A Bigger Splash, un film di Luca Guadagnino. Con Tilda Swinton, Ralph Fiennes, Matthias Schoenaerts, Dakota Johnson, Corrado Guzzanti. Al cinema da giovedì 26 novembre.
Ariva in sala dopo la controversa accoglienza a Venezia il nuovo film di Luca Guadagnino. Spiazzante, e abbastanza lontano dal suo precedente Io sono l’amore. Perché stavolta Guadagnin non estetizza, non visconteggia, concentrandosi su quattro personaggi perlopiù repulsivi e sgradevoli in un interno-inferno. Fino a che qualcosa accadrà. Remake molto libero del lontano La piscina che ci impiega troppo a carburare. E però benissimo girato, in una Pantelleria allarmante e minacciosa fatta di polvere, sale, vento, muri scrostati, atmosfere corrose e ambigue. Terribile macchiettone di Corrado Guzzanti. Voto tra il 6 e il 7
Quando è stato presentato in press screening lo sorso settembre a Venezia, dov’era in concorso, l’accoglienza è andata da qualche fischio alla tipieda accoglianza. Del resto, erano settimane che sui social media di lanciavano frecce e anche cannonate preventive. Certo, Luca Guadagnino fa poco o niente per ingraziarsi le platee giornalistiche italiane, figuriamoci la galassia dei critici da social. Non fa parte di nessun clan e gioca per conto suo, esibisce un po’ troppo le sue connessioni international, il suo controllo dell’inglese (maneggiato meglio che nei film anglofoni di Sorrentino e Garrone), il suo sodalizio con quel totem d’attrice che è Tilda Swinton. Chiaro che la tentazione di fargliela pagare è forte. A Bigger Splash non è un film perfetto, anzi, e rischia di deludere gli angloamericani che hanno adorato Io sono l’amore, o meglio I am Love, vedendoci dentro la continuazione in altri modi del cinema altoborghese e stilisticamente iperconsapevole di Luchino Visconti. Sbagliando clamorosamente, perché quella era una pura operazione citazionista e manierista. Tant’è che stavolta Guadagnino scansa ogni formalismo, ogni illustrativismo, ogni tentazione e coazione alla grande bellezza che è stata spesso la malattia mortale di tanto cinema italiano del passato (e qualche volta anche di oggi), se ne frega di apparecchiare un’Italia, una Sicilia (siamo a Pantelleria) di massima seduttività come gli stranieri si immaginano, esigono, amano. Qualche straniero uscirà sconfortato da A Bigger Splash. Perché stavolta non ci sono le Ville Necchi e altre meraviglie, e la Pantelleria del film non è neanche quella assai cool dei grandi fotografi e stilisti che lì hanno acquistato dammusi su dammusi facendone uno smaltato paradiso per le loro fughe mediterranee. No, quella che ci viene mostrata è un’isola polverosa, battuta dal vento, minacciata da una natura ostile, corrosa, con case di vacanzieri certo bellissime ma più shabby che glamourous, e sempre sull’orlo del degrado. Una Pantelleria per niente levigata. Certo, è da urlo il ristorante sulle rocce a gradoni, ma è pur sempre roba popolare che nemmeno il turismo spocchioso d’alta gamma ce l’ha fatta a gentrificare, e così il resto che vediamo dell’isola. Dove, oltretutto, in un recinto stanno, guardati a vista, i migranti dei barconi venuti dalla Tunisia. Guadagnino gira e racconta benissimo, con una fluidità e naturalezza rare nel nostro cinema, applicando tutta la sua sapienza a remakizzare con molte libertà un classico del thriller psico-morboso di fine anni Sessanta come La piscina di Jacques Deray, e se là al centro della narrazione c’era la mitologica coppia Romy Schneider-Alain Delon al massimo del loro splendore fisico, qui ci sono Tilda Swinton e l’onnipresente Mathias Schoenaerts (e Swinton, liscissima e smagliante, sembra immune dal tempo, come se la sua vampira senza età di Only Lovers Left Alive le avesse passato la ricetta segreta). Lei, Marianne, è una cantante se ho ben capito del genere glam-rock (ma oggi? adesso?), che quando sta sul palco (la scena del concerto è stata girata a San Siro) sberluccica di strass che neanche Marc Bolan e David Bowie dei tempi belli (e dunque è una donna che cerca di somigliare a un uomo che si semitraveste da donna). Lui, Paul, è un regista di documentari ovviamente in crisi creativa e reduce da un tosto rehab. Sarebbero in vacanza, una tranquilla vacanza, se non arrivasse, ospite non atteso e non desiderato, il demoniaco Harry, produttore discografico già compagno di Marianne per molti anni, il quale, non bastasse la sua ingombrante presenza, si porta appresso la sua bellissima figliola, avuta si immagina da una qualche storia casuale e di cui è venuto a conoscenza solo l’anno prima. Ecco, il quadrilatero è stabilito, e naturalmente quello che vedremo sarà il suo scomporsi e ricomporsi. I quattro personaggi si muoveranno tutti dalla loro casella di partenza, si delineeranno nuove geometrie, si apriranno crepe e squilibri nella struttura relazionale, e uno di loro pagherà caro pagherà tutto. Harry ci riprova con Marianne, Paul ha paura che lei se ne vada, e però forse (forse) si fa la ragazzina. Un groviglio in cui ognuno gioca la sua partita e ha i suoi obiettivi segreti. Dell’originale di Jacques Deray non c’è il clima claustrofobico, non ci sono le sospensioni, qui si parla molto, moltissimo, troppo, si rinuncia alla cerimonia dell’amore e della morte scegliendo invece il tono della quotidianità, del realismo, togliendo così al film parecchie suggestioni. Ma nella seconda parte, quando i personaggi finiscono coll’entrare in collisione, A Bigger Splash acquista in spessore e interesse. Peccato che la prima parte sia troppo lunga, per un’ora succede poco, quasi niente. Sacrosanto porre le premesse di quel teatro della minaccia cui assisteremo di lì a poco, ma una sana asciugatura avrebbe aiutato. Nella colonna dei segni meno va anche collocato l’orrendo macchiettone di Corrado Guzzanti, maresciallo che parla come nei film di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, e davvero non lo si può sentire. Il meglio sta nella riproposta del mito del Mediterraneo assolato e pagano in cui il nord europeo (o l’americano) finisce inesorabilmente col perdere il controllo e farsi divorare dai propri demoni. Questa Pantelleria dove si consuma un sacrificio quasi rituale ricorda la Spagna barbara e pericolosa di Improvvisamente l’estate scorsa, e Ralph Fiennes è notevole nel tratteggiare il suo luciferino Harry, l’inglese che al sole del Sud riscopre il suo lato selvaggio e travolge la propria vita e quelle altrui. Tilda Swinton purtroppo non è di massima antipatia, e temo non solo per colpa del personaggio. Matthias Schoenaerts come Paul ha finalmente, dopo tante apparizioni da manichino (Suite francese, A Danish Girl), a disposizione un personaggio complesso e non si lascia scappare l’occasione. Guadagnino flirta parecchio con le mitologie del vecchio rock, alludendo al peggio e al meglio dei Rolling Stones, e non si può non pensare a Brian Jones, che proprio in una piscina fece la fine che sappiamo.