Cari lettori,
oggi parleremo di Diari di viaggio in Italia, Grecia e Turchia, atteso estratto della raccolta completa dei diari di Virginia Woolf, pubblicati complessivamente con il titolo di A Passionate Apprentice. The early journals, 1897-1909, a cura di Mitchell A. Leaska nel 1990. La scrittrice redasse infatti per alcuni anni un diario personale, ospitato in sette volumi, il cui ultimo volume raccoglie proprio le impressioni dei viaggi compiuti in Italia, Grecia e Turchia fra il 1906 e il 1909.
RECENSIONE
“non intendiamo scrivere una guida turistica”L’affermazione, in cui il lettore si imbatte subito, non può risuonare più vera alle mente dello stesso, quand’egli arriva all’ultima pagina. Non è di fatto questo ciò che è scaturito dalla penna di Virginia Woolf quando fissò sulla carta le impressioni dei suoi viaggi In Italia, Grecia e Turchia compiuti fra il 1906 e il 1909. Ma se il lettore si rende immediatamente conto di ciò che il testo non è, più sottile risulta al contrario identificare ciò che è. Nati dunque come scrittura assolutamente privata e non destinata alla pubblicazione, i Diari sfuggono a una precisa identificazione di genere. In particolare risultano poco legati alla letteratura di viaggio tradizionale in quanto l’elemento narrativo, il gusto del racconto e per quel che di romanzesco vi è necessariamente in un viaggio sono quasi totalmente assenti. Scopo ed elemento dominante del testo è infatti il tentativo di rendere intellegibili attraverso le parole, le impressioni che la vista di determinati soggetti suscita alla mente della scrittrice. Anche i pochi fatti esterni all’io che il testo riferisce non sono narrati nel loro svolgimento e a ben vedere non sono nemmeno descritti, come si potrebbe fare guardando un’opera pittorica che rappresenti un’azione, ma sono per l’appunto riferiti ovvero sono portati all’attenzione del lettore attraverso il resoconto delle impressioni suscitate nell’animo di Virginia.
A esplicitare questa sua poetica è comunque la stessa scrittrice che in più punti si esprime sulla volontà, e al contempo difficoltà, di tradurre a parole le proprie impressioni: “Non riesco a trovare altre parole se non quelle che stasera mi occupano i pensieri, ed è particolarmente inutile ostinarsi su un’immagine così perfetta con aggettivi poco appropriati.” In più punti, emerge chiarissimo lo sforzo dell’autrice di scavare quanto più profondamente le è possibile nella sua mente, per portare alla luce le suggestioni e le immagini propostele dal mondo circostante. Del resto una simile attenzione al mondo interiore, o meglio, agli effetti del mondo esterno su quello interno, è assolutamente coerente con quello che sarà la linea di sviluppo della scrittura woolfiana.
Alla luce di tutto questo i Diari appaiono quasi come esercizi di stile, tentativi linguistici abbozzati, associazioni semantiche non completamente definite, ma a cui l’autrice sente di poter riattingere successivamente per forgiare nuove e più compiute espressioni. E del resto tale impressione sembra confermata anche dal fatto che gli anni della loro stesura sono gli stessi in cui prendeva avvio quella straordinaria fucina artistica che è stato il salotto di Bloomsbury.
Scorrendo le sue pagine, emerge la fisionomia di un testo un po’ disomogeneo e sicuramente discontinuo che mostra chiaramente e senza ombra di dubbio il suo carattere di scrittura privata. Ma fra frasi generiche e spesso non molto interessanti anche per la difficoltà di comprendere tutti i riferimenti che magari esse nascondono, emergono improvvisamente vere pietre preziose. Immagini evocative e vivide di un lirismo stupefacente a dimostrazione che, nonostante tutte le sue dichiarazioni di ineffabilità, la Woolf resta signora indiscussa del potere evocativo della parola. L’uso sapiente degli aggettivi e dei loro accostamenti trasforma il colore del mare in un “cuore del blu più profondo” e la perfezione delle statue greche in “fasce rigide” dove “la pietra pare inoltre cedere alla mano dello scultore; è quasi liquida, del colore dell’alabastro, e dotata della solidità del marmo”. L'autrice può quindi ritenersi soddisfatta perché, anche se il testo non è sempre all'altezza delle sue ambizioni, queste gemme disseminate lungo il cammino, guidano e ricompensano senza dubbio il lettore, che alla fine del viaggio è riuscito a mettere da parte un piccolo tesoro di luci, suoni e colori. Complici di questa magia sono sicuramente anche le traduttrici che con indubbia maestria e competenza linguistica hanno saputo rendere perfettamente la patina stilistica della Woolf. Diari merita di essere letto con attenzione, di essere indagato, quasi analizzato. Più che di un lettore necessita quasi di un archeologo, che con pazienza riesce a separare il frammento di porcellana antica e preziosa, dal magma di terra e polvere che intorno ad esso si è sedimentato.