Recensione: Allegiant, di Veronica Roth

Creato il 02 aprile 2014 da Mik_94
Dopo il post precedente con la recensione del film, torno a parlare della saga di Divergent. E per l'ultima volta. Ho finito ieri Allegiant e, tra alti e bassi, l'ho trovato una degna conclusione. Quel finale che tanti hanno trovato distrubante, per me aggiusta tutto, magicamente. La recensione non contiene spoiler Avevo paura che, se fossimo rimasti insieme, avremmo solo continuato a cozzare per sempre, e che alla fine tutti quegli scontri mi avrebbero mandata in pezzi. Ma ora so che io sono la lama e lui è la cote. Sono troppo forte per rompermi, e ogni volta che lo tocco divento migliore, più affilata.
Titolo: Allegiant Autrice: Veronica Roth Editore: DeAgostini Numero di pagine: 540 Prezzo: € 14,90 Sinossi: La realtà che Tris ha sempre conosciuto ormai non esiste più, cancellata nel modo più violento possibile dalla terrificante scoperta che il "sistema per fazioni" era solo il frutto di un esperimento. Circondata solo da orrore e tradimento, la ragazza non si lascia sfuggire l'opportunità di esplorare il mondo esterno, desiderosa di lasciarsi indietro i ricordi dolorosi e di cominciare una nuova vita insieme a Tobias. Ma ciò che trova è ancora più inquietante di quello che ha lasciato. Verità ancora più esplosive marchieranno per sempre le persone che ama, e ancora una volta Tris dovrà affrontare la complessità della natura umana e scegliere tra l'amore e il sacrificio.                                                   La recensione Sto con lui perché lo scelgo ogni giorno quando mi sveglio, ogni giorno in cui litighiamo o ci mentiamo o ci deludiamo a vicenda. Lo scelgo continuamente, e lui sceglie me.” Dovrei provare struggimento. Dovrei avvertire le fitte di un cuore infranto. Dovrei dire che odio la Roth e che, da ora in poi, è mia nemica giurata, a vita. Dovrei? Sono domande, ma senza punto interrogativo. Quello manca, ma la risposta c'è. Forse: forse dovrei. Invece sapete che i mancati lieto fine a me piacciono. Sono quelli che ricordo malvolentieri; gli unici che ricordo più a lungo. Parto così, dalla fine di Allegiant, ma senza svelarvi nulla. Gli stati arrabbiati su Facebook, le emoticon dall'aria triste, le recensioni che rimandano a notti insonni e a kleenex umidi, gli articoli e gli spoiler più vari vi hanno messo in guardia da tempo: le cose non vanno bene per tutti. Veronica Roth è così, un po' crudele. Come la Collins prima di lei, come Lauren Oliver. I distopici sono lotte, sono canti che inneggiano alla rivoluzione, sono parate di gente armata – e le vittime, i martiri, i militi ignoti sono necessari. Non puoi far guerra senza polvere da sparo, non puoi farla senza caduti. La Roth non è più coraggiosa, intrepida o cattiva dei suoi colleghi. Francamente, non è nemmeno più in gamba: per nulla. Soltanto giusta. Ho finito il libro e solo la fine mi ha suggerito che, in fondo, mi era piaciuto: nonostante tutto. Quella fine – forte, d'impatto, senza ritorno - che fa un effetto strano, ma che fa pur sempre effetto. Non ti scivola tra le dita con leggerezza. Ha il colore cupo del lutto, lieve ruvidezza al tatto. Ma non mi è sembrato il frutto sgradevole della spietatezza di una giovane autrice che gioca a fare Dio, né il definitivo raggiungimento della maturità di una ragazza – già nota a livello planetario – che ancora tanto ha da imparare. Non è una mattanza gratuita. Argina i contagi, limita i danni, salva il salvabile. Riassume in un gesto i valori di ogni Fazione e mette a tacere i contrasti idelogici. I vestiti si mescolano, non c'è più un confine. Lo dice il vestiario grigio pallido degli Abneganti da cui, liberi, fan capolino i tatuaggi degli Intrepidi. Perché si può essere sinceri, gentili, altruisti, coraggiosi senza bisogno di etichette superflue. Il discusso epilogo mette fine a tanto – vite, istituzioni, mondi – ma in quella tomba chiusa non ci sei anche tu. Sei all'aria aperta, e hai altra vita ancora, e hai altra speranza ancora. Le ultime pagine le leggi con un'ottica diversa. Qualcosa è venuto meno, e più di qualcuno. L'assenza diviene presenza nell'attimo in cui realizzi che è così che le cose dovevano andare e che sarebbe stato un imperdonabile passo falso affidarsi a una chiusa alternativa. Termine giusto: imperdonabile. Non gliel'avrei perdonato, e Allegiant, senza quel tocco lieve di disperazione, non sarebbe stato Allegiant. Il libro che, tra alti e bassi evidenti, mi è però piaciuto. Per quell'epilogo granata che diventa stranamente salvifico. Turba, abbindola, e ho lasciato che lo facesse senza troppe reticenze. Divergent mi era piaciuto, Insurgent no – ultime pagine a parte - e Allegiant è stato una lunga incognita fino alla fine. Ha tanti e troppi difetti, ma dire addio a quest'avventura senza l'anima in pace mi avrebbe fatto sentire... sbagliato. Ho potuto farlo grazie a un finale che disintegra qualcosa, ma aggiusta tutto. Mi ha aggiustato, mi ha soddisfatto. Gli epiloghi tutti rose e fiori non hanno fatto mai per me: me l'ha ricordato ieri anche mamma, al telefono. Sono d'altro tipo quelli che non si scordano. E dell'ultimo capitolo di questa trilogia il resto si scorda in fretta, purtroppo. L'immagine conclusiva la ricorderò, il resto meno. In un anno, dopo l'entusiasmo iniziale legato a Divergent, ho rivalutato questa serie, iniziata a marzo 2012 letteralmente col botto. Vedere il film mi ha ricodato quello che mi era piaciuto e quello che s'era perso, quando i toni – da dinamici e frizzanti - si erano fatti più seri, ripetitivi, pigri, libro dopo libro. Con Insurgent avevo avuto diverse difficoltà: per quanto scorrevole, avevo dovuto combattere contro il più duro tra gli avversari. La noia. Strategie che seguivo tra gli sbadigli, pagine superflue, personaggi di cui ignoravo beatamente l'esistenza e che morivano in passaggi senza sentimento, una società distopica dai tratti vaghi e sbavati. Comprimari dalle doppie facce e con ruoli ambigui non dotati di vita propria, ma agganciati a caratterizzazioni sbrigative che di loro mi facevano conoscere – a stento – il nome. Poi era arrivato il finale. Veronica Roth e i finali vanno d'accordo. Avrei voluto sapere, avrei voluto indagare, avrei voluto conoscere il peso dei segreti nascosti oltre i confini di Chicago.  Tutto veniva messo in discussione, tutto era una bugia. Tutto mi aveva elettrizzato. Avrei dovuto aspettare un anno intero per soddisfare la mia curiosità – come potevo? Ho iniziato Allegiant con il terrore di trovarmi tra le mani un secondo, lentissimo Insurgent. Prevenuto, psicologicamente pronto. Invece la scrittura della Roth è soggetta a molte pecche, ma non contempla lentezza. Tra i lati positivi, indubbiamente, una velocità che si scambia per furia e impeto e fa di queste 538 pagine un intenso concentrato da bere d'un fiato. Il ritmo serrato è quello che era presente, in parte, nel primo volume. I difetti sono gli stessi che, più consapevole, ho riscontrato nel secondo. Lo stile: un tracciato del tutto piatto, che non asseconda le linee di una trama che prevede cime aguzze e abissi. Manca di personalità, potenza, luce. Linearissimo, non ha quasi colore. Le descrizioni rapidissime ed essenziali dei volumi precedendi lo nascondevano. Qui - quando è richiesta una maturità aggiunta, una marcia in più – la giovane autrice mette in luce la sua inesperienza, le sue lacune. Si percepisce per due fattori: l'introduzione di un duplice punto di vista, il poco discreto e massiccio intervento della Roth per girare e rigirare le carte in tavole. Continuamente. L'espediente di una seconda voce narrante – particolarmente in voga nei romanzi distopici, da Requiem a Crossed – è di per sé intelligente, se usato bene. Si possono sperimentare registri diversi, si può rivoluzionare l'intreccio con uno sguardo tutto nuovo. Si può, potenzialmente. Le voci di Tris e Tobias, invece, risultano interscambiabili, identiche. I nomi all'inizio di ogni capitolo ci dicono a chi appartengono, altrimenti sarebbe impossibile distinguere lui da lei. Tobias si omologa al solito coro, canta nella tonalità scelta – due libri prima – per Tris. Il più interessante è lui. Sarà che la fermezza della protagonista, a volte, si scambiava per freddezza e, nei suoi confronti, erano cresciuti minuscoli momenti di insofferenza; sarà che, in un plot a tratti ripetitivo, lui è la novità autentica ed è novità autentica leggere sensibilità e vulnerabilità nel cuore dell'uomo che non ha paure. In mezzo a comparse fugaci, a comprimari di cui tra qualche tempo dimenticherò perfino l'esistenza, degno di nota il personaggio di Caleb: il fratello, il traditore. Ha qualcosa – e non so cosa – che, nonostante i suoi vecchi gesti, rende aberrante l'idea di marchiarlo come un capro espiatorio. Sbaglia, impara, resiste agli schiaffi e alle occhiate torve della sorella con impassibilità assoluta. E' di un'umanità che comprendi. La pelle del viso di lui e quella delle nocche di lei hanno la stessa sfumatura, tra il viola, il blu e il verde, come se se la fossero colorata con i pennarelli. Questo è quel che succede quando due fratelli si scontrano, si fanno male entrambi nello stesso modo. Mentre i rapporti familiari risultano alquando ben delineati, l'intreccio scivola su cardini non bene oleati. E ho usato la parola intreccio non a caso, tra tanti possibili sinonimi. Di Allegiant si vedono da lontano, ad occhio nudo, i fili e le trame che ne compongono l'ordito. Tutto è molto macchinoso, schematico: a determinate azioni seguono determinate reazioni, perché è così e basta. Lo dice la Roth. L'autrice non ti porta gradualmente alla meta. Delimita una strada precisa che non puoi oltrepassare, lungo la quale devi obbligatoriamente proseguire: come lungo le rotaie del tunnel della paura di un luna park standard. La distopia, in Allegiant, si rivela quel luna park fatto di rotaie fisse. Nel secondo fa una promessa solenne e, sin dalle prime pagine, il compito dell'autrice è quello di portarti a vedere cosa c'è fuori. Come vivono oltre la Recinzione? Immaginavo un colpo di scena alla The Village, in cui una comunità senza tempo si teneva lontana dalla nostra società e dall'avvento della modernità per scelta. Invece, scoprire che tra dentro e fuori passa una differenza trascurabilissima mi ha deluso profondamente. Si nascondono, lì, segreti che non sconvolgono e lotte che, di peso, sono trasportate dal mitico covo degli Intrepidi a laboratori tecnologici che hanno fatto di Chicago un esperimento vivente. Momenti di stasi non ne sono presenti e l'azione pura, di tanto in tanto, viene stemperata con qualche raro momento di intimità. Ci sono troppi baci tra i protagonisti, ma l'intimità sincera, reale, si respira solo alcune volte. Baci che, ripetuti, esasperanti, onnipresenti, diventano l'atto meno romantico di questo mondo. Ci sono, in Allegiant e nella saga tutta, cose che oggettivamente non vanno: tratti da cesellare, una “personalità stilistica” da creare dal nulla, scivoloni grossolani. A volte, anche la struttura della distopia stessa – tutt'altro che infallibile - sembra fare acqua e il messaggio appare semplicistico e vago. Il solito. Le cose brutte, da dire, apparentemente superano numericamente quelle belle, ma tre libri sono passati in fretta e l'anno prossimo, senza il bisogno di aspettarne uno nuovo, potrei sentirne una certa mancanza. Le sensazioni negative, con un po' di inevitabile malinconia, sono surclassate dalle positive. Tutto merito – o colpa? - di un finale che si fa ricordare, anche se in un volume non perfetto. Dopo gli epiloghi svogliati di Multiversum e Delirium, quello della trilogia di Divergent è il primo – quest'anno – a convincermi. E' coerente. Coerentemente si trascina dietro i difetti di sempre, coerentemente rende omaggio a personaggi privi di contraddizioni. Allegiant, infatti, è fatto di quella tristezza che non deprime. Non è una mezzanotte che scende per non abbandonarti mai più. Non è eclissi totale del cuore. Potrebbe giocarti un tiro mancino, ma sa portati su luoghi che conosci e lasciarti nel posto giusto. Nel modo giusto. Dove tutto è iniziato e dove un salto nel vuoto può ricordati di cosa hai paura, perché hai paura, e che la vertigine che percepisci la percepisci perché, in te, scorre ancora vita liquida. Intorno, gli amici, le nuvole, la cenere. Ricordi sparsi di prime volte che hanno imparato a non far più male. Il mio voto: ★★★★ Il mio consiglio musicale: Ellie Goulding – Beating Heart

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