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Recensione: ASSOLO di Laura Morante. Tutti gli uomini di Flavia

Creato il 10 gennaio 2016 da Luigilocatelli

_TPL2730Assolo-�FrancescaFago_0Assolo, un film di Laura Morante. Con Laura Morante, Piera Degli Esposti, Francesco Pannofino, Lambert Wilson, Marco Giallini, Donatella Finocchiaro, Angela Finocchiaro, Antonello Fassari, Gigio Alberti, Carolina Crescentini, Giovanni Anzaldo, Filippo Tirabassi, Emanuela Grimalda, Edoardo Pesce.
TPL9173©FrancescaFago-1024x684IMG_5505Assolo©FrancescaFago-1024x697Al suo secondo film da regista dopo Ciliegine, Laura Morante realizza un film garbato e (moderatamente) divertente, e però appesantito da freudismi e fellinismi un filo fuori tempo. Protagonista una signora ‘alla ricerca di se stessa’ dalle storie alquanto complicate con gli uomini. Cast assai ricco, da Giallini a Lambert Wilson: tutti alla corte di Laura. Voto 6 meno
_TPL3553Assolo-�FrancescaFago_0Incredibile, il veterofemminismo, quello più ideologico e schematico, non muore mai. In quella categoria, dove se no?, vanno inscritti difatti i disgraziati commenti a questo film che ho captato uscendo dalla proiezione e letto sui social, tutta un’indignazione verso Laura Morante e la sua protagonista così psicodipendente dagli uomini, così poco assertiva, così perdente, così scarsamente dotata di quel nuovo feticcio universale, soprattutto della popolazione femminile d’Occidente, che è l’autostima (che poi altro non è che una delle tante declinazioni della malattia narcistica che tutti ci sovrasta e avvolge). E allora di fronte ad attacchi tanto scemi come non stare dalla parte della Morante? Lei, che ha una carriera illustre tutta dalla parte giusta e con i registi giusti, trattata come una sciacquetta inconsapevole-dei-suoi-diritti-di-donna-in-quanto-donna. E che diamine, sarà ancora possibile o no mettere in film senza finire sotto attacco una donna sui cinquant’anni che si interroghi con una certa amarezza ma senza autoindulgenze e senza piagnistei sul casino, soprattutto in fatto di uomini (tutti sbagliati!), della sua vita passata e presente? Dobbiamo per forza sorbirci amazzoni vincenti, trionfanti, magari stronzissime e però mai corrose dal dubbio e dall’insicurezza? Se mai, i problemi di questo film assai garbato ma un filo datato stanno da un’altra parte. Laura Morante, che mostra di saperci fare come autrice muovendosi in una commedia poco sguaiatamente italiana e più di modi e costumi alla francese, si fida troppo poco di se stessa e della sua capacità di raccontare e divertire, e infarcisce il suo Assolo di sottotrame meno comedy e più seriose che poco aggiungono e molto tolgono alla polpa del film, in primis quelle tremende sedute dalla psicanalista (Piera Degli Esposti). Come in un Woody Allen d’epoca, il passepartout (vagamente) freudiano viene usato per spiegarci le nevrosi della protagonista Flavia (Laura Morante) e indicare pure la strada del suo riscatto e redenzione. Ecco, l’idea del cinema come terapia, e di una terapia come asse narrativo di un film, è quanto di più vetusto oggi ci sia, visto che tutt’al più ne escono – come in questo caso – interpretazioncine da rubrica di sostegno-e-supporto da settimanale femminile, tutto un lei deve aprire quella porta che ha sempre tenuto chiusa nella sua vita, e deve credere maggiormente in se stessa, e non deve avere paura di ricominciare e di buttarsi. Quisquilie, ecco. Che oltretutto in Assolo sono una gran zeppa, allungando il racconto e abbassandone il ritmo col rischio di indurre sonnolenza nello spettatore meno avvinto dalla trama, soprattutto lo spettatore maschio, giacché è probabile che le donne siano più interessate alla faccenda.
Flavia è una bella signora nei suoi fisicamente dorati cinquanta, e francamente, nel vederla tanto splendente, non si capiscono tutti quei suoi problemi con gli uomini. Che son tutti lì, gli uomini della sua vita, nella sequenza di apertura, il funerale di lei, con loro in nero a piangere o mica tanto a piangere e invece a commentare e lanciare veleni e acidi sulla defunta. Naturalmente, lo si capisce dopo due-secondi-due, si tratta di un sogno che Flavia sta raccontando alla sua analista, ed è invenzione abbastanza furba per introdurre d’un botto tutta la questione e tutte le persone intorno a cui la narrazione ruoterà. Ecco il primo, gioviale e abbastanza rozzo marito, adesso risposato con un’assai femminilmente tradizionale insegnante. Ecco il secondo marito, che sta per mollarla per una dietologa. I due figli, il primo di primo letto, il secondo di secondo. L’amante francese, sì proprio amante visto che è sposato e si vede clandestinamente con Flavia, che continua a promettere ma poi non si decide mai a mollare la moglie (è un Lambert Wilson sempre molto a posto, vivente citazione del periodo francese della Morante: insieme se ricordo bene hanno girato un Resnais, e forse anche qualcos’altro). Il collega – Flavia lavora in un hotel in via di ristrutturazione – un po’ troppo coatto che se la vuole portare a letto. Dall’altra parte ci sono le donne, le amiche, le colleghe, le ambiguamente amiche, come la moglie del primo marito cui Flavia ha affidato la contabilità della sua confusa vita. Un coro che Laura Morante sa dirigere piuttosto bene, mostrando di essere tutt’altro che una regista per caso (se è per questo, lo si era già visto nel suo precedente e più francese Ciliegine). Ci si diverte abbastanza, tutti i caratteri – e sono molti – sono curati e affidati agli attori giusti (qua dentro c’è mezzo cinema italiano: tutti alla corte di Laura), le annotazioni d’ambienti e di modi spesso acute. Laura Morante ha pure il coraggio di far muovere la sua protagonista in un contesto piccoloborghese e anche popolare abbastanza distante da quello che si immagina sia quello cui lei, attrice così intellettual-altoborghese, appartiene. E lo fa con precisione antropologica e divertendosi, e divertendoci, parecchio. Solo che le parti di Flavia in analisi non le si sopporta proprio e ancora meno tutti quei logori fellinismi di cui è disseminato Assolo. Passi per il primo sogno d’apertura, quasi la versione al maschile dell’harem di Otto e mezzo. Ma le altre fantasie più o meno oniriche, più o meno a occhi aperti, e la messa in scena delle interpretazioni della terapeuta, non si possono proprio reggere (quel rosso nella foresta verde! e l’analista che le dice: ma lo sa che mi chiamo Grünewald che in tedesco vuol proprio dire foresta verde?). Che peccato. Se solo Laura Morante avesse asciugato il suo film liberandolo dal superfluo di fellinismi e freudismi e l’avesse ridotto alla sua essenza di commedia sarebbe andata molto meglio.


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