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Recensione di Biglietto di terza classe di Silvia Pattarini

Creato il 04 maggio 2014 da Leggere A Colori @leggereacolori

23 Flares 23 Flares × Recensione di Biglietto di terza classe di Silvia PattariniBiglietto di terza classeSilvia Pattarini
Pubblicato da0111 edizioni
Data pubblicazione in Italia:
Formato:
Genere:Narrativa ContemporaneaRomanzo Storico
Pagine:
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La trama:
Primo Novecento. Lina ha soltanto diciannove anni quando sale su una nave che la porterà in America, in cerca di fortuna. La vita che l'attende sarà difficile e Lina dovrà affrontare la realtà vera al di là della leggenda del Nuovo Mondo.

 

Provincia di Piacenza, 1903. Lina è una ragazza poco più che adolescente, resa zoppa da un incidente avvenuto molti anni addietro. Sua sorella, Emilia, vive con il marito nella leggendaria Merica, là dove sembra che i sogni possano diventare realtà. Lina è l’unica ragazza del quartiere a saper leggere e scrivere, arti che ha appreso da bambina, mentre era in convento per curare la sua povera gamba. Possedere il dono della lettura e della scrittura in un paese di analfabeti le ha permesso di ritrovare fiducia in se stessa, di non sentirsi più semplicemente una “ragazza zoppa” della quale i suoi genitori si sarebbero dovuti vergognare. Lina sa anche cucire e realizzare splendidi abiti e, grazie a questa sua abilità, inizia a metter da parte, giorno dopo giorno, una piccola somma di denaro. La ragazza, infatti, desidera con tutto il cuore raggiungere la sorella in America, in quella New York che immagina come un tripudio di luci, colori e opportunità. Il 24 febbraio 1904, Lina riesce a realizzare il suo sogno e a partire a bordo del Prinzess Irene dopo aver acquistato un biglietto di terza classe con enormi sacrifici. Tuttavia, la traversata si rivela difficile e pericolosa e, come se ciò non bastasse, la destinazione non è certo New York bensì la famigerata Ellis Island, l’isola delle lacrime. E’ lì che Lina e le sue due compagne di viaggio, Tina e Amabile, dovranno superare una serie di controlli e visite mediche per poter essere ammesse nella città di New York. Ellis Island è soltanto la prima di una lunga serie di difficoltà che Lina dovrà affrontare. Una volta arrivata a New York, infatti, la ragazza dovrà confrontarsi con ritmi disumani di lavoro, con lo sfruttamento minorile, con le malattie (prima fra tutte, la tubercolosi) che serpeggiano tra coloro che si distruggono di fatica sul posto di lavoro. Lina, come tutti i suoi connazionali, cambierà continuamente fabbrica a causa dei diverbi con i direttori e per le sempre più critiche condizioni di lavoro. Vivere a New York non è affatto un sogno e Lina scoprirà presto quanto quella città, così affascinante e misteriosa, sia ugualmente pericolosa, una vera e propria giungla nella quale soltanto il più forte può sopravvivere.

Biglietto di terza classe è un romanzo storico a tutti gli effetti e, a differenza della stragrande maggioranza dei libri appartenenti allo stesso genere letterario, possiede il pregio della brevità. Non ho assolutamente nulla da obiettare ai romanzi-fiume, tuttavia ritengo che più un romanzo storico è snello, più il lettore resta avvinto alle pagine e non corre il rischio di annoiarsi. La brevità, naturalmente, deve essere sorella dell’esaustività, caratteristica che Silvia Pattarini conferisce al suo libro riuscendo a toccare tutti i punti cardine della storia americana primonovecentesca. Il romanzo, infatti, affronta una gran varietà di temi. Il leitmotiv della vicenda è la condizione degli immigrati in America negli anni Dieci del Novecento. Ritroviamo i pregiudizi, gli appellativi dispregiativi, le difficoltà che i nostri nonni e bisnonni hanno dovuto sopportare una volta arrivati nella città dei sogni, New York. E’ molto interessante il modo in cui la leggenda del Nuovo Mondo viene ridimensionata: il sunto della questione è che in Italia si vive male, ma si vive male anche nella tanto celebrata Merica. I pericoli sono ovunque. E’ significativo, a questo proposito, il capitolo dedicato ai primi mesi che Lina trascorre a New York, aiutando sua sorella nel lavoro. E’ in quel momento che la ragazza si rende conto di quanto il “mito del lavoro” sia, per l’appunto, soltanto un mito da sfatare: il lavoro non c’è, in America come in Italia, e gli immigrati devono sottostare a crudeli – nonché rischiosissime – condizioni per poter guadagnare pochi spiccioli da spedire alla propria famiglia. L’esempio della piccola vicina di casa che muore di tubercolosi in seguito ai massacranti orari di lavoro alla filanda stringe il cuore ed è, purtroppo, la testimonianza di un capitolo buio della nostra Storia. Lo sfruttamento del lavoro minorile non è l’unica piaga: le terribili condizioni di lavoro in fabbrica sono foriere, infatti, di scioperi e manifestazioni che, oltre a far scendere il valore della busta paga, inaspriscono i rapporti tra lavoratori e capi. Silvia Pattarini riesce a rendere magistralmente l’angoscia e la rabbia di quegli anni, narrando le pagine più drammatiche di quel particolare momento storico. Tra gli altri eventi, l’autrice ricorda il tragico incendio della fabbrica tessile Triangle di New York, avvenuto il 25 marzo 1911. L’incidente, provocato innanzitutto dalla disubbidienza al divieto di fumo all’interno della fabbrica e aggravato dalla chiusura a chiave di tutte le porte, ebbe come conseguenza la morte di 146 persone (tra questi, 123 erano donne). Lina è una delle sopravvissute e, tra le udienze in tribunale e gli incubi che la perseguitano, non riesce a dimenticare lo strazio dei corpi bruciati e le urla di quelle donne che, pur di sfuggire alle fiamme, si lanciavano dalle finestre dei piani più alti e, come testimonierà uno dei personaggi al processo, “cadevano come mosche”. 

Silvia Pattarini ha una buona penna che, benché sia suscettibile di miglioramento, rende perfettamente le emozioni e le angosce dei personaggi, dipingendone le sfumature. Le descrizioni, decisamente accurate, permettono al lettore di immaginare le diverse situazioni e di entrare nel vivo delle vicende. In particolar modo, ho apprezzato i capitoli dedicati alle piccole grandi “scoperte”: la prima volta in cui Lina assaggia le arance, la prima volta in cui vede il mare - “E’ questo, il mare?” - e la scoperta del cielo che si riflette nell’acqua, il primo aiscrim e la prima ciunga (rispettivamente, il gelato e le gomme da masticare), le piccole gioie che, seppur nelle difficoltà, Lina e gli altri personaggi riescono a cogliere. Infatti, benché il romanzo tratti temi scottanti della storia contemporanea e racconti tragedie incancellabili, l’intera vicenda narrata è circondata da un’aura di ottimismo e gioia di vivere, da una tensione interiore che resiste al logorio della vita quotidiana. Biglietto di terza classe, inoltre, ha il pregio della coerenza che, com’è giusto che sia, permette al lettore di ritrovare tra le pagine la verità storica al di là della finzione letteraria. E’ evidente che, alla base del libro, vi siano una corposa fase di studio e un’ottima documentazione, costituita non soltanto da reperti storici ma anche, ne sono certa, da una buona dose di testimonianze offerte da chi, quegli anni, li ha davvero vissuti.

Biglietto di terza classe è un romanzo che ha tutti i pregi del vero romanzo storico e il bonus della fruibilità e della scorrevolezza. Per questo motivo, credo che il libro potrebbe costituire un ottimo spunto di riflessione non soltanto per gli adulti, ma anche e soprattutto per i ragazzi delle scuole. La prosa della Pattarini non potrà che maturare col tempo, ma questo romanzo possiede già tutte le carte in regola per difendersi sul mercato editoriale.



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