Recensione: Birdman

Creato il 25 gennaio 2015 da Justnewsitpietro

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Come nella recensione di American Sniper, anche in questa di Birdman è doveroso partire da un’essenziale premessa, che è la seguente: io odio Alejandro Gonzalez Inarritu. Pensate che non lo sopporto a tal punto da essere giunto a parlarne così in un mio piccolo sfogo cinematografico: “Alejandro Gonzalez Inarritu è uno dei peggiori registi di “serie A” che mi sia mai trovato di fronte. Egli ha un modo di raccontare il “dramma” accentuatamente stereotipato, addirittura infantile. Lo racconta portando all’estremo ogni situazione, rendendo tragica anche la più insignificante delle infelicità quotidiane. È un piagnucolone viziato e basta. Perché molti continuano ad osannarlo?”.

Detto ciò, da un lato rimasi positivamente colpito dalla notizia che il suo prossimo film, Birdman, sarebbe stata una tragicommedia ambientata nei meandri più fatiscenti del mondo del cinema e in-centrata sul tema della recitazione. Dall’altro, però, continuavo a rimanere scettico poiché l’attore protagonista del film sarebbe stato quel Michael Keaton che ho tanto disprezzato nei primi due splendidi Batman, diretti, stranamente, da Tim Burton – “stranamente” perché sono dei bei film, cosa assai rara con Burton -. Nel dittico burtoniano, infatti, l’unico elemento che rovinava quel perfetto mix di parossismo fumettistico ed eccentricità cromatica e scenografica era proprio Keaton, del tutto inadatto nei panni dell’uomo pipistrello.

Da lì, grazie al cielo, l’attore statunitense (classe ’51) si è adombrato e, dopo aver recitato in Molto rumore per nulla (1993) di Branagh e Jackie Brown (1997) di Tarantino, il suo nome non è più riemerso fra i cast dei grandi film. Purtroppo o finalmente, dipende dai punti di vista, il buon vecchio Michael, come l’araba fenice, è risorto dalle ceneri, e lo ha fatto, direi, davvero alla grande, dando prova, in Birdman, di dover essere annoverato tra i big della storia del cinema, e regalandoci la sua migliore performance dai tempi di Beetlejiuce – Spirito porcello – sempre di Tim Burton -.

Quindi Birdman è anzitutto un gradino di rinascita sia per il suo attore chiave sia per il suo regista, che, finalmente, ha deciso di sperimentare un genere diverso dal solito drammone strappalacrime a tinte esageratamente forti e pietose. Difatti Inarritu con questa frizzante pellicola si cimenta con il genere della commedia grottesca, caratterizzata da dialoghi spesso improvvisati e avvolta da una generale atmosfera di nonsense e parossismo. Avreste mai potuto immaginare il regista di Amores Perros, Babel e 21 Grammi dirigere un film del genere? Io no, infatti stento ancora a crederci.

Il protagonista del film è Riggan Thomson (Michael Keaton), attore famoso per aver interpretato un supereroe, un certo Birdman, ora impegnato in uno spettacolo a Broadway la cui portata in scena crea moltissimi problemi.

Birdman” è un ruggente ed eclettico film sulla psicologia del ruolo che un attore, cinematografico o teatrale, ha sul palco e nella vita reale. Questo dualismo illusione – realtà è il perno su cui gira l’intera pellicola. Michael Keaton è strepitoso nel ruolo di quest’attore in bilico tra la bramosia di fama e popolarità e il desiderio di realizzare qualcosa di importante e bello, qualcosa che valga davvero il prezzo del biglietto di sola andata della vita, costellata di sforzi, mentali e fisici, disumani.

Come detto sopra, Keaton è tanto perfetto nel ruolo di Riggan Thomson alias Birdman quanto era inadatto in quello di Bruce Wayne alias Batman. E non c’è da sorprendersi perché, a conti fatti, il film di Inarritu è una trasposizione cinematografica della carriera dell’attore, scomparso dal grande schermo proprio dopo aver interpretato il ruolo di un supereroe – e che supereroe! -. Dev’essere stato dunque facile per Keaton immedesimarsi in questo personaggio, che ricalca quasi interamente il suo altalenante rapporto con il cinema.

Tuttavia, “Birdman” è soprattutto un film sull’egoismo, l’egopatia e l’egocentrismo di un uomo tormentato dall’amletico dubbio del “esistere o non esistere?”. Sì perché il conflitto interiore di Riggan si risolve completamente in una questione di esistenza, intesa come conoscenza e ammirazione da parte del pubblico, che, nonostante la noncuranza dei propri applausi, determina irrimediabilmente il destino di artisti che hanno dato la vita solo per quel breve momento di gloria. Come Keaton è perseguitato dall’uomo pipistrello, allo stesso modo il suo personaggio lo è da Birdman, voce della sua maligna e tormentata coscienza – e incoscienza -.

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