Recensione film Capitan America

Creato il 19 agosto 2011 da Masedomani @ma_se_domani

Facciamo una pausa dal Festival del Film Locarno 2011 per non dimenticare la pellicola che ci ha tenuto compagnia durante questa estate. Mancava, infatti, all’appello solo Capitan America, prima dell’arrivo in sala del tanto atteso “I Vendicatori” che segnerà il destino di alcune pellicole, ed ecco che a sorpresa è uscito a luglio.

Altro personaggio preso dalle fila della Marvel, forse uno dei supereroi più umani e sicuramente con una genesi tutta particolare, questo fumetto nasce durante la seconda guerra mondiale e non poteva che essere la personificazione dell’immagine che l’America allora (e non solo) voleva dare di sé: Capitan America è il perfetto paladino della giustizia, della democrazia e della libertà nella lotta contro il male. Steve Rogers è il ragazzino di Brooklyn che a tutti i costi vuole dare il suo contributo nel conflitto globale, lui che è gracile, che le prende da tutti gli spacconi del quartiere e che è impacciato con le donne, che alla fine riuscirà ad arruolarsi non grazie alle sue doti fisiche bensì alle caratteristiche personali e ai suoi ideali che tanto l’avevano sino a quel momento ostacolato.

Inutile a dirsi, la sorpresa non tarderà ad arrivare: gli verrà ben presto palesato che il suo aiuto al Paese comporterà il sottoporsi alla sperimentazione di un siero, che oltre ad aumentare la crescita (e quindi le prestazioni fisiche), accentua le qualità caratteriali, di conseguenza soggetti integerrimi diverranno paladini della giustizia mentre gli arroganti degli squilibrati oppressori. Ovviamente, il nostro Steve apparterrà al primo gruppo mentre il suo antagonista, figlio di una sperimentazione di un embrionale siero, all’altra.

In questa lotta tra il bene e il male, che rispecchia chiaramente gli schieramenti del conflitto in atto all’epoca, faremo un gran tifo per l’uomo che da sfigato qualunque, trovandosi casualmente nel posto giusto al momento giusto, si è trasformato in salvatore ed unica speranza di successo contro il temibile nemico. Perché, a differenza di altri supereroi, qui l’immedesimazione è più semplice e molto più rapida: un domani anche noi, che tutti i giorni ci sentiamo per qualche motivo inadeguati, potremmo trovare nei nostri difetti la soluzione a problemi che (magari) non coinvolgono solo noi. Ed è così che per qualche istante ci sentiamo già speciali.

In un momento storico di pessimismo cronico, di apparente futuro non roseo per molti giovani adulti, di quotidiani che si riempiono sempre più di sterili gossip per bilanciare le troppe notizie ben poco allegre, “Capitan America” ci fa uscire dai cinema quasi contenti di essere anonimi e normali. Nonostante qui vi sia una ben precisa collocazione degli eventi sulla linea del tempo, noi uomini come tanti ci concediamo infatti una possibilità di vittoria in un futuro non troppo lontano ed era proprio quello che volevamo durante le tanto agognate ferie.

La scelta di affidare a Chris Evans il compito di infilare la tutina a stelle e strisce far in modo che il pubblico ci si affezioni appare quindi davvero ironica: un attore bravo ma che non riesce mai a convincere ricorda davvero quanto tratteggiato dalla penna degli autori! I timori a questo punto paiono essere, l’alea di anonimato in cui è avvolto l’interprete si propagherà alla pellicola al punto che col cambio stagionale l’avremo già dimenticata? E soprattutto, potrà mai quest’attore reggere il confronto con gli interpreti dei suoi colleghi “vendicatori”? Di sicuro le interpretazioni di Tommy Lee Jones e Hugo Weaving paiono più di carattere.


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