Baricco continua a stupirci con i suoi libri, ed esattamente come ha fatto con Novecento e con Oceanomare anche in Castelli di Rabbia costruisce dei personaggi, fuori dal comune, unici, il cui tratto caratteristico è la follia vista come genio, la storia si divide in sette capitoli e narra la vicende del Signor Rail e Jun, Pekisch e della vedova Abegg e dell’architetto Horeau, tutte ambientate a Quinnipak nel 1800, ciascuno con una propria storia che si intreccia con tra le vie di questo paese; il signor Rail sogna di costruire una ferrovia per vedere la sua locomotiva Elisabeth correre fino al mese, L’architetto Horeau desidera di costruire un palazzo di vetro (proveniente dalla vetreria del signor Rail) per guardare fuori e sentirsi protetti anche con la pioggia, e Pekisch inventore dell’umanofono; orchestra di musicisti a cui ciascuno è affidata una nota con il tono della sua voce vive per la musica, attorno a questi personaggi principali ruotano le vicende di altri copersonaggi come la signorina Jun, la vedova Abbegg, Pehnt e Mormy, non racconto il finale per chi ancora deve immergersi nella lettura di questa fantastica opera contemporanea di Alessandro Baricco.
Punti a favore:
La storia è coinvolgente per la creatività e l’ingegno dei personaggi stessi, ad esempio Pekisch studia e vive per la musica, lui stesso ha la musica in testa, una parte molto bella del libro è quando durante la pioggia Pekisch esce di casa durante la notte e come matto cerca di ricreare il suono di una nota che il battere della pioggia con l’interferenza della campana del paese crea, è fantastico vedere un uomo preso dalla sua passione incurante della tempesta e dell’ora notturna, un’altra parte che mi è piaciuta molto è stata quando il signor Rail conobbe per la prima volta l’architetto Horeau, e ascoltando il suo progetto del palazzo di vetro e ferro pensa che sia matto, poi prima di andare via quest’ultimo domanda al signor Rail cosa ci facesse una locomotiva nel suo giardino e lui risponde: Non lo vede sta per partire!!!
Da qui si evidenzia coma una mente geniale può essere compresa solo da un altra mente della pari genialità, al contrario di tutti gli altri che lo scambiano per matto.
Ciascun personaggio con la sua storia è unico perché traspare l’ingegno e la creatività di Baricco durante la stesura del libro, un capitolo abbastanza romantico è il 5 al paragrafo 4 viene narrato l’incontro tra Jun e Rail, penso ci sia un forte sentimentalismo.
Punti a sfavore:
Essendo uno dei grandi sostenitori di Alessandro Baricco trovare un pelo nell’uovo non è facile, i tratti in cui l’autore si perde sono durante la descrizione della storia delle prime locomotive e durante la descrizione di Hector Horeau quando perde il senno della ragione durante la sua permanenza nel manicomio, diventa al quanto retorico e ripetitivo perché descrive lo stato di follia in cui versa il personaggio quasi fosse una perenne confusione, infatti lui scrive: “Odio i sonni che dormite, odio l’orgoglio con cui cullate lo squallore dei vostri bambini, odio ciò che toccano le vostre mani marce, odio ecc…”lo stesso accade con Pekisch, sembra che gli sia scoppiata la musica in testa per usare le parole di Baricco, ancora una volta descrive uno stato di follia sempre in maniera retorica, di per se l’autore voleva evidenziare il caos che tormentava il soggetto tanto da portarlo alla follia, ma si è dilungato più del solito ripetendo la stessa “scena” per due volte.
Conclusioni Finali:
Castelli di Rabbia è un opera al quanto strana ma completa, perché c’è anche dell’erotismo, passione, amore, genialità, follia, altruismo e altri buoni sentimenti, da un mio punto di vista è semplice, scorrevole da leggere ma allo stesso tempo al quanto complessa poiché presenta dei vocaboli poco noti nel quotidiano per chi è già avviato alla lettura, per questo lo consiglio solo ed esclusivamente ai lettori di Alessandro Baricco.
Infine invito a chi ne avesse interesse invito tutti a leggere la critica nei confronti di Alessandro Baricco di cui riporto il link alla fine del post, secondo il suo autore Mauro del Bianco “Castelli di rabbia” è molto più di un semplice romanzetto, ma segna una svolta nella letteratura moderna e contemporanea, il merito che si attribuisce allo scrittore torinese è dovuto alla sua genialità creativa, nonché la capacità di rievocare atmosfere ottocentesche ricostruite con il montaggio di un film americano (cfr. Fernanda Pivano, L’ultima parola: America, prefazione a Castelli di rabbia) e di emozionare il lettore come nessun revival ottocentesco e nessuna americanata potrebbero mai fare; da qui l’ultima parola del romanzo: America.
http://ilmestieredileggere.wordpress.com/2008/10/10/perche-baricco-recensione-di-castelli-di-rabbia-alessandro-baricco/
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