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Pubblicato daEinaudi
Data pubblicazione in Italia:
Formato:
Collana:Stile libero big
Genere:Autobiografico
Pagine:
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La trama:
Un bambino ci racconta il suo dolore e la sua solitudine mentre assiste impotente alla malattia della madre e alla morte di entrambe i genitori. La sua precoce schiavitù da alcool, psicofarmaci e droga, che gli anestetizza l’anima durante l’adolescenza e lo accompagna fino alla vita adulta, lo imprigiona in un vortice di pornografia e sesso senza pudore, senza amore, senza limiti. Un lento tentato suicidio che gli fa toccare il fondo per poi rinascere alla vita.
Il bambino che ci parla in La vita oscena è Aldo Nove: saperlo prima di iniziare a leggere il suo romanzo mi ha messo un po’ a disagio perché con le sue frasi brevi e dirette, il suo linguaggio crudo e schietto ti fa entrare nella sua vita senza filtri né contegno. Non ti sta raccontando una favola, ma il suo inferno! Quello che segue è solo un assaggio…
In casa non si parla più da quando “la brutta malattia” della madre, l’innominabile cancro, la sta uccidendo lentamente. Aldo, alcolizzato a soli 10 anni, lasciato solo con il suo dolore, osserva e analizza le paure del padre: è in macchina con lui quando guida a tutta velocità per poi fermarsi improvvisamente, guarda nel vuoto e fa “la faccia della morte”immobile, perché “la morte è quando tutto resta fermo”. Lo osserva frugare, spostare, mettere in ordine e poi di nuovo in disordine la sua cantina piena di oggetti: “ero piccolo ma già sapevo che riempirsi di cose è il modo che usiamo per sentirci il più lontano possibile dal nulla”. Suo padre ci nuota, ci si nasconde nelle cose perché non riesce ad affrontare l’imminente morte della moglie, infatti si ammala e muore prima di lei per un ictus. Ci fa quasi sorridere quando Aldo riferisce la paradossale reazione della madre, “la prese come un’offesa inimmaginabile”. Una donna eccentrica, la madre, una hippy vestita di fiori, che parlava di pace e di libertà, dell’America, che raccontava barzellette e rideva con lui anche sul letto di morte, ma della morte non parlava mai. “La morte, diceva, non esiste”. Aldo non va al suo funerale, rifiuta la realtà e si rifugia tra i dischi, l’alcool e gli psicofarmaci, dorme di giorno e vaga la notte. Cerca di suicidarsi, ma lo ossessiona l’idea di sua zia che gli prepara i sofficini: avrebbe cucinato per niente se si fosse ucciso! Finisce in un patronato cattolico per studenti e lavoratori a Milano, dove avrebbe potuto frequentare l’università e ristabilirsi, fare una vita normale.
Ma lui la normalità non la conosce. La notte vaga da solo per Milano suonando ai campanelli dei dottori per farsi prescrivere il Roipnol, l’unico psicofarmaco che ancora fa effetto. Poi si barrica strafatto nella sua stanza tra libri di poesia e giornali porno. La poesia “perché era a frammenti, come la mia vita” “Perché cercava la verità e non il successo. Perché la vera poesia è crudele. Perché la vera poesia fa male”. La pornografia perché pensava rappresentasse perfettamente la vita, riassumendola semplicemente e senza inganno, come “forma di consumo”. Dal suo poeta preferito, Trakl, prende spunto per il suo suicidio: overdose di cocaina. Ne compra una quantità smisurata, ma non basta, non muore, anzi acuisce il desiderio sessuale e Aldo decide di soddisfarlo con le prostitute. Dilapida l’eredità lasciatagli dai genitori con le squillo: donne, uomini, mistress, non importa. L’importante è godere e soffrire “perché il dolore è legato al piacere e il massimo del dolore è il massimo del piacere”, umiliare il proprio corpo per espiare, perdersi nell’abisso per arrivare alla morte. Ma la morte non arriva neanche questa volta, il fondo sì, lo tocca davvero. Una visione di sua madre che lo partorisce nuovamente lo riporta alla vita ed a un nuovo inizio.
Non amo particolarmente la “prosa lirica” di Aldo Nove: all’inizio è anche fastidiosa, pur sortendo il giusto effetto, perché difficile da seguire soprattutto quando passa da frasi brevissime a periodi infiniti che ti fanno sprofondare nel suo delirio.Il trucco è leggerlo tutto d’un fiato ( ce la potete fare, è breve!) ed a voce alta: bisogna affrontarlo, incassare i pugni che ti dà nello stomaco in continuazione, dall’inizio alla fine!
Giorgia Pischedda