Recensione: Cassonetti

Creato il 21 settembre 2011 da Topolinamarta

Questa recensione sarebbe dovuta arrivare già da alcuni giorni, avendo terminato il libro quasi una settimana fa, ma per via di una serie di contrattempi – di cui l’”incidente” qui sul blog non è che la punta dell’iceberg – ho trovato il tempo di scriverla soltanto oggi. Quindi ecco a voi, con un leggero ritardo, un’altra recensione di un libro del progetto “Libri in cambio di recensioni“: Cassonetti di Gianluca Antoni.

Titolo: Cassonetti
Autore: Gianluca Antoni
Genere: narrativa
Editore: Italic
Collana: Pequod
Pagine: 234
Anno di pubblicazione: 2010
ISBN: 9788896506165
Prezzo: € 16,00
Formato: brossura
Valutazione: 

Ringrazio l’autore per avermelo spedito.

Non è facilissimo per me scrivere questa recensione. Forse perché Cassonetti è un libro di un genere insolito, così particolare che definirlo “di narrativa” – come ho scritto tra i dati del romanzo non avendo saputo trovare niente di meglio – mi pare piuttosto riduttivo. Ho deciso perciò di trascrivere il riassunto che figura nel risvolto di copertina, in modo che voi stessi possiate farvi un’idea:

“Con un cacciavite, una cuffia antirumore e una grande lampada, una di quelle da mille watt o giù di lì, capace anche di illuminare il buco del culo del mondo, ci dirigiamo muti verso casa giurando tra noi di non rifarlo mai più.”

Peter, assiduo lettore di annunci matrimoniali, Davide, disincantato osservatore della realtà, Matteo, ostinato maniaco della pulizia, e Diego, inetto slacciatore di reggiseni, sono compagni d’appartamento. Vivono gli anni universitari barcamenandosi tra imprese goliardiche, crucci esistenziali e amori tormentati. Cassonetti racconta la loro storia, descrivendo tre giornate della loro vita esattamente a distanza di un anno, le une dalle altre. Ma il tempo non scorre lineare, stravolge gli eventi, portandoli a incontrare se stessi, senza riconoscersi, mentre compiono le stesse azioni. Come se la loro vita fosse un interminabile fermo immagine, sospesa nel tempo, fino al finale.

Come potete facilmente notare, Cassonetti non è un romanzo come gli altri, ed è per questo che non mi è facile nemmeno parlarne (anche perché, mentre lo leggevo, avevo l’impressione di essere troppo “piccola” per la storia che mi veniva proposta, considerato che i quattro protagonisti frequentano l’università e che vivono in un modo in cui mi è difficile identificarmi, avendo un po’ di anni in meno), ma ci proverò lo stesso.

Di che parla Cassonetti? Be’, in poche parole potremmo definirlo la storia di quattro ragazzi, diversi eppure così rassomiglianti, che trascorrono i loro anni dell’università condividendo un appartamento e vivendo appunto tra “imprese goliardiche, crucci esistenziali e amori tormentati”. Detta così, forse la trama non sembra niente di che, e vi do ragione se lo pensate, ma è il modo in cui questa storia è stata raccontata che ha preso il libro speciale.

Prima di tutto, mi è piaciuta molto la trovata di stravolgere quasi completamente l’ordine cronologico dei fatti: i personaggi vivono esperienze, tra innamoramenti, ubriacature e varie stupidate giovanili, e spesso si ritrovano a rivivere le stesse scene con loro attori come spettatori esterni e più o meno inconsapevoli. In pratica, è un continuo gioco di dejà vu ignari e involontari, per un effetto forse in un primo momento un poco sconcertante, ma che alla lunga si rivela il vero punto forte di questo romanzo.

Sì, ma che c’entrano i cassonetti?, chiederete voi. Ebbene, per quanto strano possa sembrare, essi hanno un ruolo chiave. Forse la difficoltà maggiore è trovare un’interpretazione plausibile di questa faccenda dei cassonetti, perciò quella che segue è una considerazione strettamente personale: vedendo che il motto del blog dell’autore è “Sogni nei cass(on)etti” e che proprio uno di questi dejà vu vede protagonisti appunto i cassonetti, ho pensato che la “morale” di questa storia consista in un parallelismo tra i “sogni nei cassetti” e i “sogni nei cassONetti”, intesi da me probabilmente come sogni infranti. Ovviamente non pretendo che questa interpretazione sia valida per tutti, ma almeno a me – che, ripeto, non ho trovato facile la lettura di questo romanzo per i motivi di cui sopra – è sembrato un messaggio plausibile.

Mi è piaciuto molto anche come è scritto: la narrazione è in prima persona al presente, secondo il punto di vista di Peter, uno dei quattro protagonisti, ed è serrata e ricca di riflessioni interessanti. Stessa cosa vale per i dialoghi, che sono realistici e ben caratterizzati, oltre che, a mio parere, riuscitissimi: certe battute sono così fulminanti che mi hanno fatto morire dal ridere. L’unico difetto di questi ultimi è che ogni tanto ci sono intere pagine in cui si alternano le battute dei diversi personaggi, e alla lunga non è facile capire chi sta parlando, ma si tratta di una mancanza che non mi ha disturbato più di quel tanto. Sarebbe stato molto peggio, per dire, che i dialoghi fossero stati in questo modo:

«Bla», dice Tizio.
«Blabla», risponde Caio.
«Blablablabla», replica Sempronio.

Quindi sì, trovo che questo sia un difetto veniale.

Allora perché ho dato “solo” tre stelline e mezzo e non quattro o più? Il motivo è semplice: capisco perfettamente che si tratti di un modo per caratterizzare meglio i personaggi – che, essendo ventenni, è naturale che parlino in un certo modo -, ma purtroppo non mi vanno a genio quei libri dove c’è una parolaccia o un riferimento anche piuttosto spinto al sesso ogni due per tre. Insomma, trovo che i miei stessi coetanei facciano un uso eccessivo di parole volgari, ma fortunatamente non tutti sono così, e per questo non mi piace che un cliché preveda che più o meno tutti gli adolescenti/giovani parlino in questo modo.

Questo, naturalmente, serve a mostrare la condizione disagiata dei quattro protagonisti, e ci riesce anche bene: se si fosse trattato di un personaggio o due, sarebbe stata una scelta riuscitissima, ma se tutti o quasi si esprimono nello stesso modo, alcuni stomaci un po’ delicati potrebbero risentirne. Questo però, ribadisco, è un giudizio personale e una semplice constatazione.
Quindi, ve lo consiglio soprattutto se siete adulti e volete farvi due risate ripensando agli anni dell’università, ma in ogni caso, volgarità a parte, trovo che sia un romanzo che possa piacere un po’ a tutti.


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