Informazioni sul libro
Titolo:Sergio Peter
Pubblicato da:Tunué
Collana:Romanzi
Genere:AutobiograficoNarrativa Contemporanea
Formato e pagine:
Social:Goodreads
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Trama:
"C’è una musica, delle volte, negli elenchi di cose che si fanno tutti i giorni e sono sempre le stesse" di Sergio Peter. Allora leggiamo e ascoltiamo.
C’era un ragazzo che come me amava il suo paese e la sua Storia. Non girava il mondo e veniva da Grandola ed Uniti, non quelli dell’America. È un ragazzino, uno dei Peter. Niente a che fare con Morandi ma anche lui parla di guerra: di quella fascista italiana, in parte, e di quella, più attuale, contro il prevalere della modernizzazione scriteriata che cancella, ogni giorno di più, le tracce del passato da cui veniamo.
Il passato di Sergio e degli zii, dei nonni, degli amici e dei compaesani. Quello pieno di cose che oggi chiamiamo “vere” e una volta si chiamavano solamente per com’erano, perché non c’erano ancora le copie, le versioni economiche, le riproduzioni, i rimpiazzi. Forte, è questo senso di appartenenza al territorio, certamente inconsueto per un ragazzo degli anni 80. Oggi i ragazzi si sentono cittadini del mondo e si slegano con facilità dai legami della terra natia, certo non la dimenticano, ma neanche frequentemente la cantano, la valorizzano con le parole o la propria arte.
Credo che sia questo lo scopo di Sergio Peter in Dettato. Fare qualcosa in più, di dovuto, ricordare ciò che si sta perdendo per aggrapparsi a quella terra che tanto ha dato, tanto ha formato l’anima, con i suoi posti e animali, con i suoi personaggi che diventano quasi mitici, con i suoi angoli di immaginario.
Scrutavo barche a vela, battelli, traghetti e speravo di guidarli con lo sguardo; disegnavo remi e timoni nell’aria. I miei compagni si rincorrevano e cadevano. Spesso il gioco finiva prima che mi accorgessi che fosse iniziato.
(Dettato di Sergio Peter)
Dettato è un romanzo che a prima vista sembra una raccolta di racconti, da un capitolo all’altro c’è sempre uno stacco a isolare i pensieri. In realtà una delle caratteristiche predominanti della scrittura di Peter è questo stacco, che rappresenta, a mio avviso, l’esigenza dell’autore di far fluire liberamente i ricordi, raggruppati non tanto cronologicamente come sarebbero in un Diario ma per accostamenti logici. E questo Peter lo realizza non solo tra i capitoli ma tra i periodi all’interno della stessa pagina. Il lettore dunque si confronta con cambi di pensiero repentini, strappi, coerenti al contesto e che vanno a comporre un percorso imprevedibilmente creativo. In parte questo è reso possibile da periodi mediamente lunghi frenati da molte virgole. Ciò permette all’autore di raccontare cose diverse all’interno di uno stesso periodo, rendendo meno scorrevole la lettura. Scelta molto intelligente dato che Peter ha deciso di raccontare in prima persona, per grandi tratti, con gli occhi del bambino. Un bambino chiacchierone che usa la logica del bambino oppure che semplicemente non la usa affatto.
In Dettato vi sono le piccole cose dei grandi, viste dal Peter ragazzino, i giochi, i momenti importanti di cui non si afferra la grandezza, le tragedie, la routine, l’amicizia, la speranza del dopo guerra.
C’è una musica, delle volte, negli elenchi di cose che si fanno tutti i giorni e sono sempre le stesse, c’è come un ritornello negli errori di chi mischia italiano e dialetto, e io penso che queste cose siano da lasciar stare;
(Dettato di Sergio Peter)
Peter è un osservatore attento e non perde le piccole cose a cui i grandi si attaccano, i loro modi dialettali, i gesti silenziosi carichi di significato (penso ad esempio al guardare fuori dalla finestra della nonna prossima alla morte desidera rivedere ciò che è stato suo).
Una foto pubblicata da Leggere a Colori (@leggereacolori) in data: 5 Mag 2015 alle ore 02:58 PDT
A suo modo Peter è una sentinella di tempi che non sarebbero più tornati. Ci carica di passato, con spensieratezza e naturale comicità, quella fatta di cose semplici, in mezzo ai campi o nelle stalle, in mezzo al paese, mentre si cena con un bicchier di vino. È raccontandoci in modo disordinato ed estemporaneo cose piccole che compone un puzzle che noi stessi possiamo proseguire.