Recensione di Andrea Brancolini a “Le nostre assenze” di Sacha Naspini

Creato il 26 ottobre 2012 da Wsf

Quasi per caso sto ascoltando un album, l’unico album che ho di questo gruppo che si chiama Forseti, il titolo è Erde. Scrivo così perché mi sembra stranamente appropriata, questa musica con questo libro. Il libro è Le nostre assenze, di Sacha Naspini, edito da Elliot. Ho fatto una breve interruzione perché ho avuto una sensazione: sono andato a cercare il significato della parola erde. In italiano è terra. Dunque non è strano che sia una musica appropriata per questo romanzo. È, infatti, un romanzo di terra. Terra che seppellisce, terra che custodisce, terra che trasforma, terra che restituisce o che, piuttosto, rimane indifferente.

La storia è ambientata tra la costa toscana sotto Livorno e l’America (intendendo con questa parola non solo gli Stati Uniti). C’è un padre che racconta di tesori etruschi, c’è un bambino grassottello cui manca il nonno, c’è un bambino povero di là da una rete, ci sono due bambine e storie che si ripetono, nonostante volontà contrarie. Il mondo di questo romanzo è un mondo di contrappassi, dove le cose non vanno mai come si sognano, e le persone sembrano incapaci di trattenere quel po’ di bene che gli può capitare tra le mani perché c’è sempre qualcosa e/o qualcuno che manca, e si vuole essere forti nella forza e non curare le proprie debolezze.

Il romanzo comincia con un nonno che se ne va, e finisce con un nonno che conosce sua nipote. Ho svelato la fine, sì, ma per il resto dovete leggere l’aletta della copertina, e in ogni caso sapere alcune cose della trama dice poco o nulla di quello che questo romanzo rappresenta. Né più né meno che la storia di un bambino che diventa uomo e padre, con tutti i suoi sogni da sfogliare e tutte le sue colpe da accettare. La scrittura, in prima persona, è terrena e lucida, brucia di fiamme fredde. Il protagonista descrive i fatti della sua vita a cercarne il senso, se ce n’è uno. Non voleva fare del male, ma l’ha fatto. Per paura, per stupidità, per incoscienza. Conosce tutti i suoi sbagli, e ci deve fare i conti, ne deve pagare le conseguenze, e ne fa pagare le conseguenze anche a chi l’ha incontrato. Ma non è ciò che tutti facciamo? Si cerca di vivere, in qualche modo, ma non siamo soli, volenti o nolenti c’è sempre qualcuno intorno, qualcuno da cui partire, qualcuno da cui andare, qualcuno da cui fuggire, qualcuno da inseguire, qualcuno con cui vivere, forse, persino.

Le nostre assenze sarebbe un libro d’avventura se ci fossero personaggi buoni e personaggi cattivi, vendette contro cattivi e punizioni solo per loro, perché è un romanzo dove ci sono bambini, dove c’è un grande tesoro, dove c’è un ladro e dove c’è una vendetta, e ci sono viaggi sognati e realizzati. Ma non è un libro d’avventura (anche se ogni libro è un’avventura, ma questa è un’altra storia) perché i personaggi non sono mai del tutto buoni, né del tutto cattivi, e si cercano vendette per rapine e abbandoni che non sono vere rapine e abbandoni, e tutto è filtrato da una penombra che impedisce di riconoscere bene i gesti, i fatti, una penombra che è (o almeno a me sembra sia) una paura pervasiva e persistente. Paura e desiderio di essere accettato.

“Dissi ‘Sei tu che hai cominciato’, e mi parvero subito parole imbecilli, lagnose, come quelle di un bimbo che non vuole ammettere un errore. Provai a rimettermi in carreggiata: ‘Se tu non avessi…’. Mio padre mi interruppe subito: ‘Cazzate. Ci sono colpe che neanche ti scegli’.” (pag. 178)

p.s. Devo aggiungere un paio di cose. La prima è questa:

“C’era un posto che aveva scoperto da un po’ di tempo, e che aveva un nome bellissimo: Buca delle Fate.

Si doveva fare un po’ di macchina verso il promontorio, poi cominciavano i tornanti. D’un tratto si apriva uno spiazzo sulla sinistra, in mezzo ai boschi. Lasciavamo la macchina lì, c’era solo da scavalcare una recinzione, salendo e scendendo delle scalette di legno. Dopo bastava seguire il sentiero buio e stretto che serpeggiava fino alla scogliera, in mezzo agli alberi che si chiudevano a cupola sopra le nostre teste….” (pag. 18)

L’equivalente, per me, di captatio benevolentiae d’un tempo. Perché Buca delle Fate è un posto che adoro. La seconda è che nella prima parte (delle tre in cui è diviso il romanzo) mi ha fatto pensare ad un altro libro, edito sempre da Elliot, di qualche anno fa: La voce segreta dei corvi, di Christopher Barzak. Di sicuro ci sono punti di contatto, come l’amicizia tra i due bambini, il senso dell’avventura, dell’incontro con l’ignoto, ed altro che ometto perché sarebbe svelare un po’ troppo, forse. Anche de La voce segreta dei corvi ho scritto qui.

Ora davvero “passo e chiudo”.

EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE

Sacha Naspini, “Le nostre assenze”, Elliot, Roma, 2012

Sacha Naspini – nato a Grosseto nel ’76, vive tra la Toscana e Parigi. Ha pubblicato i romanzi I sassi (Il Foglio), Never Alone (Voras) e, nel 2009 con Elliot Edizioni, I Cariolanti.

Il sito della casa editrice Elliot – il sito dell’autore: qui – Naspini in Lankelot

articolo di Andrea Brancolini.

[articolo già apparso su Lankelot: http://www.lankelot.eu/%5D


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