In World War Z, il nuovo film zombie uscito nelle sale ieri 26 giugno, saltano subito all’orecchio le inconfondibili melodie dei Muse.
Guardando Wwz non si può che essere assaliti dal piacevole panico (per chi ama il genere, ovviamente) dell’invasione zombie. Da un lato è terrore, dall’altro quasi un pregustare una possibile apocalisse. In fondo i “disaster movie” servono proprio a questo, catalizzare la paura della fine, incanalarla in solchi conosciuti e portare il tutto ad una catarsi un po’ eccessiva per far tirare un respiro di sollievo all’uscita dal cinema.
E Mike Forster (Neverland; James Bond – Quantum of solace), il regista, sicuramente non delude le aspettative, e spicca per originalità in un momento in cui gli zombie, walkers, morti viventi sono inflazionatissimi (chissà come mai).
Tratto dall’omonimo romanzo di Max Brooks, la vicenda è un po’ sempre la stessa: famiglia felice composta da un pater-familias molto ben conservato, nonostante i suoi cinquant’anni, Brad Pitt, una madre gioiosa e attenta ai bisogni delle sue due figlie, di cui una, colpo di scena, soffre di attacchi asmatici. E’ un po’ la formula di ogni buon “disaster movie” e ci ricorda un po’ troppo la piccola Dakota Fanning, ne La guerra dei mondi, che ripete ossessivamente “questo è il mio spazio”, ma è una mancanza di originalità che si può perdonare.
Per gli appassionati questo è un film “di orde”. Chiunque abbia mai giocato ad uno sparatutto zombie conosce le orde e sa quanto siano il sale del gioco. Puro terrore, ed è su questa base che il film si evolve; sono stati fatti forse troppi film sulla prima invasione zombie, e troppi anche sullo scenario post-invasione: questo film invece, quasi emulando davvero un videogioco, tratta l’invasione zombie dall’inizio alle possibili soluzioni al problema, sempre rinnovando la paura di un nuovo attacco.
La crisi è globale e viene seguita dal nostro Brad Pitt in kefiah che gira tutto il mondo. Stati Uniti, Corea del Sud, Israele, Galles. L’unica vera pecca sono proprio questi spostamenti poco credibili, ma in fondo non bisogna affaticarsi troppo, non è un film di concetto, bisogna solo goderselo. Non aspettatevi un film psicologico alla Romero, con studi sull’animo umano di persone relegate nello stesso posto e analisi della convivenza pacifica, oppure che dia spessore agli zombie (come accade invece nel bellissimo La terra dei morti viventi, del maestro Romero). Bisogna infatti inquadrarlo nella giusta ottica: segue un filone riportato in auge negli ultimi tempi, non si mette in competizione con l’inventore del genere (sempre lui George A. Romero), dà solo un ampio spazio agli effetti speciali, alle armi spianate, e alla morale statunitense. Proprio grazie a questa combinazione (ammettiamolo un po’ semplicistica) riesce ad essere incalzante, terrificante, suggestivo ed affascinante nel suo orrore.
Articolo di Silvia Cannarsa