Recensione: Arrivano i pagliacci, di Chiara Gamberale
Creato il 23 settembre 2014 da Mik_94
Ciao
a tutti, amici. Questo pomeriggio, nuova recensione di un romanzo
nuovo e vecchio insieme. Arrivano i pagliacci è l'ultimo
romanzo di Chiara Gamberale arrivato in libreria, ma allo stesso
tempo è anche uno dei primi: ormai introvabile, è stato ristampato,
con una nuova veste grafica che adoro. Copertina bellissima,
assolutamente. Ma non si giudica da quella, quindi – grazie a
Maddalena, che saluto anche qui – l'ho letto e ve ne parlo, mentre
parlo un po' anche di me. Inevitabile, con quella chiacchierona di
Allegra che, anche se non vuoi, ti spinge ad aprirti e a condividere
ricordi. La butto lì: penso che di Chiara, finora, sia il libro che
ho preferito. Un abbraccio e buona settimana, M.
L'importante
è non tradirsi. E, ogni tanto, ricominciarsi.
Titolo:
Arrivano i pagliacci
Autrice:
Chiara Gamberale
Editore:
Mondadori
Numero
di pagine: 204
Prezzo:
€ 15,00
Sinossi:
Allegra
Lunare ha vent'anni, è nel momento in cui la vita, per molti,
comincia: invece per lei finisce, e deve trovare il coraggio per
iniziarne una tutta nuova. Allora Allegra scrive: per non avere
paura, per salvarsi l'infanzia, per non dimenticare il senso delle
persone e delle cose che sono stati il suo mondo fino a quel momento.
Scrive una lettera ai nuovi inquilini che abiteranno la casa dove ha
vissuto con la sua bizzarra famiglia, e prende spunto dagli oggetti
che rimangono nell'appartamento e di quei pochi che porterà con sé.
Ognuno di essi racconta una storia: quella di suo padre,
universitario rivoluzionario, e della mamma, giovanissima modella
americana; la nascita di suo fratello Giuliano, con la sindrome di
down; l'amore magico tra Adriana e Matilde; l'incontro con Zuellen,
che è affamata d'amore e sa trasformare tutto in qualcos'altro; le
cose che ha imparato a teatro e al circo, la più importante: che
dopo il numero dei trapezi arriva sempre il numero dei pagliacci...
La scrittura di Allegra procede come il respiro veloce della
giovinezza, quando si ha fretta di capire: per libere associazioni,
per assonanze del cuore, accostando ai sentimenti cose che ne sono i
correlativi oggettivi, e che spesso li esprimono con maggior potenza.
Il suo sguardo si posa su ogni spazio da una prospettiva inattesa,
filtrato dalle lenti colorate con cui ha imparato a osservare la vita
per non essere lambita dalle sue ombre: e ci restituisce
un'istantanea candida e acutissima al tempo stesso.
La recensione
Nell'ultimo
anno e mezzo, non so quante case ho visitato. Più di quanto sia
stato necessario o possibile nei diciannove anni direttamente
precedenti. E la cosa mi imbarazza, a morte. Nella mia lunga e
personale lista di fattori che mi pietrificano, e mi rendono
insicuro, e non mi fanno spiccicare più di una manciata di parole di
circostanza, visitare le case altrui occupa i primi, primissimi,
posti. Dopo parlare a telefono con dei perfetti sconosciuti, chiedere
informazioni ai passanti senza balbettare, alzare la mano in una
platea che ha orecchie solo per me, sentire la mia voce nelle
registrazioni e non riconoscerla, e via dicendo. Io sono uno che si
imbarazza facilmente: già. Da bambino, invitato a casa di un
compagnetto di scuola, rifiutavo bicchieri di limonata, pezzi di
torta, merendine, partite ai videogiochi. Tutto, con un cortese no,
grazie. Quasi sempre. Non chiedo acqua, anche se muoio di sete. Non
chiedo dov'è il bagno?, anche se rischio di farmela nelle mutande.
Adesso: immaginatemi mentre, per un anno di università che sta
nuovamente per cominciare, cerco casa. Setacciare gli annunci,
staccare i numeri di telefono, digitarli. Contattare telefonicamente
estranei: la prima violazione di una voce scritta nella famosa lista,
per iniziare proprio al meglio. Figuratevi quando si tratta di
calpestare i loro zerbini, gridare un Permesso? di circostanza,
mettere il naso tra le loro stanze, anche se una di quelle stanze,
poi, potrebbe diventare la mia. Dettagli. Sono comunque un barbaro
invasore dai piedi pesanti. Io vivrei in pigiama, penso che tutti
vivrebbero in pigiama e, dunque, il realizzare che quei forse futuri
coinquilini abbiano indossato jeans, maglietta e scarpe solo per me
mi mette come in soggezione. Non mi merito un abbigliamento di tutto
punto, ché tanto non so neanche se quella casa la prendo oppure no:
pantaloncini ed infradito mi avrebbero fatto sentire meno a disagio,
mentre cammino tra le loro vite, e mi dicono che questo è il bagno
(e io cerco di non violare la privacy dei loro spazzolini
gocciolanti, dei loro sciampi finiti, della loro biancheria messa ad
asciugare sul termosifone spento), questa è la cucina (e io non
guardo le tazze sporche nel lavello per cui si scusano, le macchie
sul tavolino che i libri sparpagliati nascondono, le bottiglie di
birra sulla credenza come una collezione), questa è la tua stanza (e
qui uno sguardo più lungo posso concedermelo, tanto è spoglia e
forse aspetta me, le mie foto, il mio accurato disordine). Spese
escluse o spese incluse? Il canone Rai, la caldaia, l'Adsl, il
condominio...? Spari di cifre, strette di mano, sorrisi a labbra
strette, la promessa di risentirci. Ti farò sapere. E però c'è
quella locataria che ti trattiene la mano più del dovuto.
Non si
limita a stringerla, ma in un gesto, in un attimo, ti tocca la linea
della vita, dell'amore, della fortuna e ti offre da bere un caffè
sciacquo. Rifiuti, ma lei non sente. Ti inizia a parlare, ma non
senti tu. Allegra Lunare dev'essere pazza, ma è una pazza di
quelle... gentili. Ci tiene a dirmi che il suo film preferito è Dirty
Dancing, che non leggerà mai Proust, che vuole recitare a
Broadway, che ha perso la verginità a sedici anni e, tirando su col
naso, aggiunge che in quella casa ci è nata e cresciuta.
Abbandonarla è difficile, tagliare il cordone ombelicale a vent'anni
fa strano e fa male, ma deve. Sa solo lei perché, ma deve. Mi
racconta una storia di famiglia di cui, inizialmente, mi frega poco.
Non appoggio i gomiti sul tavolo, tengo le braccia conserte, non mi
avvicino al bordo della sua verità. Ascolto Allegra, ma come si
ascolta un discorso privato che, nonostante le voci alte e gli
strilli, non è rivolto a noi. Prende una foto di famiglia e mi indica chi se ne è andato e chi c'è ancora. Chi
non c'è più, e chi c'è, ma sotto altre forme e altri tetti. Ma a
me che me ne importa della mamma bambina con l'accento americano; del
padre che dietro la cattedra da professorino ha nascosto i sogni
rivoluzionari che faceva in gioventù, al tempo delle kefieh e
dell'amore; delle zie lesbiche, di cui Allegra non si è mai mai
domandata se fosse giusto o sbagliato che stessero insieme; del
fratellino (-ino, anche se è più grande) down e della
migliore amica dal nome storpiato causa Dallas, che morirebbe
per un bacio appassionato e una fuga romantica lontano dalle suore?
Niente m'importa, così le faccio: Ma io, Allegra Lunare, ti vengo
forse a dire che sono mezzo siciliano e mezzo napoletano, ma odio la
matematica, le divisioni, le mezze misure e quindi mi sento un po'
perso, sapendo che appartengo a due luoghi e a nessuno al tempo
stesso; che vivo in Molise, ma il Molise non esiste, quindi ciao; che
mia nonna, manco fosse Demi Moore, cinquant'anni fa mi ha trovato un
nonno di cinque anni più giovane di lei; che mia mamma la immagino
tipo La moglie dell'uomo che viaggiava nel tempo, mentre mio
padre scortava delinquenti al nord; che io sono nato con quattro anni
di ritardo e che mio fratello è nato per caso, con una spalletta
rotta e un soffio al cuore; che... che... che la tua storia è
confusa, pazza, sottosopra, sgrammaticata, senza controllo? Guarda,
sei uscita dai margini. Sei andata fuori traccia, hai fatto un
pasticcio di scolorina e sottolineature, hai mandato a quel paese le
care lezioni di grammatica, con frasi chilometriche, salti temporali,
bugie. Non si dicono le bugie! Mi stoppo, con tanto di mano spalmata
sulla bocca. Non dico i fatti miei alle persone, non dico i fatti
miei a personaggi dei libri. Suppongo, tuttavia, che Arrivano i
pagliacci lo consenta. Quando certi autori sono onesti con te, tu
devi essere onesto con loro. Un ricordo per un ricordo, una vita per
una vita. Davanti ad Arrivano i pagliacci, ho reagito come
davanti ad Allegra – questa padrona di casa estroversa, impicciona,
logorroica, che ti fa trovare l'appartamento pieno di scatoloni.
Altri scatoloni da aggiungere ai tuoi, e tu ti chiedi cosa te ne
farai. Io, all'inizio, mi sono domandato cosa me ne sarei fatto di
Arrivano i pagliacci, il romanzo che non era un romanzo. Le
confidenze troppo intime: mi imbarazzano anche quelle. Poi, non so
dire quando, mi sono sciolto: messo a mio agio, ma anche liquefatto.
L'epilogo, con un colpo di scena fortissimo, mi ha fatto stare male.
Gli occhiali rosa della protagonista si erano graffiati e lei, che
vive di amori immaginari e non sa come Love Story e Titanic
vanno a finire, a vent'anni scopre il dolore. Se fosse una maschera,
sarebbe Pierrot: in mezzo al carnevale, ma con una lacrima solitaria
sulla guancia. Parlavo io, parlavo Allegra e mi è venuta in mente
nonna che, alle rimpatriate, quando beve un sorso di limoncello in
più, inizia a straparlare – sempre delle stesse cose – e a
costruire per l'aria alberi genealogici e racconti, sui nipoti, le
cognate e i generi, i figli pestiferi e le matrigne che sembrano
uscite dalla favola di Cenerentola. Stasera la chiamo e glielo
dico che ho pensato a lei: la prossima volta, porto con me il libro
di Chiara Gamberale. E chi è, la tua fidanzata?, mi chiederà. No,
nonna, è una scrittrice e il suo romanzo, ritornato nelle librerie
dopo quattoridici anni, mi ha fatto pensare a noi. Mi dirà che lei
un po' non ci vede e un po' non sa leggere bene, perché non ha
finito le scuole. E' piena di acciacchi, con le medicine che
prende a cena le viene sonno, e con i libri scritti in piccolo ancora
di più. Lo leggiamo insieme, dico, e la saluto, ricordandole che
dopo il numero dei trapezisti arrivano i pagliacci. Un libro piccolo
e imperfetto, questo, che mi ha fatto parlare a macchinetta di cose che non interessano a nessuno e ricordare Il
favoloso mondo di Amélie, L'ultima ruota del carro, La
kryptonite nella borsa e le
storie che, a tavola, si raccontano a casa mia, vostra, nostra.
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: Andrea Nardinocchi feat. Danti - Le Pareti
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