Molto spesso mi chiedo cosa renda un film qualcosa che valga veramente la pena di essere visto. Cosa segna il confine tra una pellicola come un'altra e qualcosa di veramente bello. Certo, la regia è importante, la sceneggiatura, il montaggio, la fotografia, ma anche gli attori giusti possono fare la differenza.
Prendiamo ad esempio il recentissimo Dallas Buyers Club. Cos'ha di tanto speciale questo film? Alla regia c'è Jean-Marc Vallée e sinceramente di suo non ho visto altro. Alla sceneggiatura Craig Borten e Melisa Wallack, entrambi con poca esperienza alle spalle e, in questo caso, alle prese con una storia non facile su un argomento abusato e stra abusato: la malattia e, più in particolare, l'AIDS. E poi ci sono due protagonisti. Il primo, Matthew McConaughey, che da Killer Joe (2011) in poi si è fatto rivalutare come attore. Il secondo, Jared Leto, che oltre ad essere il front man della band 30 Second to Mars ci ha regalato un'interpretazione esemplare in Requiem for a Dream (2000). E se il primo ha dovuto svilire quello stesso corpo che lo aveva reso celebre tra gli attori di commedie romantiche, il secondo ha accettato di calarsi letteralmente le braghe per vestire i panni del travestito Rayon, più credibile di tante sciacquette a cui il cinema contemporaneo ci ha abituato.
Il film è tratto dalla vera storia di Ron Woodroof, elettricista/cowboy omofobo che, un bel giorno, scopre di aver contratto il virus dell'HIV. Inizialmente le sue speranze vanno tutte nel farmaco sperimentale AZT ma, scoprendone a proprie spese gli effetti collaterali, approda in Messico alla ricerca di cure alternative. Le trova e decide di importarle negli USA, dove non sono state approvate, per venderle ai malati di AIDS. Ma le case farmaceutiche non sono disposte a lasciarsi scavalcare.
Di cosa parla Dallas Buyers Club? Parla di esseri umani che combattono. Non importa, effettivamente, contro cosa: contro loro stessi, contro i pregiudizi, contro le malattie. Contro le dipendenze e contro il sistema. Contro la morte. Non importa, in questo caso, capire quale sia il nemico, quel che conta è solo la vita che, nella quasi totalità dei casi, è una lotta continua. Ron, ad esempio, è il classico scopatore incallito, ubriacone dedito alle droghe, omofobico e provinciale. Una persona che vive giorno per giorno non preoccupandosi di quello che verrà dopo. Finché, un bel dì, non scopre che dopo non c'è un cazzo: Ron è malato, ha l'HIV, ha distrutto il proprio sistema immunitario e gli rimangono solo 30 giorni di vita. Un mese. Praticamente nulla. E allora Ron, come un qualsiasi animale, inizia a combattere. Combatte prima di tutto contro la malattia, perché non vuole morire. Poi combatte contro il suo stile di vita, contro i suoi preconcetti, contro l'uomo che è stato fino a quel momento. E più lotta, più cambia. La sua storia, inutile a dirsi, è la storia di ogniuno di noi nel momento stesso in cui veniamo messi di fronte ad una scelta: cambiare o correre incoscenti verso la nostra (auto) distruzione.
La cosa migliore del film, probabilmente, è proprio questa: eliminando la retorica del dolore (e di tante altre cose) resta solo la realtà, pronta a prenderti a schiaffi in faccia. E la realtà fa schifo, non sempre, ma spesso. La realtà è una malattia che va curata giorno per giorno nel tentativo di sfuggire il più possibile all'unica cosa da cui è impossibile scampare: la morte. E Ron lo capisce e per questo intraprende un viaggio che lo porterà a scontrarsi contro il sistema, in questo caso impersonato (si fa per dire) dall'FDA - Agenzia per gli Alimenti e i Medicinali. Il classico uomo impegnato in una guerra che non porta da nessuna parte, troppo grande è il nemico con cui si scontra. Eppure, certe volte, vincere o perdere non ha importanza.
Allora Dallas Buyers Club è un film che ti sbatte in faccia l'inferno e la gente che lo abita. Un inferno alla portata di tutti, che ci fa sentire piccoli e insignificanti. Un dramma in cui si ride, si piange e ci si incazza. Diretto con mano leggera, quasi si volesse far vivere i personaggi senza manipolarli, con un paio di scene da far cadere la mandibola per quanto bene sono girate. Dallas Buyers Club è un film fisico, carnale, sanguigno. McConaughey è dovuto dimagrire di 20 Kg per entrare nella parte, Leto ha dovuto spogliarsi completamente di qualunque eterosessualità per interpretare un personaggio tragico e meraviglioso.
E quando si vede il dolore su uno schermo, quando la solitudine pian piano viene spazzata via dal cambiamento e rimane solo la bellezza (e la vera bellezza nasce sempre dal dolore), allore resta un film che magari non è bellissimo, magari può non prenderti e può lasciarti dubbioso, ma che ha anche il coraggio di sbatterci in faccia qualcosa che troppo spesso facciamo finta di non vedere. Perché fa male, ovvio.