Recensione di The Great Gatsby: il pirotecnico ed esuberante film di Luhrmann che ha aperto Cannes 2013

Creato il 16 maggio 2013 da Masedomani @ma_se_domani


The Great Gatsby il ricco, misterioso e impeccabile protagonista di un libro nato dalla penna di Francis Scott Fitzgerald, che ha fatto battere il nostro giovane e adolescente cuore, da oggi torna su grande schermo con un nuovo look, con un palazzo da mille e una notte e con le sue sfavillanti e roboanti feste a cui è difficile rinunciare.

Ma il Grande Gatsby, per quarant’anni è stato anche l’affascinante attore Robert Redford, in grado di ammaliare il pubblico femminile vestendo i panni di Jay, l’uomo dai misteriosi trascorsi che cercava di realizzare il suo sogno più grande: far rivivere un intenso amore, cancellare il passato, dare una giustificazione a scelte di vita che turbavano il suo sonno e quello di molte fanciulle.
Gatsby era l’emblema dell’uomo di successo, che si era fatto da solo senza chiedere sconti,ed era riuscito ad entrare in un circolo virtuoso grazie ad una forza d’animo più unica che rara, ad un acuto spirito d’osservazione e ad un sentimento incrollabile. Così oggi Gatsby ha tutto, tranne una cosa, la sua adorata Daisy, per anni fonte di strazio e stimolo a raggiungere un successo ineguagliabile.

Il film che ha aperto la 66° edizione del Festival di Cannes è di quel Baz Luhrmann che predilige le sfide, il colore, il caos, la frenesia, il rumore e la musica e che in passato diede vita agli apprezzarti “Romeo+Juliet” e “Moulin Rouge” (ed è soprattutto quest’ultimo film a farsi sentire, ad accompagnarci e a insinuarci dubbi quest’oggi).
È stato difficile non entrare in sala con latente reticenza: troppo intrigante, passionale e drammatica l’opera di Fitzgerald e troppo alta l’attesa per questa rivisitazione al passo col nuovo millennio, che ci impone i tanto contestati occhialini 3D. E, in effetti, il film a prima vista è davvero sfarzoso, assordante, caricaturale, scintillante, pomposo, esagerato, fragoroso come non mai. Le feste che il magnate della finanza organizza, sono oltre lo scibile e il suo denaro appare davvero inesauribile. Purtroppo, però, non stiamo assistendo alla trasposizione cinematografica di un musical di Broadway, bensì alla quarta versione di un libro letto, studiato e amato da molti. Va da sé, quindi, che  il pubblico in sala potesse accusare una strana forma di malessere

La più grande sorpresa della pellicola di Luhrmann non è stato lo strabiliante cast presente (e in alcuni casi poco sfruttato) o la precisione, la cura del dettaglio, il gusto per il bello, bensì il caos, il moderno sottofondo musicale (non dovevamo essere negli ann’20?), la minima introspezione dei personaggi e la totale assenza di emozioni: siamo nuovamente di fronte ad un’opera bella ma senza un briciolo d’anima! Leonardo di Caprio ogni anno diviene più meticoloso e apprezzabile, ma proprio non riesce a farsi amare (per lo meno dalla sottoscritta), a farci tifare per lui, a farci emozionare durante il drammatico epilogo, e Dasy (Carey Mulligan) riesce a tenere per oltre due ore la medesima espressione (peraltro già vista in “Non lasciarmi” e già subìta in “Drive”) provocando non poco sconforto.
Con il morale ogni minuto sempre più affossato, ci sforziamo di focalizzare solo sul bello, ma purtroppo ciò non basta a far tornare il sereno. Qualcosa manca , si ha la netta sensazione che questa luccicante e ammaliante nuova versione della storia non sarà in grado di elidere e sostituire le immagini del 1974 per essere ricordata a lungo, è solo intrattenimento di altissima qualità.


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