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Recensione di Storie da Città di Solitudine e dal Km 76 di Giovanni Sicuranza

Creato il 16 maggio 2014 da Leggere A Colori @leggereacolori

9 Flares 9 Flares × Recensione di Storie da Città di Solitudine e dal Km 76 di Giovanni SicuranzaStorie da Città di Solitudine e dal km 76Giovanni Sicuranza
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Data pubblicazione in Italia:
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Genere:DrammaticoNarrativa Contemporanea
Pagine:
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La trama:
Un'antologia di racconti ambientati in luoghi ai confini del tempo, nella nebbia e nel silenzio di una solitudine senza via d'uscita.

Storie da Città di Solitudine e dal Km 76  inizia nel Cimitero di Solitudine, tra le lapidi che raccontano storie di vita perduta e l’aria che odora di terra umida. Non si tratta di un romanzo ma di un’antologia di storie che si rincorrono tra le pagine e che hanno come comune denominatore i luoghi esplorati : Città di Solitudine, il Cimitero sulla collina, il paese di Fine Viaggio e il palo al km 76. Ogni nome è evocativo e porta con sé il silenzio di strade coperte di nebbia e il livore di un cielo in cui non sembrano esserci né alba né tramonto ma soltanto un eterno grigio senza sole.Storie da Città di Solitudine e dal Km 76  si apre nel Cimitero, il cui custode vaga tra le tombe e sbircia le lapidi ripetendo la frase “Senza saper né leggere né scrivere…”. Forse non ha mai letto un libro, ma il custode del Cimitero di Solitudine ha letto le lapidi, le vite nascoste tra i nomi incisi nella pietra. Ognuna di quelle storie reca in sé l’impronta di un segreto dolore. Agonizzante, il custode si lascia scivolare contro la lapide di colui che fu il parroco di Città di Solitudine e racconta a se stesso le vite degli uomini lì sepolti. Omero Agnosia e Carmen sono di Fine Viaggio, un paese il cui nome racchiude in sé il senso di una fine, il confine stesso della vita. A Omero basta uno sguardo per innamorarsi di lei, mentre Carmen è una prostituta che ancora piange la morte dell’unica donna che abbia mai amato. Il loro è un amore impossibile che si consuma in uno sguardo perso nella nebbia, nell’eterno rimpianto delle cose mai accadute. Protagonista del secondo racconto è Camillo Fadore, inquietante violinista perseguitato dall’ardente desiderio di uccidere. Macabro e profondamente inquietante è, al di sopra di tutti, il racconto dedicato all’edicolante del Km 76, innamorato da sempre di una donna la cui pelle profuma di pane. Tra madri assassine e donne uccise dall’amore sino alla tragedia del terremoto che uccide gli alunni di una scuola elementare, l’antologia scorre sul filo di un surrealismo cupo e tormentato in cui s’intrecciano storie e personaggi, vita e morte, fino all’imprevedibile finale.

Storie da Città di Solitudine e dal Km 76 è una raccolta di racconti sui generis, molto più simile al romanzo che all’antologia vera e propria. I personaggi e le storie sono accomunate non soltanto da un tenebroso destino di nebbia e solitudine, ma anche e soprattutto dai legami di sangue e da quelli amicali. L’idea iniziale della raccolta ricorda molto da vicino Antologia di Spoon River e il libro in sé si colloca perfettamente a metà strada tra la letteratura sepolcrale e il teatro dell’assurdo. Benché si tratti di prosa e non di teatro, infatti, mi è sembrato spesso di scorgere l’ombra del Beckett di Aspettando Godot tra le pieghe delle storie narrate da Sicuranza. Fortissima è l’impronta surrealista che permette al lettore di immaginare le vicende come fossero su una pellicola in bianco e nero degli anni Venti, qualcosa di molto vicino a La coquille et le clergyman. Sottile la vena anticlericale che percorre i racconti, i cui personaggi sono uomini “senza Dio” non perché non credano – Città di Solitudine ha un suo parroco – ma perché ciò a cui dicono di credere non è mai entrato realmente nelle loro vite. Le loro esistenze sono di un grigio piatto, nebbioso e uniforme e i luoghi stessi, immersi nella foschia, sono simili tra loro e privi di caratteristiche particolari. Mi è spesso venuta in mente, mentre leggevo la raccolta, la scarna scenografia del von-trierano Dogville, e di Dogville ho ricordato la crudele nudità degli avvenimenti, la gelida realtà del loro verificarsi.

Credo che il racconto più intenso e significativo sia quello dedicato al maestro Amedeo Lontano e alla foglia. Splendida la metafora della bambina che teme le foglie autunnali soltanto perché sono morte e, dunque, teme la morte. Il maestro le insegna ad amare quella foglia accartocciata che, pur avendo abbandonato l’albero ed essendo soltanto un velo fragile di materia da sgretolare, è lì per raccontare la storia delle sue primavere, del sole, di quella vita che ha vissuto prima di staccarsi dal ramo e lentamente morire. E’, questa, una metafora dell’intero vivere umano che restituisce grazia e dignità all’autunno della vita, fragile e polverosa foglia tra le mani di una bambina, primavera del mondo. Leitmotiv della raccolta è il tema della rinuncia: la maggior parte dei personaggi, stremati, preferisce cedere e arrendersi piuttosto che lottare per riconquistare la vita fuori dalla nebbia. Una madre, disperata, uccide suo figlio pur di non ascoltare più il suo pianto e la bella Candida si suicida per non dover più essere costretta a mostrare al mondo il suo volto eccessivamente pallido. La lotta è un’ipotesi lontana, irreale, posta su un trampolino troppo alto per il lancio. Non circolano quasi mai automobili sulle strade di Città di Solitudine e dintorni. Come in Delicatessen di Jean-Pierre Jeunet, i quartieri sono vuoti e solitari, silenziosi, privi di vita e colore. E’ per questo che, in un’atmosfera del genere, l’avvento del circo non può che provocare scalpore. Il racconto dedicato al trapezista Libero raggiunge affascinanti picchi di lirismo. Il significativo nome dell’uomo, il falco che è sempre al suo fianco, la metafora del volo: tutto inneggia alla libertà che sfida la morte e che, infine, rinuncia alla vita pur di non rinnegare se stessa.

Ho apprezzato molto Storie da Città di Solitudine e dal Km 76 il cui autore è evidentemente prosatore di alta qualità, attento e vigile sulla sua scrittura come un guardiano. Non ci sono sbavature, in questa raccolta: le frasi si susseguono con grande naturalezza, permettendo alle storie di incastrarsi in un grande e armonico puzzle a tinte fosche. L’unica nota negativa, a mio parere, è rappresentata da un fin troppo marcato senso del dolore. Sono certa che la tristezza possa condurre la Letteratura alle vette del lirismo ma che, a volte, possa soffocarla per eccesso di disperazione. Tale asfissia stilistica è sicuramente voluta dall’autore; tuttavia, avrei preferito un alleggerimento in alcuni punti, in modo da rendere la lettura più scorrevole. Questo aspetto, però, non toglie nulla al valore della raccolta in sé e all’importanza del messaggio trasmesso. Storie da Città di Solitudine è un libro denso di significato, reminiscenze letterarie e lampi cinematografici. E’ un’antologia completa che sta perfettamente in piedi senza mai perdere l’equilibrio. La consiglio agli stomaci forti e a coloro che della Letteratura vogliono cogliere tutto, anche il lato più oscuro.

Lo spazio su Facebook dell´autore Scampoli di Oscuro Stilvuoto

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