(Recensione di Maria Vittoria Novati per “storiadeifilm.it“) - ”Bella e perduta” è un film di Pietro Marcello, con Sergio Vitolo, Gesuino Pittalis, Tommaso Cestrone ed Elio Germano.
Dalle viscere del Vesuvio, Pulcinella, servo sciocco, viene inviato nella Campania dei giorni nostri per esaudire le ultime volontà di Tommaso, un semplice pastore: mettere in salvo un giovane bufalo di nome Sarchiapone. Nella Reggia di Carditello, residenza borbonica abbandonata a se stessa nel cuore della terra dei fuochi, delle cui spoglie Tommaso si prendeva cura, Pulcinella trova il bufalotto e lo porta con sé verso nord. I due servi, uomo e animale, intraprendono un lungo viaggio in un’Italia bella e perduta, alla fine del quale non ci sarà quel che speravano di trovare.
E’ difficile descrivere cosa sia esattamente l’ultima opera di Pietro Marcello. Come il suo precedente La bocca del lupo del 2009, anche in Bella e perduta realtà e finzione si mescolano in un connubio nel quale è difficile stabilire il confine tra il documentario e la storia di finzione. Proprio questo senso del limite, la sua mancata percezione da parte dello spettatore, rende quest’opera straordinaria.
La vicenda si sviluppa su tre diversi piani. La Realtà, ovvero la vicenda di Tommaso, instancabile protettore e “angelo” dell’abbandonata Reggia di Carditello (provincia di Caserta, nucleo principale dell’area “Terra dei fuochi”). La Narrazione, incarnata da Pulcinella (Sergio Vitolo), maschera intermediaria tra i vivi e i morti e per questo incaricato di raccontare la storia di Tommaso in seguito alla sua dipartita, nonché di esaudire le ultime volontà di questo: prendersi cura di un bufaletto (che lui aveva trovato) e di portarlo via, lontano, perché se rimane lì rischia la morte. Infine l’ultimo piano corrisponde alla Finzione vera e propria, ovvero la storia del bufaletto Sarchiapone (voce fuori campo di Elio Germano) che si racconta anche attraverso la sua precisa prospettiva (anche attraverso la sapiente scelta delle inquadrature e della fotografia.
Questi tre piani si combinano in maniera tale da far risaltare una serie di metafore: la reggia di Carditello a simbolo dell’incuria generale (microscopica se riferita al territorio circostante, macroscopica se in riferimento all’Italia tutta), fino al momento in cui lo Stato (nota bene: lo Stato parla con un forte accento nordico – piccolo cameo di Claudio Casadio –) se ne impossessa solo formalmente, ma senza risolvere la situazione di incuria – forse anzi tende a complicarla ulteriormente –. Il piccolo bufaletto Sarchiapone, costretto a scappare dalla sua terra per non morire, rievoca immagini di emigranti che dal Sud si spostano verso il Nord in cerca di una vita, di un’opportunità in più di vivere e non di sopravvivere. A stare fermi si muore, come gli altri… (per continuare a leggere la recensione > “storiadeifilm.it”']);">cliccare qui –>> “storiadeifilm.it”).