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Recensione: Fino alla fine del mondo, di Tommy Wallach

Creato il 23 novembre 2015 da Mik_94
Guardò il cielo, cercò la scintilla implacabile e vide che erano impegnati in uno scontro di volontà. In quell'istante smise di averne paura, anzi, la sfidò ad arrivare, sicura che quel sasso non potesse avere fame di morte più di quanto lei avesse fame di vita.
Recensione: Fino alla fine del mondo, di Tommy WallachTitolo: Fino alla fine del mondo Autore: Tommy Wallach Editore: Piemme – Freeway Numero di pagine: 388 Prezzo: € 17,00 Sinossi: L'asteroide Ardor ha il 66 per cento di probabilità di colpire la Terra, distruggendola. Potrebbe accadere entro due mesi. Potrebbe accadere sul serio. Due mesi è un tempo irrisorio oppre eterno. Dipende. Può essere impiegato per disperarsi oppure per commettere ogni sorta di nefandezza, oppure per ridefinire ciò che siamo, liberandoci dalle etichette che abbiamo lasciato che ci appiccicassero addosso. A Seattle quattro ragazzi stanno aspettando la fine del mondo. C'è lo sportivo, la puttana, lo sfigato, la studentessa brillante. Hanno due probabilità su tre che quei mesi siano l'ultima occasione per fare qualcosa che abbia un senso. Non per essere degli eroi e nemmeno per dimostrare niente a nessuno, ma solo per diventare se stessi, trasformando le proprie vite in qualcosa che abbia avuto senso vivere.                        La recensione Recensione: Fino alla fine del mondo, di Tommy Wallach Qualunque cosa sia, non ne vale la pena. A metà della scorsa settimana, di sera, ho ricevuto una chiamata inaspettata. Il cellulare ha vibrato e, sullo schermo, ho letto il numero di una persona con cui, faccia a faccia, credevo di non avere mai parlato prima. Giusto per messaggio. Magari era partita una chiamata per sbaglio: con il touch, spesso capita. Una volta, due... Alla terza, ho risposto, ricordandomi che tra noi c'era una questione in sospeso: a quella ragazza, infatti, avevo promesso delle dispense, ma quando avevamo detto di incontrarci, in settimana, era caduto il discorso; non mi aveva fatto sapere altro. Alle ventidue spengo la tivù e, un po' imbarazzato, rispondo: odio parlare al telefono. Non so quando i miei silenzi siano troppi o troppo pochi, quando è giusto spezzare parola oppure no. Con gli sconosciuti, a volte evito: mi si deve conoscere per interpretarmi. Ma quella sconosciuta alla cornetta, d'un tratto, non lo è stata più, sconosciuta. Mi sono ricordato di averla incontrata una mezza volta - amici in comune e lei, più grande di me, parlava dei suoi viaggi –, mentre mi raccontava di come, in Italia per gli errori della segreteria didattica, aveva preferito tornare a Parigi, da un giorno all'altro, all'indomani della tragedia. Lì ha una casa, un impiego – ho capito che scrive, che lavora in ambito umanitario – e al suo paese originario, in Abruzzo, non poteva starci, con il pensiero che vola altrove. Al concerto, quella sera, c'era il primo ragazzo che aveva conosciuto in Francia e la memoria del cellulare conservava ancora le sue promesse: doveva andarla a prendere in aeroporto. Ma quel ragazzo era morto, e adesso lei si scusava con me per i libri, per il ritardo. Ma la voce tremava, e tremavo anch'io. Lo avrà capito, si è subito scusata, ma aveva bisogno di parlare. E così abbiamo parlato. Di parigini che si fanno in quattro per la loro amica italiana, che di giorno si stanca, a lavoro, per non pensare, ma che quando è sera ha paura. Dei tanti feriti e, in particolare, di un'amica che è sopravvissuta alla sua compagna – e con la naturalezza che nel nostro Paese non ci sarà forse mai, senza dovere specificare sai, lei è lesbica, perciò aveva una compagna. Dei suoi inevitabili e se lì ci fosse stata anch'io; della preoccupazione di andare in ufficio in metropolitana, ché cosa ne so se quello di fronte a me, dal nulla, mi spara in fronte. Ho riattaccato un'ora dopo, ma non sono riuscito a dormire. Solo rigirandomi tra le coperte, pietrificato, mi sono scoperto realmente scosso dalla drammatica notizia che, quante volte, un centinaio?, avevo sentito al TG. Non erano le frasi fatte della televisione a parlarmene, non i titoli dei giornali. Il racconto di quella ragazza, per la prima volta, mi aveva fatto sentire Parigi vicina, e la preoccupazione – incancellabile - mi voleva sveglio. Così ho iniziato a leggere Fino alla fine del mondo Recensione: Fino alla fine del mondo, di Tommy Wallach Il libro giusto nel momento sbagliato, a tal punto che non riesca a dirvi, su due piedi, quanto sia effettivamente bello e quanto, quella notte, sia sembrato bello a me. Ma non è la stessa cosa, dopo tutto? In uno young adult – il più illuminante letto quest'anno – dove si parla di scienza e fede, si muovono significativi protagonisti in cerca di un senso, in un'annunciata apocalisse che somiglia un po' all'estate delle grandi scelte. Metteteci però le rivolte in piazza, la legge marziale, una festa spaziale. Una seconda parte dura, cupa, in cui l'isteria collettiva miete ingiuste vittime e il salvataggio di una sorella che frequenta brutte compagnie porterà i personaggi in un covo di tossici, a giocare con il fuoco. L'autore, giovane e colto – ne sa infatti di musica, filosofia, letteratura -, cita Vonnegut e con uno stile profondo, buffo, assolutamente originale nello spirito, scrive un romanzo che non è una lista di cose da fare. I diciotto anni e i buoni propositi di ogni dove – perdere la verginità, inseguire un sogno, trovare l'amore – somigliano, in Wallach, a quelle immagini veloci, frammentate, in cui nei film si vide un'umanita che, nel profondo, emoziona. Peter, sportivo e popolare, ha il successo in pugno, ma inizia a domandarsi se il suo scontato futuro – una borsa di studio, una fidanzata sciocca e possessiva – non sia l'equivalente di una vittoria di Pirro, come gli ha suggerito il prof a lezione. Recensione: Fino alla fine del mondo, di Tommy Wallach Eliza, nuova a Seattle, ha dato un bacio al ragazzo sbagliato, sotto lo sguardo di un'osservatrice indiscreta e, in un lampo, il pettegolezzo l'ha dipinta come una poco di buono. Sul petto ha una lettera scarlatta. Si è perciò adeguata in fretta. E' diventata la ragazza disinibita e sfacciata che tutti, sbagliando, pensavano che fosse. Ma ritrova se stessa nella camera oscura, quando l'unico lampo positivo – il flash della macchina fotografica – le permette di immortalare attimi irripetibili. Andy, punk e skater, indossa jeans troppo stretti e fuma troppe canne, invece: innamorato pazzo di Eliza – che anche Peter ama, tra l'altro -, è autore di testi intensi e di dichiarazioni d'amore brille nelle segreterie telefoniche. Anita, afroamericana, è ricca e precisa: avrebbe Princeton nell'imminente futuro, ma c'è questa voce potentissima, da cantante soul, che non riesce a zittire. Perché cantare nel proprio armadio, se c'è una folla che vuole sentirsi dire, e cantare, un'ultima cosa buona? L'esordio di Tommy Wallach – cantante e compositore che, all'interno della sua opera prima, mette tutta la musica che può – parla della vita, essenzialmente, che non si ferma mai. Che siano i terroristi, che sia un'asteroide che ha il 66 per cento di possibilità di ridurre in cenere la Terra. Ma la vita continua, anche senza di noi, e ci sono i giovani, per fortuna, che non smettono di proiettarsi a domani. Come l'amico della ragazza di cui vi ho parlato, che aveva promesso di andarle incontro, domenica, e a domenica non ci è arrivato. Quante le promesse infrante? Quanti gli appuntamenti mancati? A colpire, qui, soprattutto il concetto di karass. La social catena di Leopardi; lo splendido momento di Sense8, in cui gli otto protagonisti, in città lontane, si ritrovano a canticchiare sovrappensiero la stessa canzone. Persone che operano per uno stesso fine e che, ovunque siano, qualsiasi cosa facciano, si ritrovano a guardare la stessa asteroide che incombe. Siamo sotto lo stesso cielo - e non è sempre più blu, ma, a tratti, nerissimo. 
Sono a sentirti piangere, una sera, dall'altro capo del filo.
Il mio voto: ★★★★ Il mio consiglio: The Smiths – There Is A Light That Never Goes Out

To die by your side is such a heavenly way to die.”

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