola e hai paura che possa venirti a noia, però, la Gamberale non l'ho riletta per un anno intero. Anche se c'era il proposito e anche se questo romanzo qui m'ispirava molto più di altri. Incartato, regalato, l'ho ricevuto in un periodo di festeggiamenti e mal di stomaco, ma ho preferito aspettare gennaio. Sempre a pelle – e, lo ripeto, i pizzichii, i pruriti e le premonizioni della mia epidermide sono un sesto senso che di rado fa cilecca -, mi parlava di nuovi inizi. E dell'infanzia di Mandorla, figlia della portinaia di un condominio di periferia, che si ritrova con una lettera commovente e sgrammaticata tra le mani e lo status di orfana. Un incidente in motorino, mamma Maria che cade ma non sa volare e una notizia bomba che rotola tra i condomini, durante la lettura del testamento: Mandorla è frutto di una notte di passione consumata nell'ex lavatoio, figlia di uno dei presenti. Non si fanno nomi, però, e tanto grande è la paura che quella bomba possa fare danni, rovinare una delle cinque rispettabilisse famiglie, che di comune accordo si decide di allevare la piccola tutti assieme, un po' per ciascuno. Mandorla si racconta in flashback disordinati, adesso che è maggiorenne. In gattabuia per un equivoco e un mezzo crimine d'amore, si domanda se sia giunto il caso di procedere con il test del DNA oppure no. Fare chiarezza e, con all'orizzonte una nottata che non vuole passare, lasciarsi andare a pronostici, desideri, ricordi favolosi. Chi vorrebbe, in cuor suo, fosse il padre biologico? Nel mio caso, curiosità e entusiasmo hanno seguito l'andamento di un'altalena nel vento.  Non amo i racconti, si sa, e Le luci nelle case degli altri, anche se compatto e scritto d'un fiato, ha la vaga struttura di una raccolta di novelle. Tina, maestra di scuola in pensione e zitella per sempre, ha il citofono che suona ogni due per tre, un'esistenza triste e un salotto che si anima per le visite di misteriosi ospiti notturni; Samuele e Caterina Grò, lui aspirante regista d'avanguardia e lei avvocato di grido, hanno in mezzo a loro un neonato che piange e l'ombra di una scappatella imperdonabile; Paolo e Michelangelo, coppia omosessuale e emblema di una nuova normalità, erano in grande intimità con la portinaia scomparsa: quanto?; Lorenzo e Lidia, lo scrittore e la speaker radiofonica, sanno che l'amore non è bello se non è litigarello; l'ingegnere Barilla e consorte, genitori della ribelle Giulia e del bel Matteo, sono l'immagine sputata dell'equilibrio e fonte di dubbi amletici. Mandorla ama Matteo, ma Matteo ama Mandorla? E se dovessero scoprirsi fratellastri, sai che tragedia! Alcune vincende inevitabilmente fanno breccia – quella della disperata signorina Polidoro, ad esempio, o dell'incompreso Samuele, a cui Hollywood ha rubato lo spunto per Pretty Woman – e altre si tollerano appena – al quarto piano, si chiacchiera un filino troppo per i miei gusti. Tipici rischi dei romanzi affollati, dei cori, in cui può esserci un figurante che non ti appare utile o, nell'armonia, una voce che non si amalgama al resto. Le luci nelle case degli altri si apre con una piccola illustrazione – a pagina uno, proprio un abbozzo di Via Grotta Perfetta 315 – e capitoli rapidissimi che riassumono lo sfortunato incidente dell'amichevole Maria, l'arrivo della notizia nel condominio, i telefoni che squillano a catena e il piano bizzarro di partecipare collettivamente all'educazione della piccola.  Mandorla ha così svariate famiglie ma nessun parente di sangue, una sensibilità unica nel suo genere e qualche problema a socializzare con i suoi coetanei: per non scontentare i suoi cinque papà e le sue cinque mamme – a lungo, però, penserà di essere figlia di un astronauta in missione sulla luna – ha messo su un guardaroba variopinto, una maschera di ingenuità, abitudini stranissime. Il romanzo più noto di Chiara è una commedia onirica e dal gusto parigino, dalla struttura perfettamente suddivisa e dallo stile farsesco, confidenziale, singolare. Ha il fare trasognato di Amèlie Poulain, la sua testra tra le nuvole, e un non so che di L'eleganza del riccio. A volte è un flusso di coscienza spruzzato di giallo, altre un'osservazione candida e arguta sui rapporti interpersonali e le imprevedibili coincidenze della vita. E sempre, alla fine dei capitoli, c'è ad attenderci una filastrocca di Mandorla; un'invocazione profana che ha lo stesso spirito della lettera tenerissima firmata da sua madre, all'indomani del parto. Mandorla è nata settimina, ecco perché già il nome la descrive come piccola e indifesa, e dinanzi a talune situazioni non sa come reagire. Desiderarsi, quindi, una tendina, uno striscione del gay pride, un comune libro di algebra... Un oggetto d'arredo qualsiasi per sentirsi parte, e per davvero, questa volta, di una casa con tutti i sacri crismi. Vestita di mille colori e mille tessuti, come uno spaventapasseri, la narratice si rivolge nelle sue preghiere della buonanotte a oggetti inanimati, ha paura di un famigerato spacciatore che un tempo si dice bighellonasse per il quartiere e, come una spugna, assorbe il necessario dagli adulti che, a periodi alterni, le danno il benvenuto sull'uscio di casa. Senza pregiudizi, Mandorla prende da loro il meglio - e, vuoi o non vuoi, il peggio. Se l'erba del vicino è sempre più verde, saranno forse sempre più luminose e avvolgenti le luci nelle case degli altri? Esistono i buoni, i cattivi, i talismani e, soprattutto, le famiglie come nella pubblicità del Mulino Bianco? Cinque piani senza ascensore, cinque storie. E la loro carissima Mandorla, che poi è anche un po' nostra, come costante e posto aggiunto a tavola.  Il mio voto: ★★★½  Il mio consiglio musicale: Abba – Mamma Mia

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