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È una verità universalmente riconosciuta che una fanciulla in età da marito debba spesso scegliere fra ragione e sentimento… soprattutto se incontra un rampollo di buona famiglia, che è anche una simpatica canaglia senza un soldo e che non ha alcuna intenzione di modificare il suo stile di vita. Dalle sue esperienze, infatti, Conrad Valmont (Jason Bateman), benestante figlio di papà abituato all’agiatezza, non ha mai imparato come si vive nella realtà ma, l’incontro con Beatrice, una fotomodella e avida lettrice di romanzi vittoriani, e in particolare di Jane Austen, lo spingerà a prendere coscienza di se stesso e a uscire da un’apatia intellettualmente soffocante.
7 giorni per cambiare è una sorta di film alleniano, senza però una sceneggiatura brillante e tagliente ma, con la stessa inclinazione alla commedia anche nel dramma. Scritto e diretto da Peter Glanz, prodotto dalla Uday Chopra e dalla Neda Armian, è il primo progetto della casa di produzione Yash Raj Film, che ha optato per narrare le tribolazioni di questo quarantenne benestante newyorkese, che fa dell’auto-critica sociale, senza privarsi troppo di un certo fascino compiaciuto verso se stesso.
Con diversi e riconoscibili riferimenti a opere di autori come il già citato Woody Allen e Godard (principalmente nel plot di certi personaggi, in alcune frasi e situazioni), si seguono le orme di questo scansafatiche che langue da un decennio sulla stesura di un romanzo ma che, per pigrizia, non ha mai iniziato. E Bateman coglie perfettamente i conflitti minori inerenti allo stile di vita lounge del protagonista ma, è meno efficace nell’articolare con la recitazione i grandi segni della crisi che la sua esistenza sta affrontando, forse, proprio a causa di una sceneggiatura che ha preferito consegnare gli sviluppi dell’anima di Valmont, dei personaggi che ruotano intorno a lui e della trama a una voce over romanzesca, che svela determinati punti chiave della storia, facendoli trasparire fuori dallo schermo anche lì dove certe scene appaiono insignificanti.
Olivia Wilde incarna la bella intellettuale, una versione newyorkese di Anna Karina. Peccato che non le sia concesso abbastanza spazio da poter essere veramente incastrata fra gli affetti di due uomini con caratteristiche molto simili fra loro, ma in competizione per il suo amore. Motivo per il quale il suo personaggio appare incompleto. Stessa sensazione di ha per uno sfocato Billy Crudup.
Rimane comunque molto accattivante che il cambiamento spirituale sia avvenuto solo in un brevissimo arco di tempo. Un periodo che però è arricchito da esperienze di trasformazioni tipiche della commedia romantica che poi vira repentinamente verso quella esistenziale.
Fabio Secchi Frau