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Recensione. DIETRO I CANDELABRI: eccessi, follie e amori (gay) di Liberace

Creato il 05 dicembre 2013 da Luigilocatelli

Al cinema da giovedì 5 novembre. Ripubblico la recensione scritta lo scorso maggio a Cannes dopo la presentazione del film in concorso.048101
Dietro i candelabri
, regia di Steven Soderbergh. Con Michael Douglas, Matt Damon, Rob Lowe, Dan Aykroyd, Debbie Reynolds.
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Liberace chi? Tra anni Cinquanta e Settanta con il suo pianoforte e i suoi spettacoli rutilanti stregò una certa America. Un pop-idol che da solo prefigurò ogni successiva baracconaggine della società dello spettacolo. Omosessuale quando un omosessuale doveva nascondere e depistare (vedi Rock Hudson). Il film ricostruisce gli ultimi dieci anni della sua vita e la storia che ebbe con un ragazzo povero ma bello e molto, molto più giovane di lui. Grandissimi Michael Dougas e Matt Damon. Regia non appariscente, quasi silenziosa, ma perfetta di Soderbergh. Voto 7+048523
Steven Soderbergh ha dichiarato alla Berlinale che si ritira dal cinema, basta, non farà altri film, lui che a 50 anni e qualcosa ha prodotto moltissimo, al ritmo di un paio di titoli all’anno, attraversando modi e generi con sbalorditiva disinvoltura e ferreo mestiere. Dobbiamo considerare questo Behind the Candelabra, pensato e realizzata per il canale tv Hbo (lo trasmetteranno tra pochi giorni, il 26 maggio), davvero come il suo ultimo film? Non ci credo mica tanto. Soderbergh dimostra oltretutto di essere in ottima forma, perché mollare proprio adesso? Questo biopic su un personaggio mica tanto facile da raccontare, il pianista-divo e soprattutto showman Liberace (pronuncia Liberaci), è notevole davvero, con un lavoro in fase di sceneggiatura e dialoghi ammirevole, soprattutto tenendo conto della difficoltà fino all’incandescenza della materia trattata. Di famiglia italo-cattolica, Liberace spadroneggiò tra anni Cinquanta e primi Settanta nei teatri e perfino negli stadi d’America con i suoi rutilanti concerti al pianoforte incuranti di ogni rigore musicologico, ma di travolgente impatto. A lui importava lo spettacolo, trascinare il pubblico, e ci riusciva, con una tecnica pianistica impeccabile cui univa la disinvoltura nel mescolare i generi, e trasformando se stesso in icona, totem, creatura diva-divina. Lustrini, costumi di scena deliranti, con preferenza per mantelli di ermellino e visoni, in uno scintillio da Las Vegas, da Elvis, prefigurando da solo la baracconaggine della successiva società dello spettacolo, del look, dell’immagine, dei simulacri. A modo suo, un genio. Ville e esibizionismi e sciupii vistosi indimenticati, tra Ludwig di Baviera, Sardanapalo, Eliogabalo, Caligola. Una sorta di divinità egizia planata nell’America del dopoguerra.

 

Omosessuale, naturalmente, ma omosesuale in tempi in cui era d’obbligo nascondere, negare, depistare. Sicchè lui si dichiarava ufficialmente alla ricerca di una introvabile donna ideale che somigliasse alla sua adorata Sonja Heine, la leziosa pattinatrice di tanti film di Hollywood. Il film racconta l’ultimo decennio nella vita di Liberace, quello compreso tra il 1976, anno in cui conobbe il suo amante della vita Scott Thornson, fino alla morte per Aids (ovviamente la malattia non fu mai ufficialmente confermata) nel 1987. Behind the Candelabra – il riferimento è al candelabro che Liberace teneva sempre sul pianoforte quando suonava – si concentra sulla storia, parecchio tormentata ma comunque grande, importante, con Scott. Il bilionario pianista di massima eccentricità e successo e il ragazzo povero ma bello con storie di istituti e vuoti familiari alle spalle. Inevitabile, fatale, il contatto e il cortocircuito. Quella che vediamo è la loro prima idilliaca, poi complicata storia, così almeno come la racconta Thornson nel libro autobiografico da cui il film di Soderbergh è tratto. Naturalmente sulla testa del giovane Scott piovono soldi, regali, privilegi, e l’entrata ufficiale in un mondo di lusso e vizi e eccessi per lui fino ad allora impensabile. Nei primi tempi fila tutto benissimo, al punto che Liberace pensa di adottare Scott come figlio per renderlo suo unico erede. Scott, da parte sua, crede di aver trovato quell’ancoraggio familiare che gli è sempre mancato. Le scene da ricordare sono tante. L’estromissione-licenziamento dell’amante ufficiale precedente a Scott, il ricorso di Liberace a un chirugo estetico demoniaco (lo interpreta Rob Lowe), la visita alla vecchia e disincatata madre (interpretata da un leggenda di Hollywood, Debbie Reynolds), la trasformazione fisica sempre tramite bisturi dello stesso Scott, il suo precipitare nella dipendenza da misteriose pillole fornitegli dal chirurgo-stregone. Poi arriva per Liberace un nuovo amante, Scott perde la testa, viene licenziato anche lui. Ci sarano strascichi legali, l’ex amante cercherà di farsi liquidare con un bel pugno di dollari, e ci riuscirà. Non c’è mai voyeurismo in questo bel film, anche se tutto viene detto e niente taciuto. C’è rispetto per il suo protagonista, riumanizzato al di là della maschera a volte grottesca che lui stesso si era dato. Limiti: si sente che questo è un film per la tv. Manca un po’ lo spettacolo, ecco. Concentrandosi sulla storia con Scott, Behind the Candelabra finisce con il sacrificare abbastanza il rutilante mondo-paccottiglia del suo protagonista. le sue sfrenatezza, la sua estetica di eccessi oltre ogni possibile kitsch e camp. Ho pensato vedendo il film a cosa avrebbe cavato dal personaggio un visionario come Ken Russell. Qualcosa c’è, intendiamoci, penso soprattutto alla scena finale dell’ascesa al cielo di Liberace, ma questo non è il musical su di lui che prima o poi si dovrà pur fare. Onore a Michael Douglas, impressionante per aderenza psicofisica al personaggio del pianista più pazzo del mondo, e onore a Matt Damon, che sa calarsi nel suo Scott con una finezza da attore vero e grande, quello che ti fa dimenticare che sta recitando.


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