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Pubblicato daIl mio libro
Data pubblicazione in Italia:
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Genere:Attualitá / ReportageAutobiografico
Pagine:
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La trama:
Roma, anni 50. Sono pochi decenni ma é un mondo diverso da quello di oggi, e questo libro ce ne presenta un lato, ricco di dettagli e ricordi che ne fanno un tempo speciale. Un tempo che se abbiamo vissuto ci piacerà ricordare e se invece non conosciamo ci piacerà scoprire.
Quando Maria Letizia Putti usa la parola “passato remoto” lo fa con più che un pizzico di nostalgia. Quel passato è il tempo che la lega d oggi, che come un ponte fa incontrare ricordi d´infanzia composti di persone, oggetti, luoghi, cibi, consuetudini al mondo degli anni cinquanta che non c´è più. Il passato remoto è un racconto autobiografico, una testimonianza, un richiamo verso qualcosa che torna indietro solo nella mente di chi quegli anni li ha vissuti, riempiti e abbandonati ufficialmente perché il tempo viaggia a senso unico. Maria Letizia Putti è una bambina negli anni 50, costretta alla separazione dalla madre è accolta dalla affollata famiglia dei nonni e degli zii di piazza Navona 14. Ha la fortuna di vivere da vicino uno dei più celebri luoghi della capitale e ne anche un´altra più grande: custodire nella memoria immagini nitide di quel periodo e di ciò che lo ha caratterizzato. Questo racconto diventa dunque l´occasione per i più giovani di conoscere parte della realtà di quegli anni, non dal punto di vista storico, ma da quello degli usi e dei costumi, e per i più nostalgici di ricordare -forse sorridendone- dei tempi andati con un briciolo di malinconia dovuto a quei mutamenti profondi e repentini che non hanno reso il nostro presente solo migliore.
Non è solo il periodo del “si ricicla tutto” e del “si butta poco”, è anche quello dei costumi in tessuto grosso che non si asciugano, delle calze di lana a letto, di giocattoli in materiali durevoli e pesanti, dei dolci delle baracche in piazza, dei mille usi delle cose, delle botteghe specializzate prima dei grandi magazzini. A casa c´è il pianoforte, il freddo che più soldi combatterebbero meglio, la zia Gabriella onnipresente che cucina e fa lezioni ai più piccoli con il vocabolario e che si porta Maria Letizia in giro per le faccende, Elena una parente ospite per la durata degli studi magistrali dal cuore buono. Sono anni in cui bisogna accontentarsi, anni che splendono delle loro semplici gioie. Uno zucchero filato. Un banchetto per lo studio che segna la fine dell´età del bimbo a favore di quella del bambino grande che studia. Una ciambella da poche lire. Il lettore torna indietro a un tempo bello, quando ancora le macchine non avevano sostituito così tanto gli uomini e sopravviveva il mestiere artigianale dell’“uomo del ghiaccio” indispensabile per rifornire la ghiacciaia d´estate, e tanti altri fornitori di servizi a domicilio e per le strade come il vinaio, la lavandaia, la rammendatrice, il venditore di scope, lo strillatore, il lustrascarpe. Forse era tutto più vero, di certo più durevole, non confezionato all´acquisto, non sprecato nell´uso.
E c´erano tanti oggetti oggi in disuso che è bello ricordare, non solo per il fascino che hanno le cose che non vengono più costruite, ma per i ricordi che si legano a essi, gesti quotidiani che non è più necessario compiere, spazi che non vanno più percorsi, ruoli che son stati eliminati o sostituiti, e tempi accorciati o annullati. Il talco per esempio, per usi igienici, la pomice, l´olio rosso “cura tutto” o il più conosciuto battipanni per i lavori di casa. C´è una cosa che non ho detto, nell´introduzione di questa recensione, ed è chiara: il passato remoto della Putti, anche se vivido nella memoria è appunto remoto, è un salto temporale di pochi decenni che però hanno trasformato completamente il territorio, le abitudini, le regole, l´abbigliamento, le pretese, i valori delle persone.
E seppure questi cambiamenti non siano posti sul piano del giudizio sono palesi al lettore, risaltano, con una valenza positiva e negativa al tempo stesso, come probabilmente è giusto che sia. Questo è l´esempio di come un racconto personale può non soltanto intrattenere ma condividere esperienze capaci di farci amare anche il tempo che passa, con le sue cose belle che non sono infinite e non tornano, e capaci di dare valore a quello che siamo stati: perché noi siamo tutti quei luoghi che visitiamo, le cose che conserviamo nei cassetti, le fotografie sbiadite, le cose che ci hanno detto, che ci hanno dato, quelle che abbiamo mangiato e respirato.
Siamo anche i nostri ricordi, da dovunque essi provengano, con le persone che li abitano, gli affetti di un lontano troppo breve passato remoto.