[Recensione] American Horror Story: Coven (di Ryan Murphy e Brad Falchuk, 2013-14)

Creato il 13 febbraio 2014 da Frank_romantico @Combinazione_C

E' vero, ad un certo punto ho smesso di parlare di American Horror Story: Coven e la cosa sembrava finita lì. Non perché io abbia smesso di seguire la serie ma perché, per una serie di motivi, ho mollato la visione regolare e ho recuperato il tempo perduto solo in tempo per il gran finale. Ed eccoci a un paio di settimane dalla fine della terza stagione del fortunato franchising ideato da Ryan Murphy e Brad Falchuk giusto il tempo di tirare le somme. E alla fine si tratta di prendere il discorso da dove lo avevamo lasciato, quindi se avete visto anche voi la serie vi invito a rileggere questo, questo e quest'altro post. Se invece non avete visto la serie o non l'avete finita, vi invito a non leggere proprio, perché così io non vi faccio spoiler e voi non mi bestemmiate. 
Allora, le aspettative erano altissime e l'inizio di questa terza stagione dell'unica vera serie dell'orrore probabilmente le aveva ingigantite. Niente di strano dopo quel piccolo capolavoro che era stata la seconda, American Horror Story: Asylum. Il problema è che gran parte di queste aspettative, andando avanti, sono state tradite e quel che è rimasto è stato una serie di pregi e di difetti accentuati da un'altalenante resa (tele)visiva e da una sceneggiatura che procede per accumulo. Perché in Coven - ma succedeva anche in Asylum e in Murder House - c'è l'eccesso e il tentativo di rendere questo eccesso spettacolare, c'è il caos e il tentativo di ordinarlo secondo le regole televisive e renderlo digeribile dallo spettatore che, vorrei ricordarlo, non può essere solo l'horror-maniaco di turno. E allora si accumulano le idee, i personaggi, le linee narrative. Sembra quasi che in Coven Murphy e Falchuk abbiano deciso di puntare tutto sulla saturazione, spingendo il pedale sul grottesco, sulla violenza, sul teen drama fondendo commedia, tragedia (nel senso classico del termine), mistero. E horror, ovviamente. 

Il problema è proprio questo: manca equilibrio. Se in una ricetta esageri con gli ingredienti e con le dosi degli ingredienti non esce un buon piatto, esce solo una schifezza. Ed è stato un vero e proprio miracolo che questa stagione di AHS non sia esplosa tra le mani dei suoi autori rivelandosi un disastro clamoroso. Ma andiamo con ordine:
Le streghe esistono ma sono una specie in via d'estinzione. A New Orleans c'è l'ultima congrega spacciata per scuola per giovani dotate. A gestirla è Cordelia, strega senza talento ma figlia della Suprema, la strega più potente della propria generazione. In questo caso la Suprema si chiama Fiona ed è un'egoista malata di cancro che si preoccupa di preservare solo la sua inutile esistenza. In realtà la sua decadenza è dovuta alla nascita di una nuova Suprema che, sul punto di rivelarsi, le sta rubando poteri e forza vitale. Ma chi è questa fantomatica nuova leader della congrega? La risposta è nella manciata di giovani streghe che vivono al suo interno... forse!

Questa è a grandi linee la trama principale. Poi ci sono una marea di sotto trame non meno importanti, così tante che, ad un certo punto, Murphy e Falchuk non sono più riusciti a portarle avanti senza svilirle. Come sono stati sviliti alcuni punti tematici inizialmente abbozzati, a partire dallo scontro/confronto tra scienza e magia per continuare con il razzismo, il femminismo, la violenza sulle donne, il dramma dell'adolescenza e la tragedia dell'amore. Tanti temi tutti abbastanza complicati, figuriamoci se si cerca di trattarli tutti assieme in 13 puntate di 50 minuti l'una. E poi una marea di personaggi messi da parte e ripresi in seguito, storie che vengono ripercorse tra sangue e rimmel, tra presente e passato. Nel mezzo ci hanno messo: assalti zombie, voodoo, immortali, serial killer armati di ascia, cacciatori di streghe, pseudo mostri di Frankenstein, Harry Potter. Tutto, troppo, niente. Perché se a qualche puntata dalla fine l'unica domanda che valeva la pena porsi era "chi diavolo è la Suprema", vuol dire che c'è qualcosa che non va. Che poi la suprema io l'avevo individuata subito proprio perché la meno logica e, allo stesso tempo, la più probabile: Cordelia, quella che fino all'ultimo momento non si era cagato nessuno, interpretata da una Sarah Paulson sottotono (e che si riprende solo nel finale di stagione).

Quel che resta è Jessica Lange, meravigliosa e noiosa allo stesso tempo, affiancata da una Kathy Bates versione Elizabeth Bathory razzista, protagonista di torture che neanche Park Chan Wook, e da Angela Basset che, nel ruolo di una regina voodoo, da possibile antagonista è diventa evitabile comprimaria. E poi Lily Rabe nel ruolo di Misty Day che, insieme a Gabourey Sidibe (la bambola voodoo Queenie) e a Jamie Brewer (Nan), è il personaggio migliore di questo Coven. Grandi delusioni invece le super star Taissa Farmiga - che non ha un grammo dell'sex appela di sua sorella Vera - e Emma Roberts - la nipote di Julia Roberts nel ruolo della sexy zoccola Madison Montgomery - imprigionate in personaggi grotteschi, irritanti, scritti male.  Infine ci sono gli uomini. Se il maggiordomo Spalding da cult diventa scult, lo zombie Kyle (il solito Evan Peters) rimane l'ibrido tra una citazione di Mary Shelley e un personaggio di Twilight. Per non parlare della delusione Axeman (un comunque bravissimo Danny Huston), il killer armato di accetta che poteva essere il personaggio maschile migliore ma che viene relegato a semplice burattino innamorato, e Hank Foxx (Josh Hamilton) cacciatore di streghe infiltrato e, per lo meno, protagonista della più bella sparatoria della storia della tivù.

E allora com'è questo AHS: Coven? Una serie riuscita a metà, con troppi filler (episodi riempitivi) e troppi momenti che aggiungono poco. A volte spettacolo puro e semplice, intrattenimento che sarebbe potuto essere qualcosa di più ma che invece no. Altre la prova che si può parlare di cose serie senza logorroici pipponi qualunquisti. Troppi alti e bassi, troppe occasioni sprecate, troppa carne al fuoco. Ma ad influire sul giudizio è l'impietoso confronto con la stagione precedente, quel Asylum troppo difficile da eguagliare, figuriamoci da superare. Ma se volete la mia pura e semplice opinione, qui si tratta comunque di stravolgere le regole televisive giocando con quelle di genere. Perché Coven resta il terzo capitolo dell'unica, vera serie horror per la tivù. E la colonna sonora è tra le migliori mai sentite. Ci sta, ci sta tutta. Aspettando la quarta e sperando che alcuni difetti vengano corretti. 


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