Recensione: "Dark divine" di Bree Despain

Creato il 04 giugno 2011 da Lauragiussani
Titolo: Dark divine
Autore: Bree Despain
Editore: Sperling & Kupfer
Data uscita: 24 maggio 2011
Pagine: 320
Prezzo: 17,90 euro
Grace Divine ha sempre saputo che qualcosa di terribile è accaduto la notte in cui Daniel è scomparso – la stessa notte in cui suo fratello Jude è stato ritrovato privo di sensi e completamente ricoperto di sangue nella veranda di casa. Ma nonostante questo, quando Daniel torna in città, tre anni dopo, Grace non riesce a negare il fatto di essere irresistibilmente attratta da lui. Jude, salvatosi quasi per miracolo dalla notte degli orrori, tenta di mettere in guardia la sorella sulla vera natura di Daniel, ma è tutto inutile. Ormai pazza d’amore, Grace non si allontana da Daniel nemmeno quando scopre l’antico segreto che lo condanna alla dannazione eterna. Ha capito infatti che Daniel potrà essere salvato solo per mano della persona che più lo ama al mondo. E lei è pronta a compiere qualsiasi sacrifi cio pur di salvarlo. Anche a perdere la sua anima.

RECENSIONE: Un buon urban fantasy-young adult che affronta il tema dei lupi mannari in modo originale e interessante, ma che cade non poco sul finale, complice la caratterizzazione della protagonista femminile, decisamente da rivedere.(Attenzione: Spoiler!)
Urban fantasy dal taglio young adult, “Dark Divine” è un libro che si legge piacevolmente in poche ore. Primo capitolo di una trilogia, nelle sue trecento pagine circa reinventa la figura fantastica del lupo mannaro grazie a spunti originali e a una concezione un po’ diversa dal solito.
Protagonista è la diciassettenne Grace Divine, il cui nome – Grazia Divina – non è affatto casuale. La famiglia Divine è infatti molto religiosa: il padre è un pastore e il fratello maggiore, Jude, viene dipinto come il classico bravo ragazzo, buono con tutti, sempre pronto ad anteporre opere di bene alle uscite con gli amici. Un piccolo santo, insomma.
Ci troviamo nella cittadina di Rose Crest, Minnesota, e come molti altri romanzi di questo genere, la storia è in gran parte ambientata a scuola. Uno scenario che sa di già visto, rivisto, stravisto innumerevoli volte. Confesso che dopo le primissime pagine ero sull’inorridito andante: l’attacco era di un banale indescrivibile, l’incontro di Grace con il nuovo ragazzo appena arrivato nella scuola praticamente da copione…poi, per fortuna, la sorpresa: Daniel e Grace si conoscevano già. Questo ha tamponato quello che - altrimenti – sarebbe stato un approccio ai limiti del ridicolo. L’autrice opta invece per una scelta intelligente: Grace e Daniel si conoscono, hanno un passato comune, e questo spiega l’esistenza di un rapporto tra i due, un rapporto che può permettersi di partire subito in quarta – cosa impossibile, se fossero stati due perfetti sconosciuti – ma che allo stesso tempo può contare su un elemento catalizzatore (il fatto di ritrovarsi inaspettatamente dopo una lunga separazione) che vada a innescare tutta una serie di eventi conseguenti. Se Grace e Daniel fossero amici da una vita e vivessero felici e contenti, non ci sarebbe modo di trovare un “punto di attacco” per la storia senza intaccare la coerenza o la credibilità del racconto (come minimo un lettore attento si chiederebbe: perché proprio adesso? Cosa è cambiato rispetto a tutti gli altri giorni e alla routine di sempre?). In questo senso Bree Despain introduce un elemento che è al contempo nuovo e conosciuto.
Al centro della storia, più che i protagonisti (Daniel e Grace) sembra quasi esserci l’intera famiglia Divine. Tutto affonda le radici in un passato non poi così lontano ma certamente misterioso. Non è facile capire chi sia nel giusto e chi no (il lettore lo intuisce, certo, ma nulla è dato per scontato). Allo stesso modo è difficile comprendere chi sa, quanto sa, e chi invece ignora ogni cosa.
La questione della licantropia è – come vi dicevo – affrontata in modo singolare. Si parla di Urbat, Segugi del Cielo, Cani della Morte, licantropi e lupi mannari. Una storia, quella di queste creature, che ha origine antichissime (prima ancora che fosse inventata la scrittura, insomma) e conta un vasto numero di discendenti (puri o non, come nel caso di Daniel, nato da madre umana e padre “licantropo” ). L’importanza del “lupo” non si limita alla forma animale, che rappresenta semplicemente una sorta di culmine della trasformazione. Il lupo c’è sempre, è una presenza fissa in Daniel, una parte di lui spesso sopita, ma che con la luna piena o in particolari circostanze si risveglia e cerca di prendere il sopravvento, alimentata da sentimenti ed emozioni “scatenanti” quali l’invidia, la lussuria, la superbia, la gelosia e l’odio. Daniel spiega come quelli come lui non siano gli unici “mostri della notte” esistenti: parla di vampiri e demoni, senza però entrare molto nei dettagli. Curioso invece il meccanismo di autoconservazione del lupo: il lupo tende ad attaccare le persone a cui Daniel vuole più bene, poiché solo chi lo ama veramente può uccidere il “mostro” che è in lui e liberarlo. Trovata carina, davvero.
Per certi versi la storia mi ricorda “Shiver” e “Deeper” di Maggie Stiefvawter, non solo per quanto riguarda la presenza di ragazzi-lupo, ma anche per la caratterizzazione di alcuni personaggi. Nella recensione di Deeper ho affermato di aver largamente preferito la coppia Cole/Isabel ai veri protagonisti della vicenda, Grace e Sam. “Dark divine” si posiziona esattamente a metà strada tra le due: in Daniel ho rivisto molto di Cole, e questo mi ha fatto davvero piacere. Sono personaggi che sanno il fatto loro, inconfondibili e diretti, che sembrano animarsi di vita propria. Frasi ad effetto e un comportamento spesso ruvido che celano un carattere assai più complesso. I pochi momenti fastidiosamente glicemici sono in realtà da attribuire alla controparte femminile. Sì, perché la Grace di Bree Despain è purtroppo molto simile all’omonima di “Shiver”: oltre al nome infatti le due condividono un carattere piatto e insulso, saturo di una bontà che quasi infastidisce, trasformando ogni azione impulsiva o decisione coraggiosa in una sorta di manuale del buon samaritano. Continuando il paragone tra le due saghe, devo dire che Bree Despain sembra mirare più in alto, e in parte ci riesce, dando vita a un romanzo a tratti anche maturo. Tuttavia c’è ancora molto da sistemare e sui cui lavorare…non mi riferisco solo a Grace, che necessita di una profonda revisione e qualche sano difetto (ma di quelli veri, non quelli fittizi che poi si riscoprono essere comunque dei pregi). Anche Jude, ad esempio, va riconsiderato: è una figura chiave, complessa e a suo modo intrigante. L’autrice stessa sembra porlo più “in alto” rispetto ai restanti personaggi secondari. Eppure manca qualcosa, un’introspezione che a conti fatti è solo accennata e sulla quale ci sarebbe invece molto, moltissimo da dire. Forse però non voleva “bruciarlo” prima del tempo, e se è così non escludo che lo ritroveremo più avanti nella trilogia, magari protagonista di uno spazio tutto suo come in effetti merita.
Quanto all’aspetto “horror”, viste le premesse e le anteprime che ho letto mi aspettavo sinceramente qualcosina di più: due gocce di sangue e il cadavere di una vecchia signora NON sono un elemento horror…non sono niente. Non ci sono scene splatter, ma nemmeno passaggi inquietanti, scene da brivido o pensieri angoscianti. E’ una paura all’acqua di rose, una di quelle emozioni che avvolge i personaggi ma non riesce – e forse nemmeno ci prova – a raggiungere il lettore.
Sul finale la trama cade, cade parecchio. La Despain sembra non riuscire a resistere alla tentazione di rendere i suoi protagonisti unici e inimitabili, perdendo in questo modo la credibilità per strada. Fare in modo che Grace salvi Daniel mi sembra già di per sé un evento eclatante, senza bisogno di renderlo unico nella storia e magari pure irripetibile. Che Daniel sia in assoluto il primo a “guarire” lascia francamente perplessi. Ma come, i lupi mannari esistono praticamente da sempre e nessuno è mai riuscito a guarirne uno prima di Santa Grace? Basta che diciassettenne si ritrovi davanti il ragazzo per il quale anni prima aveva una cotta e nel giro di poco tempo eccola lì, innamorata persa e col cuore più puro e coraggioso che si possa immaginare. Seriamente, l’autrice tutto questo poteva benissimo risparmiarselo (e soprattutto risparmiarcelo). Se proprio, Grace deve risaltare agli occhi di Daniel, non diventare un simbolo per l’universo mondo. Perché così facendo il loro rapporto sfocia in un amore esasperato, che vuole a tutti i costi essere il più forte, il più grande…praticamente miracoloso. Punta in alto, troppo in alto la Despain…e così cade alla grande. Invece di limitarsi a inciampare, la storia scivola in un precipizio. Questo, ripeto, per quanto riguarda il solo finale. Tutto ciò che viene prima, invece, è ampiamente apprezzabile.
Due parole veloci sulla copertina, identica a quella originale e veramente molto singolare, con un ottimo contrasto di colori. Aggiungo, poi, una piccola curiosità: la cittadina Rose Crest nella realtà non esiste, anche se l’autrice ha detto di essersi ispirata alla città di Rosemount, in Minnesota, per delineare l’ambientazione del romanzo.
Tre stelline piene. Non una punta di più e non una di meno.

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