Recensione a Selvaggia, i Chiaroscuri di Personalità di Giovanni Garufi Bozza, a cura di Lino Milita

Creato il 23 novembre 2013 da Andrea Leonelli @AndreaLeonelli
Questi chiaroscuri di personalità offrono un percorso di formazione per i protagonisti: Selvaggia, la ragazza dalle multiformi sfaccettature e Daniel il narratore delle vite reali e irreali. L’inclinazione alla curiosa sorpresa e al bisogno di formulare un senso complessivo della propria esistenza, accomuna le inclinazioni dei due giovani. Il mistero e la tragedia sovrastano i primi passi del loro percorso, e il pudore di scoprire la capacità di amare e di provare diversi modi di vivere genera reciproche domande. In una prima fase sembra che Selvaggia sia offerta dall’analisi e dal punto di vista di Daniel, come se fosse uno psicologo in attività. Nel corso degli eventi, la distinzione sfuma e le identità e i personaggi si avvicinano parlando alla pari l’un l’altro, coinvolgendo amici e parenti. Selvaggia si muove nello spazio determinando il ritmo nel percorrere i luoghi di Roma che è rievocata in forma quasi mitica per chi non l’abbia mai frequentata, e per gli altri è quasi familiare, anzi addirittura gergale perché immediatamente riconoscibile nei modi di dire e di vivere di alcuni specifici quartieri. Daniel si muove nel tempo scandendo il ritmo della narrazione sdoppiandosi tra un io narrato e l’io narrante. Selvaggia esige di non essere inquadrata e descritta nei luoghi in cui agisce e Daniel cerca di essere un passo più avanti rispetto allo scorrere degli eventi. In questo libro non tutto è strettamente circoscrivibile in sicure descrizioni e determinate azioni. Ognuno è molto e tanto di più di quello che appare nell’offrire specchi dai quali noi si possa riconoscere qualche nostra immagine.

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