Recensione Film – Pulce non c’è

Creato il 20 luglio 2013 da Oggialcinemanet @oggialcinema

In occasione della nona edizione di Bimbi Belli – Esordi nel cinema italiano a cura di Nanni Moretti, il regista Giuseppe Bonito ha presentato al pubblico romano la sua opera prima Pulce non c’è. Tratto dall’omonimo romanzo della giovanissima scrittrice Gaia Rayneri – 26 anni – che ha contribuito alla sceneggiatura, il film può contare su un cast notevole di cui fanno parte Marina Missironi, Pippo del Bono, Piera Degli Esposti e le due giovanissime interpreti di talento Francesca Di Benedettoun’ Alba Rohrwacher in erba – e Ludovica Falda.

Giovanna, vera protagonista della pellicola, è una tredicenne introversa e timida alle prese con i problemi adolescenziali. Giovanna è un’attenta osservatrice e ha una famiglia speciale, due genitori un po’ assenti a causa dell’autismo della sorellina Margherita, detta Pulce.

“Se qualcuno chiede alla mamma qual è il problema di Pulce, lei risponde Encefalopatia epilettogena da sofferenza feto-connatale con ritardo mentale grave e disturbo pervasivo dello sviluppo che rientra nelle patologie dello spettro autistico. Se lo chiedete a me, invece, rispondo che Pulce non è mai stata un problema: è mia sorella, mica un trattato di medicina neurocomesichiama”. Ecco chi è Giovanna.

Il film evidenzia da subito la predisposizione di Giovanna ad intrattenere la piccola Pulce nonostante gli evidenti problemi di comunicazione che l’autismo comporta. Pulce ha otto anni, va pazza per il tamarindo, la musica di Bach e il tango. Mamma e papà Camurati se ne prendono cura in modo meticoloso. Un giorno come tanti la mamma va a prenderla a scuola ma Pulce non c’è poiché le maestre si sono rivolte agli assistenti sociali sospettando che la bambina abbia subito degli abusi da parte del padre. Da quel momento in poi la famiglia vivrà un vero e proprio incubo tra battaglie giudiziarie, traumi e alienazione. A farne le spese più di tutti è proprio Giovanna che dovrà affrontare con coraggio la realtà, sottoporsi alle violenze psicologiche più atroci pur di dimostrare la verità e riabbracciare quella sorellina speciale.

Il film, tratto da una storia vera, riesce a mantenere la tensione del racconto dall’inizio alla fine. Le straordinarie interpretazioni dei protagonisti rappresentato un insostituibile tassello per una pellicola che presenta anche qualche difetto. I pregi sono molti di più ma se si può fare un appunto al regista è sicuramente quello di non essere riuscito a far dubitare lo spettatore dell’innocenza del padre. Ciò che colpisce maggiormente è l’anticonformismo di una famiglia perbene, per niente legata alle apparenze che vede in Giovanna il simbolo della loro bellezza, della loro sensibilità e della loro semplicità. A ciò si aggiunge la totale incompetenza delle istituzioni rappresentate qui dai servizi sociali, i medici e gli insegnanti che sottopongono Margherita e Giovanna ad una vera violenza. Il regista a questo proposito afferma: “Non so voi ma io oggi alla parola istituzione avverto un senso di angoscia che è per questo presente nel mio film.” Il resto della famiglia reagisce come sa, la madre in modo emotivo e ansioso, il padre con il silenzio, la chiusura e l’apparente distacco dall’umiliazione di essere considerato un pedofilo. Meravigliosa la scena del suo incontro con lo psicologo durante il quale Pippo Del Bono afferma: “Come mi sento? Sono incazzato. In otto di anni di vita di mia figlia, l’unico svago è stato quello di andare a fare la spesa”.

Tra i due coniugi vige un’incomunicabilità che sorprendentemente li avvicina piuttosto che allontanarli. Basta una stretta di mano per capire il rapporto di fiducia che c’è tra i due. La protagonista ed il suo sguardo privilegiato resta comunque Giovanna che è coinvolta in un dramma più grande delle prime cotte adolescenziali della sua amica del cuore. Proprio attraverso il suo racconto una storia così traumatica viene rappresentata con candore e innocenza. Per l’ambientazione, nonostante le origini partenopee del regista, è stata scelta la città di Torino le cui atmosfere grigie e cupe ed il colore sbiadito conferiscono un valore aggiunto ed un lirismo poetico al racconto.

“Pulce non c’è e non ci sarà mai, non c’è per i periti e non c’è per i libri di mamma Anita, non c’è per le maestre perché non suona Bach, non c’è per i paparazzi perché suo padre non l’ha violentata, non c’è per tutti noi perché lei non è e non vuole essere come noi ce la immaginiamo”. Conclude Giovanna.

Presentato in anteprima nella sezione Alice nella città del Roma Film Festival ad un pubblico di liceali, il film ha ricevuto una standing ovation che comprova il valore di una pellicola che racconta magistralmente una storia già di per sé toccante. Giuseppe Bonito dopo anni come aiuto regista supera a pieno la prova della regia e ci sembra inaccettabile che un film così profondo non abbia ancora trovato una distribuzione nel nostro paese. La sensibilità ed il rispetto con cui tratta la materia sono impressionanti e la regia stessa è molto misurata e non si lascia andare a facili sensazionalismi né a semplificazioni. Evita la retorica ed il melodramma riuscendo inevitabilmente a coinvolgere e commuovere lo spettatore a più riprese. Lui stesso ha dichiarato: “Il libro aveva per me una componente essenziale per la trasposizione cinematografica ed era quella del rischio. Anche mio fratello è un disabile e, per esperienza personale, posso dire che insieme alla mia famiglia abbiamo subito più umiliazioni rispetto a quanti aiuti abbiamo ricevuto. Mi piacerebbe poter conoscere il motivo per cui il mio film non è ancora stato distribuito ma nessuno mi ha spiegato le motivazioni e questo non sapere mi addolora ancora di più.”

di Rosa Maiuccaro