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Pubblicato daMondadori
Data pubblicazione in Italia:
Formato:
Collana:Strade blu
Genere:Autobiografico
Pagine:
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La trama:
“Noi ci disegniamo addosso l’inferno e continuiamo a restare lì, molto tempo dopo che qualcuno, armato di intelligenza, ci fa notare che stiamo andando a fuoco.-cit.” Gomme da cancellare quest’obbrobrioso scarabocchio ce ne sono, per fortuna! Violetta Bellocchio l’ha imparato a sue spese e ce ne mette alcune generosamente a disposizione. Chi ne avesse voglia di carpirle, entri in empatia con queste 276 pagine della sua vita.
Quando m’impantano in romanzi o storie autobiografiche (e ne ho lette parecchie) su tematiche di dipendenze da sostanze così dette legali come ad esempio l’alcol, sarei spinta da un coinvolgimento emotivo eccessivo a entrare troppo sul mio personale e quindi a giudicare, criticare e sbraitare consigli a destra e a manca sugli Alcohol Addicted (AA anche detti Alcolisti Anonimi), scordandomi che questo testo è una scrittura privata dell’autore, un’introspezione. E’ un lavoro di memoria, comprensione e semmai rimozione personale e unica. Raccoglie e riporta ciò che ha provato in quel contesto lui stesso. Io devo ascoltare o leggere con apertura totale, rispetto e accettazione, punto e basta! In più, se non facessi ciò, perderei anche d’occhio il mio lavoro: “Una buona recensione deve tendere il più possibile all’oggettività e riguardare un giudizio sull’opera intera e non sulla vita dello scrittore.” Ecco … in stand-bay il mio cuore e plesso solare. Attivo sinapsi cerebrali che di divagazioni mie ne ho già messe troppe: pronti … via!
Violetta Bellocchio è una scrittrice trentottenne figlia di una nota psicoterapeuta junghiana (nel contesto può essere for o sfor -tuna). Ha uno stigma conficcato nel corpo, che, essendo esso stesso femmineo, risulta ancora più marcato: è (ex-) alcolista. Tre anni di binge drinking a partire dal 2002 non si dimenticano. Oltre ciò gestisce blog, ha fatto critica di testi di Eminem, ha visionato film per “Dizionario del Cinema”, progettato mensili per adolescenti e scritto testi su riviste (son lavoracci ;)). Ha esordito nel 2009 grazie alla Mondadori -Strade Blu con “Sono io che me ne vado”, romanzo sulla cui fascetta di copertina trovo: ”Se permetti agli altri di trattarti da vittima, forse avrai la vita più facile ma non ti libererai mai della loro compassione”. Mi piace questo termine cum-păti = assieme nella sofferenza. Non ci vuole la Layla, personaggio del primo libro, al suo fianco nella sua pena. E’quasi una premessa del secondo lavoro di Violetta Bellocchio, stesso editore e stessa collana, uscito a marzo, suddiviso in due parti, di cui l’ultima è il diario della sua disintossicazione.
Nel “Il corpo non dimentica” neppure Violetta Bellocchio desidera piètas, anzi ci lancia un messaggio chiaro. Linguaggio fatto di flashback, analisi di vocaboli presi come spunto di storytelling, scrittura poco fluida e limpida, a volte confusa e imprecisa, ma assai cruda, sincera e pungente il tutto unito al simbolismo dello stelo rosaceo, disegnato in copertina, con spine evidenti di cui una conficcata nel fusto stesso, come ordine perentorio: non toccatemi che son colpa del mio mal! Vuol tenere le distanze dal mondo ferendo, perché essa stessa è stata ferita poiché incapace di proteggersi. Nello stesso tempo, però, è consapevole di essersi conficcata personalmente una spina nel fianco, un de libero arbitrio, perché ”certi destini non sono una disgrazia, ma una scelta. Noi abbiamo scelto di essere carne fallimentare, incurabile, di bruciare in un Paese che da ragazza non mi sembrava ci desse altra scelta- troppo uguali,non belle. Niente di speciale” Ecco l’eccezionalità del pensiero fatto racconto, il mea culpa costruttivo per un’autoanalisi di scioglimento del trauma. Che sia merito dell’influsso madre-psicologa? Mi piace e penso a questo sodalizio con tanta ammirazione.
Zarania