Recensione: Darkwing I – La spada dai sette occhi

Creato il 03 febbraio 2012 da Topolinamarta

Quest’anno con la neve non si scherza: sul muretto del mio cancello, secondo le ultime statistiche, ce ne sono più di 40 cm. E visto che il nostro beneamato sindaco ha deciso di regalarmi un intero weekend libero dalla scuola, il progetto continua: è il turno di Darkwing, romanzo di Davide Cencini.

Titolo: La spada dai sette occhi
Fa parte di:
Darkwing (# 1/7 – o più)
Autore:
 Davide Cencini
Genere:
fantasy bidimensionale, high fantasy
Editore:
 IlMioLibro
Pagine:
426
Anno di pubblicazione:
 2010
EAN:  2120005346229
Prezzo:
 €22,50
Formato:
 brossura
Valutazione: 

Grazie all’autore per avermelo inviato in formato eBook.

Sito dell’autore
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Da millenni i monaci guerrieri Solar proteggono Corown. Un giorno, però, da un luogo sconosciuto chiamato “Terra” giunge sul loro mondo un uomo di nome Peter Klein. Inavvertitamente Peter entra in possesso di un’antica spada vivente dai poteri illimitati in grado di risvegliare Xagash, il folle dio della distruzione assoluta. Peter diventa quindi, suo malgrado, il Darkwing: l’araldo che preannuncia la fine del mondo… Ma che succede se questo araldo è allo stesso tempo un eroe autoironico, mangione, anticonformista e anche un po’ nerd? Immergetevi nel primo capitolo di Darkwing, una saga fantasy sorprendente. Molti i riferimenti a temi attualissimi come il terrorismo, l’Islam e la violenza sulle donne. Tra arti marziali, epici combattimenti e un umorismo dissacrante, ma anche momenti di profonda analisi umanistica e sociale, questo scoppiettante romanzo vi terrà incollati fino all’ultima riga. 

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Come ho già scritto altre volte, è noto che il fantasy italiano non sta passando il suo periodo migliore: le librerie sono piene di romanzi che non aggiungono nulla al panorama già esistente, nel migliore dei casi; che danno la nausea per come sono mal scritti o copiati pari pari da altri libri, nel peggiore.
Quando si parla poi di pubblicazioni da parte di piccole case editrici o di libri autoprodotti, lo scenario è, se possibile, ancora più desolante: autori che sembrano aver preso la penna in mano per la prima volta, storie in cui accadono situazioni assurde giustificate con un bel “ma tanto è fantasy!”, trame e personaggi da far venire le lacrime agli occhi…
Ecco perché, quando riesco a scovare, tra la montagna di pattume che è il fantasy nostrano, un libro che magari non è del tutto esente da difetti ma che perlomeno è ben scritto, ha una logica che sta in piedi e si sforza di essere originale, non posso fare a meno di mettermi a saltare per la gioia. 
La spada dai sette occhi
è, secondo me, uno di questi titoli. Forse non merita di essere definito capolavoro, ma i pregi che vi ho trovato non sono piccoli. Vediamo ora di capire cosa ha in serbo per noi questa nuova saga fantasy, proseguendo con la recensione.

Il romanzo si apre con una scena abbastanza classica:  una locanda di notte, un cavaliere, una rissa scatenata da un ladruncolo che vorrebbe appropriarsi della borsa del suddetto… Insomma, elementi comuni ai fantasy che conosciamo.
Si sa che ci troviamo in un mondo di nome Corown, tra le cui creature figurano i cosiddetti Aviani, o “Duckling”, che sono un incrocio tra un uomo e un uccello.
Qui, ahimè, troviamo già un problemino non da poco: di questi Duckling viene fornita una descrizione piuttosto dettagliata, che sulle prime comincia bene, ma che poi scivola pericolosamente e sfiora più volte i confini dell’infodump. Il nostro cavaliere, infatti, si accorge che l’oste, che aveva scambiato per un umano, appartiene alla razza aviana, dopodiché il narratore si perde in un paragrafo che ci dice praticamente tutto di questi Aviani, dall’origine del loro nome a una buona fetta della loro storia.
Appena poche righe prima, inoltre, era già accaduta una cosa analoga con un accenno al popolo dei nani: anche in questo caso, la voce narrante abbandona la storia per parlarci di loro, come se, in un certo senso, avesse fretta di dirci più cose possibili sul mondo in cui ci troviamo. Quando accade questo, il romanzo è iniziato da appena tre pagine, e una descrizione che occupa una pagina abbondante, spezzando tra l’altro la narrazione, non è a mio parere il modo ideale per costruire un incipit vincente.
Già dal primo capitolo, per di più, dobbiamo fare i conti con un altro difetto che compare anche più avanti nel romanzo: il punto di vista ballerino, che salta dal narratore esterno ai pensieri di un personaggio in particolare. Alle volte la differenza è minima, ma provoca spesso del fastidio.
Un esempio preso dal testo, poco dopo la parte dei due infodump:

L’accusato  non  si perse  d’animo  e tirò  fuori  una  delle  circa ventisette scuse che aveva sempre pronte e usava a rotazione quando veniva pizzicato con le mani nel sacco. Si infilò una delle sue facce più angeliche e la buttò sul patetico. – Ci ho comprato da mangiare per me e mia madre, Signore! E per  i miei  tre…  cioè, cinque  fratelli! − singhiozzò, mentre i suoi occhioni blu  si riempivano di lacrime.

Prima il PoV era chiaramente esterno, mentre adesso sono i pensieri del ladruncolo che spiccano sulla scena, e durante l’intero capitolo il PoV rimane instabile, come se l’autore non sapesse bene a chi far raccontare la storia e lo tenesse in bilico per non dover decidere.

Insomma, se prima di leggere l’intero libro avessi dato una sbirciata ai capitoli iniziali, non so se avrei avuto la voglia di continuare con la lettura: le prime impressioni, se devo dire la verità, mi avevano fatto accendere la spia “allarme fanta-trash” e l’impulso di passare ad altro… per fortuna non l’ho fatto, perché di lì a poco mi aspettava una sorpresa che ha saputo farmi ritornare la voglia di leggere. Dopo il secondo capitolo, infatti, lo scenario cambia radicalmente: non siamo più a Corown, ma nel nostro mondo – o meglio, nel nostro mondo come l’autore se lo è immaginato tra 17 anni, ovvero in un ipotetico 2029.
Qui una “simpatica” Balrog-sveglia butta giù dal letto quello che scopriremo essere il nostro protagonista: Peter Klein, trentatreenne americano appassionato (per non dire maniaco) di giochi di ruolo fantasy che lavora alla EnerFed, un laboratorio di ricerca energetica.

Non deve essere piacevole svegliarsi così ^^

Il fatto che non ci troviamo davanti l’ennesimo quindicenne sfigato è un lato positivo solo fino a un certo punto: nei primi capitoli in cui appare, ho trovato il suo modo di fare talmente infantile e grottesco da risultare antipatico in modo quasi istantaneo ai miei occhi.
Più volte ho pensato che la povera Amanda, nipote quattordicenne di Peter, debba essere una santa per riuscire a sopportarlo quando parla di videogiochi fantasy (cioè sempre)… ma del resto dopo poco scopriamo che la suddetta è un’hacker abile come pochi, perciò non è che poi i due siano tanto diversi.
I primissimi incontri tra me e Peter, dunque, non sono andati decisamente a meraviglia: fortunatamente presto sono emersi anche i lati positivi del suo carattere, come un forte senso di giustizia e di protezione nei confronti di Amanda, che vive con lui dopo una lunga serie di disavventure familiari, perciò sono riuscita pian piano ad affezionarmi a lui, anche se l’impatto iniziale, ripeto, non è stato dei migliori.

Ma di che sorpresa stavo parlando poco fa?, vi starete chiedendo. Be’, sembra di capire da vari indizi che la scena notturna alla locanda narrata nel prologo sia stata proprio la sessione di gioco fatta da Peter la sera prima… idea che ho trovato davvero ben congegnata e originale, oltre che inaspettata.
Del resto, gran parte dei fantasy bidimensionali che conosciamo vede un abitante del nostro mondo che viene catapultato in un universo fantastico, ma l’idea che per una volta il mondo fantastico, quello fuori dal comune, sia il nostro, e che sia quello normale a dover fare i conti con un “alieno”, mi è piaciuta molto.

Le sorprese, però, non sono finite, perché sentirete ancora parlare di Corown ben presto. Questa giornata di lavoro di Peter, infatti, non è come tutte le altre: è arrivato il momento, alla EnerFed, di collaudare un’importante invenzione, il Prometheus, che pare destinata a modificare il futuro dell’energia mondiale. Ma le cose non vanno come dovrebbero: a causa di un incidente (o di un sabotaggio?), il Prometheus esplode, lasciando un enorme cratere semisferico dove prima c’era la Enerfed… e dove si trova ancora Peter.
Nel nostro mondo tutti pensano che sia morto, tanto che Jasmine, collega e amica di Peter, cerca in tutti i modi di ottenere Amanda, che adesso non ha più nessuno, in adozione. Ma contro ogni previsione, Peter non è morto: non si sa né il come né il perché, ma è stato catapultato proprio su Corown.
Qui Peter, spaesato e senza la minima idea di cosa sia opportuno fare, scoprirà l’esistenza di una profezia che sembra parlare proprio di lui: mentre scappa da un mostro che lo ha attaccato, infatti, viene in possesso di una spada che, come gli racconteranno successivamente, nessuno è mai riuscito a impugnare  e a smuovere dalla roccia in cui era incastonata.
Questa è la terribile Spada dai sette occhi, che preannuncia l’imminente resurrezione del malefico dio Xagash e che fa di Peter il “Darkwing”, ovvero colui che causerà la fine del mondo. Un destino niente male, non trovate?

A questo punto mi sono dovuta ricredere rispetto al pensiero iniziale, quando avevo l’impressione di avere a che fare con un romanzo che sfiorava il fanta-trash: questa idea, infatti, mi ha colpito non tanto per l’utilizzo di elementi nuovi, tanto per come gli elementi classici sono stati combinati in modo da formare una storia appassionante come non ne avevo mai lette prima.
Non capita certo tutti i giorni, perlomeno, di leggere libri in cui il “prescelto” è un otaku pasticcione e spesso imbranato, infantile e soprattutto con uno stomaco che sembra non avere mai fondo.
Insomma, il nostro Peter sembra davvero il più improbabile tra gli eroi di un romanzo fantasy, senza contare che la misteriosa Spada dai sette occhi, come ogni manufatto oscuro che si rispetti, manifesta dei poteri sinistri che il nostro protagonista ha paura di non riuscire a controllare. Per quanto riguarda la trama, dunque, Darkwing non è davvero niente male: passata la fase iniziale – che poteva essere resa meglio, secondo me – la storia diventa coinvolgente, scoppiettante, densa di eventi che non lasciano quasi il tempo di respirare.
Come si legge nella scheda di presentazione sul sito dell’autore, essa nasce dal desiderio di creare un romanzo “fuori dal coro”, che sia in grado di uscire dai vincoli tradizionalmente imposti al fantasy e che sappia affrontare altri temi attuali (per esempio, il problema energetico, le disavventure familiari, la violenza sulle donne e sui deboli…): a mio parere, Davide Cencini c’è riuscito quasi al 100%.

Ho detto quasi, però, perché come ho scritto nella prima parte alcuni difetti, perlopiù di stile, non mancano. Nel corso del romanzo ne troviamo altri, in gran parte ricollegabili ai problemi di PoV e di infodump che ho già segnalato, ma in particolare su questi ultimi ho un’altra cosa da dire: anche se, a mano a mano che la storia va avanti, questo fatto diminuisce in modo progressivo, l’impressione è che l’autore abbia quasi la smania di raccontarci tutto riguardo al suo mondo.
Questo, ahimè, è un errore in cui cadono molti, ma per fortuna dopo un po’ chi scrive sembra aver trovato un modo per informare i lettori senza ricorrere all’infodump (per esempio durante la complessa spiegazione sulla religione di Corown da parte dei monaci, che è molto lunga e a tratti pesante, ma funziona). La parte in cui ci vengono descritte per filo e per segno tutte le feste principali di Corown, però, l’avrei volentieri tagliata o perlomeno accorciata: un intero capitolo trascorso a pensare “Ma serve proprio sapere tutto questo?” non è stato il massimo del divertimento.

Poco fa accennavo al fanta-trash: nonostante, in generale, il carattere di questo romanzo ne stia sufficientemente lontano, ci sono stati alcuni momenti in cui è stato difficile non sorridere di fronte a certe scene.
Per esempio, sorvolando su certe battutine a sfondo sessuale un po’ di cattivo gusto, trovo che una scena del genere:

Di nuovo, Sindel alzò la spada sul petto di Peter, e stavolta affondò senza aspettare che subentrassero altre complicazioni. La punta della spada si arrestò un attimo prima di raggiungere il corpetto dell’armatura. Peter si era svegliato all’improvviso, ed era riuscito a bloccare il colpo in extremis con una decisa mossa in stile samurai, catturando la lama tra i palmi congiunti delle mani.

risulti un tantino improbabile. Non so voi, ma a me sembra più che altro una trovata da cartone animato per salvare il didietro di Peter in extremis.

La scena migliore però è la seguente, secondo me: ci troviamo a seguire il volo di un corvo «dall’aspetto repellente, con il becco incrostato di sangue e gli artigli crudeli» che raggiunge un maniero al centro del quale «giganteggiava nella sua terribile onnipresenza la torre centrale, un  chiodo arrugginito che sbucando dalla terra trafiggeva a morte il cielo».
In questa torre incontriamo un oscuro necromante che siede su un trono ricoperto di ossa, che indossa un’armatura che ricorda uno scheletro e una maschera (avete indovinato) a forma di teschio, che è servito nientemeno che dai nostri amici orchi brutti&kattivi e che ha dato al suo corvo il nome di Maleficio (!). Ma non è finita, perché nella torre fa la sua comparsa una dolce donzella di cui il narratore ci dà la seguente descrizione (leggetela tutta, anche se è un po’ lunga, perché merita):

I due impressionanti guerrieri orcheschi che sorvegliavano l’ingresso accennarono a un inchino mentre lasciavano passare una donna dal passo spavaldo, dotata di una presenza fisica prorompente, che l’armatura faticava a contenere. Del volto, celato interamente dietro una maschera, si intravedevano solo due gelidi occhi azzurri e una bocca carnosa, mortalmente sensuale; come per il suo padrone, anche la sua rappresentava un teschio, ma i lineamenti erano addirittura più grotteschi e distorti, come quelli di un demone, e dalla fronte si protrudevano due corna ricurve e scanalate, che le donavano un aspetto perfino più temibile. A fare da contrasto c’era il suo splendido corpo, che invece si mostrava con prepotenza. [...] La carnagione era candida, perfettamente liscia, ma sotto di essa si intravedevano muscoli pieni che tuttavia non davano mostra di sé al punto di rovinare la sua sinuosità. Portava un mantello nero, appuntato sul davanti sotto le spalline dell’armatura; questo le ricadeva mezzo aperto su un seno procace, che si offriva lussuriosamente sporgendo da un bustino decorato in fregi demoniaci. Il tronco scoperto, protetto unicamente da fasce metalliche in corrispondenza delle costole, sottolineava la vita stretta e i fianchi vestiti soltanto da una cintola rinforzata, che si estingueva sulle cosce nude. Gli stivali erano coperti da placche di metallo e le arrivavano al ginocchio.

Insomma, direi che un “sigh” piccino piccino non guasta

Sindel, la nostra intrepida donzella...

Sorvolando su questi rari momenti un pochino tristi, devo dire che La spada dai sette occhi non è niente male come romanzo fantasy.
Se dovessi fare un confronto tra questo libro e il fantasy medio italiano, probabilmente non riuscirei nemmeno a paragonarli, dato che Darkwing ha decisamente una marcia in più. Di cura, in particolare riguardo alla costruzione del mondo e all’accuratezza dello stile (che spesso ho trovato brillante e originale), ce n’è molta e si percepisce ad ogni pagina, e non vale senz’altro la pena di considerarlo al livello della maggior parte dei suoi “colleghi”.
Alcuni aspetti sono, a mio parere, da migliorare, ma con ben altri sei romanzi a seguire è cosa presto fatta. Quindi sì, pare proprio che siamo riusciti a trovare, finalmente, una saga tutta italiana da tenere d’occhio.

PS. Dimenticavo: eccovi l’immagine della fantastica copertina fronte-retro.

*       *       *

Sentendo una sorta di solidarietà con quella sconosciuta, Peter si sedette accanto a lei; incrociò le gambe, e posò la sua testa sulle proprie ginocchia. Poi chiuse gli occhi, aprì le braccia e si preparò ad accogliere quella bianca sfera di luce. Per un istante riuscì a toccarla, e si trovò immerso nello splendore: fu come se qualcosa di immenso, ultraterreno e assoluto attraversasse il suo corpo, la sua anima. Jasmine aveva ragione… è bellissimo, fu il suo ultimo pensiero.

Bastò un attimo perché l’edificio scomparisse: l’esplosione lo annichilì completamente, come se non fosse mai esistito. Molte persone tra la folla radunatasi di fuori furono scagliate a terra, inclusa Jasmine. Quando la dottoressa riuscì a tirarsi su e guardarsi intorno, coperta di polvere e graffi, si rese conto che della EnerFed non era rimasto altro che un enorme cratere semisferico. Dio mio… Peter.


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