RECENSIONE
Natalie Portman ne Il cigno nero
Quando ero piccola sognavo di diventare una ballerina. Purtroppo (o forse per fortuna) abito in una città di provincia, lontana dalle prestigiose accademie di danza. Mio padre mi diceva che una sua conoscente, dopo dieci anni di studio della danza classica, era andata a Roma, dove le avevano detto che avrebbe dovuto cominciare tutto daccapo. Quindi ho rinunciato da subito ai miei sogni, anche se poi mi sono rifatta — a livello molto più amatoriale — con un differente genere di danza: quella di coppia. Anche le danze standard, così come qualsiasi obiettivo sportivo o artistico che ci si prefigge, hanno bisogno di studio costante e disciplina ferrea. Quindi, leggendo questo libro, avevo una vaga idea di ciò che la protagonista, Hannah Ward, doveva sopportare. Naturalmente non mi paragono a lei: io lo faccio, ripeto, a livello amatoriale: a volte mi prefiggo degli obiettivi, ma se non li raggiungo non crolla il mondo come accade a chi ha fatto della danza il centro della propria esistenza, l’unica ragione di vita.«Il tuo lavoro non è vivere. Il tuo lavoro è danzare.»Hannah si racconta: dalla descrizione del camerino, che condivide con Bea, Daisy e Zoe, ai sacrifici per mantenere la linea; dalle prove sfiancanti agli ultimi ritocchi dietro le quinte; dalla complicità fra compagne all’invidia che provano l’una verso l’altra; sempre cercando di essere le migliori, le più magre, le più ammirate. E poi, quando appaiono sul palcoscenico, tutto cambia, si trasforma, diventa pura magia.
Siamo tutti una squadra sul palco. Le preoccupazioni e la competizione, i casting e le promozioni svaniscono e ci nutriamo della danza stessa, nella sua forma più pura. Quando la musica finisce, il pubblico esplode in un applauso. Mentre mi inchino, sento l’adrenalina che mi scorre nelle vene.
Io non sono andata al mio ballo studentesco, perché facevo già parte del Manhattan Ballet. Però ho visto Bella in rosa e 10 cose che odio di te, quindi posso ben immaginarlo: si sale in limousine, si beve di nascosto il liquore dalle fiaschette; le ragazze indossano lunghi abiti di raso senza spalline e i ragazzi noleggiano lo smoking. Ballano insieme i lenti sotto luci colorate che ruotano e ci danno dentro in corridoi bui. Talvolta penso di essermi persa qualcosa di grandioso. Ma poi mi convinco che sul palcoscenico provo sensazioni molto più eccitanti di quelle della vita reale.Fra i ballerini e i colleghi del Manhattan Ballet si percepisce complicità e affetto reciproco: nonostante la competizione costante, i danzatori sono una famiglia; l’unica famiglia che si ritrovano ad avere fra sala prove e palcoscenico. Non c’è tempo per altre relazioni. Non c’è modo di uscire dal circondario: è come una prigione in cui i ballerini si sono fatti rinchiudere spontaneamente, con i loro sogni e la loro caparbietà nel raggiungere gli obiettivi che si sono prefissi.
Voglio rivedere Jacob, davvero. Ma ripenso all’esperienza di danzare Division at Dusk e so anche di volere altre parti come quella. Cosa che non succederà senza straordinari sforzi. Se questo è il mio anno, devo continuare a spingere su me stessa ogni singolo giorno; oltre alle prove e agli spettacoli, devo prendere lezioni di Pilates e di yoga. Otto starà sicuramente già preparando i casting per la stagione invernale e voglio che mi prenda in considerazione. Quindi non posso concedermi distrazioni. Concentrati, mi ripeto. Concentrati. Ripenso al viso di Jacob, il profilo della sua mandibola e l’accenno di barba sulle guance. Chiudo gli occhi. «Sai, proprio non posso in questo momento», ammetto. «Scusami».
«Potrebbe sembrarti una domanda bizzarra, ma mi chiedevo… come fai a dedicare la tua intera esistenza a un’unica cosa? Devi essere totalmente devota». Faccio spallucce. «Il solo modo per riuscirci è darti completamente. È come le Olimpiadi, in un certo senso, ma lo facciamo ogni singolo giorno per tutta la vita». «Un unico obiettivo». Pensa per un momento. «Sei come il capitano Achab di Moby Dick, ma senza tutta la roba psicotica e malvagia».La determinazione deve essere fortissima e non bisogna mai perdere di vista lo scopo finale: esso deve essere sempre ben focalizzato. Per far ciò bisogna avere uno spirito ferreo, che non tutti possiedono. È troppo facile cadere vittime di scoramento e disillusioni, cosicché, alla prima interferenza si rischia di cedere. D’altronde, ci si può accontentare anche di obiettivi secondari, ma non meno importanti; obiettivi che ci consentono di svolgere una vita normale, meno ossessiva, non totalmente assorbita com’è quella che ci riserva un obiettivo troppo ambizioso.
Natalie Portman ne Il cigno nero
Narrato in prima persona dalla protagonista — alter ego dell’autrice — con lo stile acerbo di un’adolescente e una ricchezza di particolari che rende tutto vivido e reale, Balla, sogna, ama scorre veloce e fresco; affascinante ed emozionante. Il titolo italiano richiama quello del libro Mangia, prega, ama di Elizabeth Gilbert e del film da esso tratto con Julia Roberts. Tuttavia, non mi sento di criticare chi ha scelto di trasformare così il titolo originale Bunheads, che non aveva senso lasciare così e la cui traduzione (“Chignon”, “Crocchie”) sarebbe risultata stridente. Un libro che ci fa respirare atmosfere magiche che molti sognano (compresa me), ma per cui pochi sono disposti ad affrontare una non-vita di sacrifici e di rinunce. Vero, drammatico, appassionante.Sophie Flack ha cominciato a danzare in tenera età. A 7 anni è entrata a far parte della Boston Ballet School. A 17 è diventata una delle ballerine più importanti del New York City Ballet. Nel 2009 ha lasciato la scuola per raccontare la sua storia in Balla, sogna, ama, il suo primo romanzo: un libro intimo e commovente che rivela cosa vuol dire crescere nella più prestigiosa compagnia del mondo. Sophie Flack è anche una nota pittrice e molti dei suoi lavori sono stati esposti al Lincoln Center. Sito Autrice