Recensione di Portico d’Ottavia 13 di Anna Foa

Creato il 09 ottobre 2014 da Leggere A Colori @leggereacolori

16 Flares 16 Flares × Portico d'Ottavia 13Anna Foa
Pubblicato daLaterza
Data pubblicazione in Italia:
Formato:
Genere:Saggi
Pagine:
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Trama:

Roma. Un’antica casa medioevale ormai degradata, un vasto cortile rinascimentale. È qui che il 16 ottobre del 1943 i nazisti arrestano più di trenta ebrei.



L’azione doveva cogliere gli ebrei di sorpresa e il segreto era assolutamente necessario.

Una decina d’anni fa, Anna Foa, (discendente di una delle famiglie ebraiche che più hanno contribuito alla storia civile e politica dell’Italia contemporanea e studiosa dell’età moderna e di storia degli ebrei ) si trasferì in un appartamento nel cuore di Roma, Portico D’Ottavia 13 e iniziò a chiedersi quale storia nascondesse quel palazzo che nel 1943 era abitato quasi interamente da ebrei. “era una casa suggestiva e piena di bizzarie, una casa in cui ci si poteva perdere[...] di questo libro, il primo protagonista è la Casa, con le sue colonne, le sue mura spesse, le sue deviazioni inaspettate”

“La razzia cominciò poco prima delle cinque e trenta.[...] Scrupolosamente, gradino dopo gradino, i nazisti salirono le larghe scale di marmo consunte della Casa fermandosi ad ogni porta senza tralasciarne nessuna.”

Da qui inizia la storia degli abitanti della Casa e dei nove mesi segnati per gli ebrei romani da oltre duemila deportazioni. Sono presi per strada, nel quartiere del vecchio ghetto da cui non si sono allontanati, nelle stesse case in cui sono tornati, nei negozi, perfino al bar. Li arrestano soprattutto i fascisti, le bande autonome dipendenti direttamente da Kappler mosse dall’avidità della taglia, guidate dalle delazioni delle spie. Tutto può accadere: sono l’avidità e la crudeltà la norma della spietata caccia all’uomo. Quando le spie indicano gli ebrei alle bande, un carrozzone si avvicina per far salire gli arrestati, liberarne alcuni, mandarne altri a morte, a seconda della convenienza e del capriccio. L’arbitrio era re nella Roma di quei mesi. Intorno, il caos più tremendo, nessuna forma di organizzazione, il vuoto, i bombardamenti, la fame, i rastrellamenti, le fosse Ardeatine. Il quartiere è il teatro di questa caccia infinita, un teatro che attira come una calamita i suoi abitanti e i cacciatori, che conoscono le loro prede e sanno come e dove trovarle.

“…ridare l’anima alle persone che la abitavano in quei giorni terribili dell’occupazione, quando gli ebrei erano braccati nella città,cacciati da cacciatori disumani: questo è il mio proposito”

Approfondimento

Anna Foa trasmette perfettamente gli stati d’animo dei protagonisti con un tessuto narrativoatipico per un saggio storico, con tratti romanzeschi.La Casa è il centro della narrazione la ; il che rende iltutto ancora più reale e più vero. Emerge pienamente il senso di attaccamento alle radici, la forza della comunità, ma anche purtroppo la paura, il tradimento. Le informazioni sono tantissime e prendono la forma di un censimento, seguire la trama a volte risulta difficile, ma nel complesso l’autrice  rende abbastanza dinamica l’analisi degli avvenimenti. La lettura apre a varie riflessioni e domande.

Un libro da leggere per capire, riflettere e non dimenticare. Letto il saggio, ho voluto approfondire la conoscenza dell’autrice e ho trovato un’intervista rilasciata il 24 gennaio 2014 a repubblica.it  a ridosso alla giornata della memoria; ne riporto i punti salienti:

Da più parti si denuncia la stanchezza della memoria: un martirologio che rischia di non comunicare più nulla.
“Anche nel mondo ebraico era cominciata una riflessione di questo genere, ma poi s’è arenata. Purtroppo il diffondersi del negazionismo accresce negli ebrei un atteggiamento di difesa. E così si difende tutto, anche la retorica. Chi parla di “shoah business”, ossia degli investimenti di danaro intorno al ricordo dell’Olocausto, richiama elementi di realtà. È fondato il rischio di diventare professionisti della memoria. Bisogna dirlo senza farci spaventare dall’antisemitismo. Anche se poi questo è un enorme problema reale”.

Oggi si pone il problema di come ricordare. Un libro appena uscito, Dopo i testimoni, s’interroga sulla memoria dopo la scomparsa degli ultimi sopravvissuti.
“Mi sembra folle l’idea, circolata da qualche parte, che si possano allevare dei ripetitori di memoria individuale. C’è invece bisogno di storia, come dicono Bensoussan e molti altri in quel volume. E c’è bisogno di storie: ricostruire vite cancellate”.

Lei ne ha raccontato diverse in Portico d’Ottavia 13: tutte storie vere. Ma cosa pensa dell’efficacia delle fiction?
“C’è sempre il rischio di buttare un’ombra sulla realtà: ma è finzione o realtà? Quando scrivevo il mio libro, sono stata tentata di riempire i buchi con la immaginazione, ma poi ho pensato che con la Shoahnon si poteva fare”. 

L’intervista completa è a questo link

Isabella d’Amore



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