«Mi sono innamorato», disse con imponente sincerità. «Oh, capisco». La signorina Morrow fece fatica a non far trapelare la propria delusione. In un certo senso si era aspettata qualcosa di meno ordinario. Tuttavia bisognava essere comprensivi e ricordare che innamorarsi non è mai una cosa ordinaria per le persone che ci si abbandonano. Anzi, forse era proprio l'unica cosa che succedeva tutti i giorni nel mondo e rimaneva ancora straordinariamente unica.Ingredienti: un'ambientazione dai toni seppiati, seminascosta da fronde ingorde di araucaria, tanti tè delle cinque, una spolverata di amore platonico, e una sensata dose di pragmatismo, rigorosamente localizzato e unidirezionale. Mescolare gli ingredienti e aggiungere: una dama di compagnia che il cui punto di forza è una mente affilata; un curato che crede di sapere con esattezza cosa vuole dalla vita; un'insopportabile vecchia tiranna; un professore un po' svagato, con una moglie troppo concreta per abbandonarsi a voli pindarici; una fanciulla innamorata dell'amore, e un'altra che pensa che la passione debba limitarsi alla lettura dei versi di John Donne. Infornare per ottenere una deliziosa immersione nel microcosmo britannico di una Oxford anni Trenta.
RECENSIONE L'habitat oxoniense dipinto da Barbara Pym ricorda un acquerello di Turner. Discreto, a tutta prima, moderato nei toni e nell'ovatta del suo aplomb così deliziosamente britannico. Ma mano a mano che lo si osserva con attenzione, emerge la maestria con cui l'autrice ha applicato le pennellate della sua storia. Il volume si apre nella casa vagamente claustrofobica della signorina Doggett, dispotico donnone che veleggia verso l'anzianità con la delicatezza di una nave corazzata. Più di ogni altra cosa ama impicciarsi dei fatti altrui – sulla base della sua autodefinita, impeccabile autorità – e giudicare con assai scarsa pietà l'operato dei concittadini. Grazie al cielo, potrebbe pensare il lettore, per la signorina Morrow, dama di compagnia, una donna diafana, modesta, ma dotata di una brillante intelligenza. Vessata dalla Doggett al minimo pretesto, risulta l'unico personaggio della schiera presentata dalla Pym a vedere oltre le apparenze con un acume affilato e un senso dell'umorismo vivace. Vive nell'ombra proiettata dalla sua imponente matrona e si limita a ponderare con grazia il carosello che si svolge intorno a lei. Come lei stessa giunge a rilevare, “una dama di compagnia la si considera un po' come un pezzo di arredamento. Non è davvero una persona”. Quale ruolo migliore, quindi, di quello dell'osservatrice, in prima fila mentre tutto intorno a lei la piccola, bigotta borghesia della città universitaria attraversa scandali opachi e crisi di identità?
E quando la signorina Morrow, in un afflato di giovinezza stantia, morde il freno e tenta di elevarsi al di sopra del suo ruolo di spettatrice, osando abiti color pastello e conversazioni solitarie con gli uomini – oh là là - , la realtà la raggiunge in fretta, e la riavvolge nella sua coltre anonima di feltro grigio. E' il curato Latimer, che soggiorna a casa della Doggett, che, quasi per caso, finisce per vedere la signorina Morrow sotto una luce appena un po' diversa. E' giunto Oxford per sfuggire a improbabili, reiterate avance di tutte le donne che attraversano il suo cammino, ma la povera signorina Morrow, in fondo, non è proprio una donna. Il curato “guardava a lei allo stesso modo in cui un uomo potrebbe guardare a una comoda sedia presso il camino, sulla quale potesse sedersi in pantofole e con la pipa in bocca”. Insomma, niente a che vedere con una minaccia. E quindi, perché non domandare, di punto in bianco, la sua mano? Mano che la Morrow gli sottrae con delicatezza. Una dama di compagnia, in fin dei conti, non è tagliata per il matrimonio.
Ben diversamente la pensa la bella Anthea, nipote della signora Doggett, che si trastulla in un'altalena di speranze e di delusioni amorose, alla ricerca del giovanotto perfetto. Salvo scoprire che, anche se variano i nomi, alla fin fine l'uno vale l'altro. Anche suo padre, il professor Cleveland, inciampa, con sua somma sorpresa, in qualcosa che rammenta da vicino l'amore. E non per la moglie Margaret, che lo considera alla stregua di un comò ed è una donna troppo concreta per ritenere il matrimonio qualcosa di più di una consolidata abitudine. Cleveland cade preda dei passionali occhi scuri di Barbara Bird, la sua studentessa preferita. Peccato che Barbara, di passionale, abbia solo lo sguardo. Per lei l'amore è poesia, e lunghe passeggiate ammirando i fiori del giardino botanico. Una visione infantile e artefatta dell'amore platonico, che è destinata a scontrarsi con le idee ben più pragmatiche – benché delicate – di un impacciatissimo professor Cleveland.
Bugie bianche si intrecciano e si accavallano dando vita a fraintendimenti velati dalle esigenze perbeniste della società degli anni Trenta. A partire dal titolo. Perché Crampton Hodnet dovrebbe essere una località dove il signor Latimer si è recato a trovare un collega, mancando così di assistere alla messa pomeridiana. Peccato che la favoleggiata, ridente Crampton Hodnet non esista. Quel pomeriggio, il curato era impegnato in una improvvisata, scandalosa, pubblica passeggiata con la signorina Morrow. Una colpa tutta da nascondere, in un ambiente dove il sogno da rincorrere è quello della rispettabilità. E magari il comfort di una casa in Belgrave Square.
La penna di Barbara Pym è così delicata da ottenere l'effetto di una piacevolissima incisione chirurgica. Ironico e molto godibile, “Crampton Hodnet” mette in evidenza una spassosa parata dei difetti della società inglese. Crampton Hodnet scivola giù come un sorso di Earl Gray. Consigliato.