
Perché
dopo aver esternato il bisogno di esorcizzare i propri fallimenti in una
lettera, qualche attimo dopo giace in posizione fetale in un vagone
ferroviario su un binario morto alla periferia di Bari? Questo
è l’interrogativo che il protagonista, unico e inconsapevole beneficiario del
Max-pensiero, dovrà sviscerare affrontando l’inesorabile incedere degli
eventi. Dare un senso alla morte di Max, darà sostanza e direzione alla
propria vita. Avrà bisogno di capire, di sapere, di sovrapporre il proprio
sguardo a quello del suo amico per raggiungere la più distante delle sue
mete. Il
viaggio cadenzerà l’intera vicenda. Un
viaggio incominciato il 22 giugno 1990 su una Citroen Pallas nera, direzione
Amsterdam, che ripercorrerà tutte le tappe emozionali di due cuori avidi
di storia. La vita spesso, avendo la stessa natura dei sogni, si delinea
irrazionale, transitoria, come un macabro gioco di
conseguenze stupefacenti.
L’autore:
La mia recensione:
“È difficile morire in questo mondo, vivere è di gran lunga più difficile”. Sono gli ultimi versi vergati dal
poeta Majakowskij prima di chiudere con un colpo di rivoltella il capitolo
della sua travagliata esistenza. In un altro spazio, in un altro tempo molto
più vicino al nostro potrebbero suonare come parole modellate su misura per
Max. È lui il vero protagonista di Come
meta il viaggio, un ragazzo come tanti che animato da grandi sogni e sete
di avventura parte con il suo amico più caro alla scoperta di nuovi orizzonti.
La vita on the road, il sesso, la droga, il rock and roll, un bagaglio intimo
che corrisponde a un vuoto, un buco nero senza nome, senza volto, che sembra
spingere verso l’autodistruzione. Una incommensurabile brama di vita
imbrigliata dal male di vivere: si potrebbe riassumere in questo ossimoro la
storia narrata da Lillo Favia, una sorta di biografia, contrassegnata in
maniera precisa da date, nomi, riferimenti geografici che, a dispetto della sua
unicità, reca in sé riflessioni di ampio respiro – condivisibili o no – sul senso
ultimo della vita.
È un viaggio fisico, metaforico, chimico, esistenziale quello descritto dall’autore, un viaggio che da Bari conduce a Bologna e da lì alla Ramblas di Barcellona per proseguire in giro per l’Europa in un continuo vagare senza sosta corrispondente alla ricerca di una propria dimensione in un mondo che risulta sempre troppo asfittico, un mondo che picchia duro e non esita presentare il conto, che si trasforma in un abisso allorquando la “necessità d’infinito” dei protagonisti si rifugia nei paradisi artificiali delle droghe. Un mondo in cui l’unica “casa” possibile finirà per essere Casa Abatros, con il suo pacchetto di regole e restrizioni, con le sue continue ed estenuanti verifiche dietro cui si annida comunque una vaga idea di famiglia, di solidarietà, di accoglienza. Un romanzo sui generis questo di Lillo Favia soprattutto dal punto di vista stilistico. I contenuti rimandano a esperienze di vita vissuta rintracciabili a generose manciate nella realtà quanto in letteratura, il contenitore si afferma per la sua originalità e, di sicuro rompe gli schemi. Provate a immaginare Christiane F. sulla strada di Kerouac vestita di poesia. Il mio è chiaramente un gioco di rimandi letterari, ma penso possa fornirvi una vaga idea di ciò che potrete trovare tra queste pagine.
Il testo si riversa sui fogli quasi fosse un torrente in piena. Ricco di metafore, raffinati intrecci linguistici, immagini poetiche fortemente evocative ma, al tempo stesso, privo di dialoghi o di scene mostrate al punto che, di tanto in tanto, si ha la sensazione di andare in apnea. Non è una lettura facile né scorrevole, quella proposta, è da sorbire a piccole dosi, concedendosi pause per riflettere e per riprendere fiato. Tuttavia è una lettura intensa, un bagaglio onesto sincero, senza filtri, di sofferenza e gioia, di speranze e delusioni, di caduta e ascesa. Un vero e proprio viaggio al termine del quale ci si sente all’inizio di qualcosa di diverso, con un peso nel cuore, forse, che coincide però anche con un rinnovato senso di ricchezza interiore.