Recensione di Fosca Massucco: “Nella disarmonia dell’inatteso” di Maria Grazia Di Biagio – Ed. BelAmi (2012)

Creato il 29 maggio 2013 da Wsf

ph Fosca Massucco

Con Maria Grazia Di Biagio ho avuto l’onore di lavorare in Giuria al Premio di Narrativa e Poesia Di Liegro nell’edizione 2012 ed è stato uno degli incontri più intensi dell’anno.
Poi esce il suo nuovo libro di poesia, edito da Bel-Ami.
Io di lei stimavo il cuore e la gentilezza, un po’ da nobildonna un po’ da mamma, mi appassionavo a leggere i suoi scritti on line qui: http://poesia-mariagraziadibiagio.blogspot.it
Poi mi arriva “Nella disarmonia dell’inatteso” e sull’incipit mi si stringe il cuore – early poems, T. S. Eliot e una frase (poco conosciuta normalmente ma che ha accompagnato e quasi perseguitato la mia vita) lì scritta, come se mi aspettasse:

“…i nostri giorni d’amore son pochi:
facciamo almeno che siano divini”

Già quello mi sarebbe bastato a rendere gradito un libro di poesie, la scelta di un incipit che facesse suonare mille campanelli.
Poi però ho letto le poesie e ci ho trovato dentro immagini, strategie di pensieri e scene che mai avrei supposto. Spero non se la prenderà Maria Grazia, ma difficilmente mi sarei immaginata che dentro di lei albergasse una poeta così gioiosa.
Con il suo permesso vi riporto i versi che mi stanno accompagnando in questi giorni:

“Cerco in ogni albero il suono inconsapevole
utile al mestiere del liutaio”

 apre la prima serie di sorprese immaginifiche.

“Tutto quello che ho perso resta
mi aspetta nel deposito oggetti smarriti
di una qualche stazione che non mi rivedrà.
Ho un biglietto di sola andata
tante cose ancora da trovare”

che è un delizioso omaggio alla Wisława Szymborska del “Discorso all’Ufficio Oggetti Smarriti”.

“Presto o tardi fa sera.
Ogni gatto torna al suo padrone
e dai tetti scendono i ricordi”

e mi rimanda alla nebbia gialla che si struscia contro i vetri nella Love Song of J. Alfred Prufrock di nuovo di Eliot, così come le donne che vanno e vengono tra parentesi parlando di Michelangelo diventano:

“(è quasi un’utopia nella memoria
il tuo volto così puro, inconciliabile
con la prosa delle umane preoccupazioni)”

inciso in mezzo ad una poesia.

E che dire di un Salinas femminile? “La Voce a Te Dovuta” riecheggia minimale in

“Se un giorno tu dirai di me al passato 

ti prego, fallo sottovoce, che io non senta”

e anche:

“Se questo amarti è un dono o una condanna
io non te lo so dire,
ma so che il mio presente è nella notte
dei tuoi occhi e l’unico riposo che conosco
è nel tuo palmo caldo
dove poso la guancia per dormire”

Un po’ di cattiveria esce, ma è nostalgica e melò come Dorothy Parker e, come nelle sue poesie, le negazioni sono richieste e preghiere stemperate di ridicolaggini:

“E’ bella la tua voce quando dice non ti amo
[…]
Ma adesso baciami bugiardo. Non ti amo anch’io”.

Insieme ad un poco di Gozzano mi ritrovo a leggere un Qoelet reinterpretato:

“Si sta sciogliendo in gocce l’affanno di questo cielo,
del resto ogni stagione ha il suo tempo
e questo è il tempo delle piogge”

Ma oltre all’elaborazione e alla restituzione personale dell’interpretazione, Maria Grazia è anche una piccola collezione di delizie personali come:

“Sono imperfetta e sono anche futura
nell’idea pura, un’intenzione
prima che si tocchi la materia”

E poi arriva quello che vorrei aver scritto io, un po’ alla Bre:

“Il sole arriva prima
e si trattiene
un po’ di più la sera
non per amore
di quest’angolo di terra.

E’ solo che
la Terra gira
e quasi sembra amore”.

Il libro si chiude con uno scoglio immenso:

“Ho mentito.
Non è vero che sto scrivendo
sono solo versi bianchi
ma ho finito i fogli colorati”

che i versi, quelli veri, terminano così: con l’attesa dei prossimi, ancora bianchi.


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