Tre fratelli in un interno (e qualche esterno) napoletano. Enzo fa il cantante sulle navi da crociera, un simil-Silvio prima della politica e anche delle televisioni, il quale però, avendo il vizietto del gioco, si è indebitato al punto che il capitano è costretto a farlo sbarcare, ed eccolo, disoccupato, tornare a casa, nel grande appartamento dove ha sempre vissuto mamma che se n’è appena andata, e dove vivono ancora gli altri due fratelli. Stefano lavora in un’agenzia di viaggio, anche se la sua massima occupazione è di star dietro a Cico, il piacchiatello del trio, il pazzariello, anzi proprio fuori-fuori con parecchi circuiti cerebrali mal funzionanti. Si potrà dire il disabile di famiglia? Quello che in tempi non ossessionati dal politicamente corretto sarebbe stato chiamato il fratello scemo. Il quale, da scemo del trio, è anche deputato dal testo a divertire lo spettatore con le sue uscite ora surreali ora letteralmente demenziali, a creare quelle aree di incongruo, di sospensione del reale e del razionale, di derive nell’assurdo che sono il terreno di coltura della comicità più facile. La convivenza tra fratelli è alquanto complicata. Enzo, uomo che ha girato il mondo, mal sopporta i piccoloborghesismi di Stefano e le mattane di Cico (che mangia solo puré di patate, festeggia ogni notte il suo ora-compleanno ecc. ecc.). Tant’è che, quando si fa sotto il fruttarolo di cui sopra offrendo dei begli euri per l’appartamento – euri con i quali i problemi economici di tutti sarebbero risolti – Enzo è il primo a voler accettare. Peccato che mamma abbia lasciato scritto nel testamento che è loro dovere, se vogliono godere del patrimonio, continuare ad abitare tutti e tre insieme. Succederanno parecchie cose, i due fratelli diciamo così furbi cercheranno di aggirare il volere testamentario della genitrice e di vendere comunque la casa, il fratello diciamo così scemo si dimostrerà per niente scemo. La seconda parte, con i suoi piccoli colpi di scena disseminati astutamente, è la migliore, con un finale non così scontato, anche con un ritmo meno letargico. Vero, … e fuori nevica! non riesce mai a togliersi, neanche per un momento, quella polvere da teatro d’epoca. Quel senso di inattualità. Ma forse non bisogna chiedergli troppo, cercando se mai di vederci quel che di buono c’è. Salemme ha mestiere, e nei suoi dialoghi con i fratelli, tra qui pro quo e doppisensi e distorsioni lessicali e afasie sembra di risentire qualcosa di Totò e Peppino, e anche di Peppino e Eduardo. Nando Paone, bravissimo come scimunito Cico, rifà esplicitamente Totò nel linguaggio dei gesti e nelle deformazioni facciali, in una performance strepitosa da gran teatro vernacolare di una volta. Salemme è Salemme, con la sua aria da napoletano perbene e medioborghese e quella comicità ‘signorile’ a bassa intensità e lenta carburazione. Carlo Buccirosso da anni è tra i nostri migliori attori di supporto, quelli che venivan detti in altri tempi caratteristi, e qui non sbaglia un colpo. Ecco, prendiamolo, questo film, come un’esibizione di tre attori al loro meglio. Come una lezione napoletana.
Recensione: … E FUORI NEVICA! di Vincenzo Salemme, imprevisto campione al box-office
Creato il 22 ottobre 2014 da LuigilocatelliPossono interessarti anche questi articoli :
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