Autore: Lorenzo Mazzoni
Editore: La Gru
ISBN: 9788897092544
Anno: 2013
Lingua: italiana
Numero pagine: 184
Prezzo: € 15,00
Genere:Attualità, Noir
Voto:
Contenuto: Il romanzo, ambientato fra lo Yemen e l’Egitto, indaga nelle piaghe della società e si nutre di atti e pensieri folli e disumani. Tra atmosfere cupe, violenze, terrorismo e interessi di politica internazionale, Lorenzo Mazzoni ci offre una storia senza pietà, ignorando completamente l’ipotesi di un lieto fine standard, immergendosi in un viaggio senza ritorno nelle fragilità umane. Apologia di uomini inutili non è dunque una lettura d’evasione. È una lettura di liberazione, anche se dolorosa, perché pensare a tutto ciò che lasciamo accadere sotto i nostri occhi di occidentali può far male.
Recensione: I personaggi raffigurati nel romanzo sono pedine fuori dalla propria scacchiera. Credo sia questo il miglior modo di definirli. Non hanno le idee chiare su chi siano, quale sia il loro destino. Paco, addirittura, non ricorda “con che parola l’abbiano battezzato in una fredda mattina di tanto tempo prima”. Tra quelli che lo attorniano, è uno dei pochi a non formare gruppo, ad avere la parvenza di cane sciolto. Incontriamo via via, gli altri personaggi, tra cui Jerry, un operatore turistico pronto ad abbandonare i suoi Colli Euganei e raggiungere l’Egitto.
La nostra attenzione si focalizza subito su M.U., un ex venditore di attrezzi di ferramenta, dalla psicologia fragile, laureato con una tesi sui Fratelli Musulmani e protagonista di quella che possiamo considerare la scena chiave. Subisce uno shock profondo – e a dire il vero noi con lui – quando, a casa dell’amico Damiano, in un DVD che avrebbe dovuto registrare il resoconto di una vacanza, è testimone di un episodio di violenza che chiamare atroce è poco. Ciò di cui è testimone gli lacera i nervi, dissolve il suo io. Si è reso colpevole per il solo fatto di esserne venuto a conoscenza, di aver visto.
M.U. osservava, muto, con i denti sulle labbra.
«Non ci hanno mai accusato… è facile farla franca in quel paese di scimmie gialle» disse Damiano, spegnendo il lettore DVD.
M.U. era morto.
Seguono le domande senza risposta, la disperazione:
Perché Damiano gli aveva fatto vedere? Che cosa voleva dimostrargli? Forse che l’orrore esiste? Che è insito dentro di noi? Era la sua confessione?
O lo riteneva simile a lui?
M.U. si veste da giustiziere, tenta di prendere le distanze da una realtà dalla quale non potrà più fuggire, macchiandosi egli stesso di un delitto, perché uccide a sangue freddo il responsabile del suo improvviso malessere. Inizia una peregrinazione senza una meta precisa. Si stupisce, di scalo in scalo, di non essere arrestato, rinchiuso. A Hurghada, al Fort Arabesque, incontra Jerry, Elisa, si insinua nelle vite degli altri. Quindi incrocerà Paco. Ormai è cambiato, è una mina vacante, ha una pistola carica sul petto, potrebbe uccidere ancora in qualsiasi momento. Odia se stesso e l’intero genere umano, i suoi occhi sono spenti, è divenuto un automa dai deliri inestricabili.
Certo il romanzo è scritto con sofferenza, è un atto di denuncia che chiama giustizia. Il linguaggio tuttavia dice meno di quanto vorrebbe, soffocato, in parte, dalla velocità imposta dal genere noir al quale appartiene.
Il racconto assume qua e là un che di caotico e frammentario, anche se colpisce nel segno: il lettore attraverso la scrittura spalleggia Mario Urtica (M.U.), condivide lo sgomento dell’autore. Non so se si poteva andare oltre, più a fondo dentro una storia che pesa, come spada di Damocle, su noi Occidentali. Qui non si parla di criminali incalliti, ma di persone comuni pronte a divenire tali all’occasione, per il solo fatto di uscire dalle regole, dai ranghi del proprio mondo, dalla scacchiera che li racchiude. Il rischio esistenziale corso dall’autore nel mettere mano a queste pagine non consentiva di più.