[Recensione] Braccialetti rossi. Il mondo giallo. Se credi nei sogni, i sogni si creeranno di Albert Espinosa

Creato il 06 maggio 2014 da Queenseptienna @queenseptienna

Titolo: Braccialetti rossi. Il mondo giallo. Se credi nei sogni, i sogni si creeranno
Autore: Albert Espinosa
Prezzo: € 12,90
Editore: Salani
Anno pubblicazione: 2014
Numero pagine: 172
ISBN: 9788867155804
Voto: 

Trama:
Non ci sono vicende da seguire in quanto tali. È una sorta di manuale di sopravvivenza non al cancro, ma a quello che c’è dopo: a quello che noi chiamiamo vita vera.
Raccoglie ventitré scoperte fatte nel periodo della malattia, in grado di cambiare il nostro modo di percepire la realtà, il tempo, i luoghi, gli odori, noi stessi, gli altri. Espinosa ci regala le sue lenti particolari da cui guardare il mondo con occhi diversi; sta a noi farne buon uso.
La rivelazione più importante ce la offre solo successivamente alle ventitré scoperte: essa riguarda i gialli, ciò che rappresentano secondo lui, i modi per trovarli, come interagire con loro e la ragione per cui entrano in contatto con noi. Si delineano i contorni di un universo nuovo, fatto di persone e cose che ci salvano quando ne abbiamo bisogno, anche se momentanee: il cosiddetto “Mondo Giallo”.

Recensione: 
Faccio questa cosa che avrei voluto fare da tempo. La faccio perché l’autore probabilmente la vorrebbe; perché io tante volte ho voluto e mi son tenuta buona. Però stasera, esattamente alle 22:58 di un lunedì, giorno in cui ho iniziato questa recensione, voglio farla perché ha senso. Perché questa volta è la volta giusta, la volta che dà colore al tutto.
Vi racconto la storia di come ho comprato questo libro.
Era sabato, il primo marzo per l’esattezza: giorno del flash mob  indetto dalla pagina facebook “Caffeina”. Ve la faccio breve, se no qua prendiamo la pensione: il succo della faccenda, era compare un libro. Avevo da tempo in testa questo titolo, ma ero indecisa sul vedere la serie anziché godermi il cartaceo. Quel giorno avevo già deciso che sarei andata in libreria a comprarlo… non questo. Il titolo designato era “In un milione di piccoli pezzi”, di James Frey. Ebbene, io sono giunta lì e non l’ho trovato, però da bravo giallo, c’era un altro libro che attendeva in agguato l’occasione giusta. Se ne stava lì, che faceva gli occhioni dolci, in bella vista davanti alla cassa. E non gli ho resistito.
Sarà una di quelle marche gialle di cui Albert infine parla? Chi lo sa…
La serie non l’ho ancora vista e non so se la vedrò, ma ho la netta impressione che si snodi in modo piuttosto differente, da un libro che non possiede una vera e propria trama da trasporre. Proprio perché temo che venga traviato il concetto, non so se seguirla.
Innanzitutto, non vorrei sbagliarmi (magari ho perso una riga leggendo, a volte capita), ma di tutto parla, tranne che di braccialetti. Il rosso è un colore che non è nemmeno contemplato; il vero protagonista è il giallo, tanto che, spogliando il prodotto della sovraccoperta, ecco quella tinta che ricopre magicamente ogni cosa.
Non lasciatevi ingannare dal fatto che scaturisca da un’esperienza dolorosa. Il protagonista reale della storia  non è il cancro, ma la vita. Non si affronta mai la più nera perdita di speranze; si avvertono al contrario una miriade di forze positive, un’energia che ti fluisce dentro e non ti abbandona; quella voglia di assaporare l’esistenza come se fosse un piacere da esplorare in ogni suo aspetto, piccolezza, in ogni segreto.

Quando ti ammali, per te inizia una seconda vita. Una vita che non puoi smettere di vivere, perché, per quanto tu possa stare male, sei vivo. Io ho avuto una vita fuori e una dentro l’ospedale. Adesso sto vivendo quella fuori, ma potrei sempre dover tornare dentro. Due vite che combaciano in alcuni punti e divergono in certi altri. Continuare a vivere, questo è ciò che conta. L’infanzia, l’adolescenza o l’età adulta devono essere vissute anche se sei malato.

È un fiume in piena che non porta assolutamente struggimento, ma la più autentica felicità.
La particolarità dell’autore emerge fin da subito, con la potenza di un uragano. Ha perso una gamba e tante altre cose, ma in realtà non ha perso niente: ha semplicemente guadagnato perdite.
Attenzione: non è un riduttivo modo di guardare il bicchiere mezzo pieno, ma una forza interiore profonda, che quando emerge in superficie lo fa con la portata espressiva di un’aurora boreale. Resti esterrefatto a guardare a bocca aperta e non puoi che porti duecento domande sulla provenienza di quella così accecante luce. Dalle prime pagine desideri lasciarti contagiare, attingere da quel pensiero come una sorgente, farlo tuo.
In generale, affermo tranquillamente che ha lasciato il segno. Certe pagine desidero solo tornare a leggerle, accarezzarle, seguirle alla lettera. Provo una voglia irrefrenabile di non farmi sfuggire nessuno di quei consigli, come quello di creare delle cartelle di vita segnando ciò che ci fa bene, che ci rende vivi e rivedere ogni sei mesi quanto scritto per ricordare; come quello di trovare la nostra risata e il nostro respiro migliori.
Voglio portare nel cuore, che ogni volta che c’è una perdita dobbiamo sforzarci di capire cosa abbiamo guadagnato; voglio trovare il mio colore; voglio fare domande. Voglio dire di no, voglio accettare me stessa e gli altri.
Non voglio esistere sopravvivendo, ma imparando a cogliere il miracolo di ogni giorno e gli insegnamenti che mi porterà. Voglio aggiungere le mie scoperte alle ventitré scoperte.
Oltre ad aprirci gli occhi, ci tengo a far notare che l’autore ha fatto una cosa molto importante per i Capelloni (è il loro soprannome) amici, o gialli che non ce l’hanno fatta: li ha resi immortali, con aneddoti o fugaci racconti, attraverso le pagine. Per riportavi questo stralcio, è importante spiegarvi che tra loro avevano deciso che i superstiti si sarebbero divisi la vita di chi moriva. L’autore qui ci narra di un Capellone speciale e dice così:

Antonio non l’ho diviso con gli altri: ho chiesto di potermelo tenere intero, e me lo hanno concesso. È tutto dentro di me, ed è senza dubbio lui il 90 per cento della passione che sento.

L’ultimo tema affrontato dall’autore è quello dei gialli. Usare le sue medesime parole per descriverli, potrebbe risultarmi difficoltoso. Tuttavia è un concetto che vagamente mi balenava in testa. Io le avrei definite: persone la cui anima ha lo stesso nucleo, con cui si percepisce un’appartenenza più immediata e veloce, mentre con gli amici talvolta s’impiega anni e non è poi così facile.
Il giallo (per Espinosa ognuno ne trova ventitré in tutta la vita) è qualcuno che può esserci in un periodo limitato dell’esistenza ma non dimentichi, una persona che ci salva quando ce n’è bisogno e con cui è decisamente più semplice fare determinate cose.
Quanti gialli abbiamo già incontrato?
Ho cercato di contare i miei e non sono ancora certa del numero, che non è una ricerca così facile.
Se potesse essere una persona, includerei senz’altro questo libro, che ha lasciato un’immensa scia di luce trasmettendomi qualcosa d’irripetibile, che resterà indelebile nella mia testa.

La notte, noi Capelloni partivamo alla ventura sulla nostra sedia a rotelle, lungo i corridoi di quei sei piani sterminati. (…) Io adoravo andare a vedere gli <<altri>> Capelloni, nel reparto neonatale. Era stranissimo: andavamo a fargli le coccole, li facevamo ridere e loro ci guardavano e gorgogliavano qualcosa. Avevano tutta la vita davanti, mentre per noi il capolinea era via via più vicino.


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