Recensione Dispatcher

Creato il 22 novembre 2015 da Lightman

Un horror sci-fi con elementi procedurali e la promessa di uno sviluppo del personaggio in stile RPG. Premiato dagli utenti su steam, si rivela un titolo noioso e sinceramente mediocre.

Versione analizzata: PC

Lorenzo Morlunghi gioca ormai da oltre 20 anni a quasi tutto e adora parlare di videogiochi e farci video sopra, soprattutto per ridere. Nel tempo libero guarda anche film e legge qualche fumetto, ascoltando per lo più musica elettronica. Lo trovate su Facebook.

Nel panorama delle produzioni indipendenti nate grazie a Steam Greenlight, Dispatcher è solo l'ultimo titolo che cerca di inserirsi nel filone survival horror in soggettiva, un genere che ha visto brillare stelle del calibro di Outlast e Alien Isolation. Recuperando persino il setting Sci-Fi dall'ultimo capolavoro di Creative Assembly, il team russo CivilSavages ci propone quindi un concept già visto, ma che sembra ancora in grado di attirare orde di coraggiosi che vogliono testare le proprie capacità di sopravvivenza in contesti estremi e, perché no, lasciarsi spaventare da qualche jumpscare improvviso. Abbiamo quindi deciso di fare un giro nei tetri corridoi di Dispatcher, per vedere quanto a lungo saremmo durati tra mille pericoli. Abbiamo però imparato a nostre spese che in questo titolo c'è ben altro da temere, al di là dei mostri in agguato nel buio...

Buio è bello

A differenza di un survival horror tradizionale, Dispatcher non offre al giocatore una campagna principale, ma una serie di livelli-labirinto dai quali uscire vivi prima che il mostro famelico di turno riesca a banchettare con le nostre carni. Iniziamo subito col dire che le tre aree esplorabili, ambientate in stazioni spaziali infestate, sono estremamente simili tra loro e, a meno che non decidiate di dedicare molte ore alla memorizzazione delle singole planimetrie, difficilmente riuscirete a distinguerle per qualche caratteristica particolare. Complice anche il buio che regna sovrano in quasi tutte le stanze, molto spesso vi capiterà di girare in tondo senza una meta ben precisa e a poco serviranno le rare mappe sparse in giro che vi indicheranno qual è la stanza con la capsula di salvataggio: farvi perdere il senso dell'orientamento sarà sempre il primo obiettivo di Dispatcher. A questo si aggiunge una parziale randomizzazione di elementi come chiavi e oggetti di recupero, che di volta in volta andranno cercati in uno tra i mille possibili nascondigli che il titolo mette a disposizione, rendendo l'esplorazione leggermente diversa ad ogni partita. Va infatti precisato che, anche avendo una chiara idea di dove si debba andare, molto spesso ci saranno delle porte chiuse con speciali chiavi magnetiche che indirettamente ci obbligheranno a riesaminare con estrema attenzione le stanze precedenti. Un'attività quest'ultima resa ardua dalla presenza dei mostri che, per tutto il tempo della partita, non faranno altro che compiere ronde e darci la caccia senza un attimo di sosta, lasciandoci come unica possibilità di salvezza una codarda ritirata. Le creature che si potranno incontrare sono di quattro tipi, ma appare evidente fin dalle prime partite come alcune di esse siano decisamente più semplici di altre da aggirare. Purtroppo la sensazione generale che si avverte durante gli scontri è che difficilmente si possa trovare la salvezza se si viene scoperti, poiché i nascondigli sono davvero pochissimi e molto spesso difficili da raggiungere in tempo. L'idea sarebbe quindi quella di limitare gli incontri sfortunati; eppure, raramente sarà possibile aggirare con facilità una creatura ostile, anche perché non vi è alcun tipo di radar a disposizione e, soprattutto, è quasi impossibile riuscire a distinguere la posizione dei nemici ascoltando i loro movimenti. La situazione precipita ulteriormente al progredire dei livelli di difficoltà che, a conti fatti, rendono il raggiungimento della capsula di salvataggio un'operazione legata più alla fortuna che non all'abilità di chi gioca. Vi anticipiamo infine che, nonostante la difficoltà nel raggiungere l'obiettivo prestabilito, il titolo non ricompenserà il giocatore in alcun modo per le proprie fatiche, limitandosi a ricordare con una frase laconica quanto difficile sia salvarsi dagli orrori che albergano nello spazio profondo.

Questa struttura basata fortemente sulla reiterazione degli stessi contenuti è legata alla parte RPG del titolo, che riguarda nel dettaglio il livellamento dei nostri personaggi e il relativo aumento delle statistiche. Portando a termine una missione riusciremo infatti a rendere permanenti i punti esperienza accumulati grazie ad alcuni bonus raccolti, e potremo aumentare valori come velocità, salute o stamina per rendere ogni partita un po' più semplice della precedente. Una struttura interessante che, abbinata al sistema di classi e perk (che influenzano esclusivamente i valori delle singole statistiche) avrebbe potuto garantire un buon replay value: non fosse che il gioco non dà all'utente i giusti incentivi, annoiando sin dalle prime partite. L'idea stessa di far crescere le statistiche del nostro sfortunato sopravvissuto viene smontata dalla prospettiva di dover portare a termine molte missioni tediose e dagli esiti quasi casuali, costretti persino a passare per la difficoltà in cui non vi è alcun mostro (con il solo rischio di morire per le trappole sparse in giro) per riuscire ad orientarsi un po' e capire che cosa sia necessario fare per salvarsi. Tutto questo si intreccia poi con il multiplayer, che mette a confronto diretto umani e alieni negli stessi livelli della modalità a giocatore singolo, ma sostituendo ai bot dei ben più pericolosi giocatori, facilmente in grado di regnare sovrani grazie alla supremazia assoluta che il loro ruolo gli garantisce. Non avendo infatti alcuna arma a disposizione, gli umani sono completamente in balia di una creatura che può attaccare quanto vuole e che ha una potenza devastante. Come affermato dagli sviluppatori, quella di Dispatcher dovrebbe essere un'esperienza cooperativa e competitiva al contempo, nella quale ci si aiuta per tentare di sfuggire alla creatura ma alla prima occasione un compagno può diventare sacrificabile per riuscire a salvarsi. Tutto questo crolla però di fronte al caos di un matchmaking che non include alcun tipo di chat per coordinarsi, in un contesto in cui l'oscurità onnipresente rende quasi impossibile trovare un compagno nelle mappe di gioco. Salire di livello è sicuramente il modo migliore per sperare lontanamente di concludere qualcosa di positivo durante il multiplayer, ma i tempi previsti sono talmente lunghi da poter facilmente mettere in crisi anche l'animo più tenace e metodico. Completa l'offerta la "Funny Hunt", una modalità che ci metterà nei panni del mostro contro una serie di bot praticamente inermi e per di più indicati da un alone luminoso. A dire la verità, non molto "funny".

Illuminazione e terrore

Sul fronte visivo Dispatcher ci regala una resa grafica all'avanguardia grazie all'utilizzo dell'Unreal Engine 4, un motore che sta letteralmente spopolando grazie alla politica di distribuzione gratuita. Andando in giro con la torcia accesa è possibile toccare con mano una costruzione degli ambienti tutto sommato buona, purtroppo controbilanciata da una scarsissima varietà degli elementi che costituiscono gli ambienti. I giochi di luce sono tra gli aspetti meglio riusciti della produzione, e non è raro imbattersi in scorci dal taglio estremamente cinematografico (è anche possibile attivare le bande nere e disattivare l'hud per vivere l'esperienza come fosse un film), a patto che abbiate il tempo e la sicurezza di fermarvi ad osservarli. La modellazione è buona, soprattutto per quanto riguarda gli alieni, e le texture sono generalmente definite e sufficientemente dettagliate, mentre alcuni particellari, come ad esempio quelli delle radiazioni, avrebbero meritato un'attenzione maggiore. Aumentando i dettagli fino ad Ultra è possibile godere di una resa generale ben sopra la media delle produzioni indipendenti, anche se lo scarso lavoro di ottimizzazione difficilmente permetterà a tutti di utilizzare questi settaggi, visto che il gioco è molto pesante da far girare in barba alle dimensioni piuttosto contenute dei livelli. Giudizio differente per quanto riguarda invece la parte audio, decisamente più confusionaria e raffazzonata. In ogni istante si confondono le musiche, i propri passi, quelli del mostro e rumori ambientali, rendendo l'udito un senso in meno su cui fare affidamento per uscire vivi dall'incubo e, anzi, una fonte perenne di distrazione dal nostro obiettivo principale. Nelle opzioni inoltre vi è solo una levetta generale del volume, che automaticamente impedisce a chiunque voglia personalizzare la propria esperienza di gestire al meglio i singoli canali dei suoni in uscita. Se suddetti problemi sono poco avvertibili alle basse difficoltà, vi assicuriamo che questa mancanza tende a farsi sentire in misura maggiore man mano che si sale di livello, con un prevedibile apice nella modalità pvp. Per chiudere: il gioco è disponibile solo in Inglese e Russo, ma le linee di dialogo da interpretare sono quasi inesistenti, rendendo di conseguenza Dispatcher un titolo adatto anche a chi non sia un esperto di lingue straniere.

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