Recensione: Follia Profonda, di Wulf Dorn

Creato il 09 settembre 2012 da Mik_94
Più a lungo soffrirai, più a lungo mi penserai.
 Titolo: Follia ProfondaAutore: Wulf DornEditore: CorbaccioNumero di pagine: 428Prezzo:€ 17,60Sinossi: Un mazzo di bellissime rose rosse senza biglietto. Un inquietante disegno sotto il tergicristallo dell'auto... Lo psichiatra Jan Forstner è l'oggetto delle attenzioni insistenti di una sconosciuta. All'inizio pensa si tratti semplicemente dei sentimenti innocui di una paziente. Ma quando un amico giornalista, che stava per fargli delle rivelazioni sconvolgenti che lo riguardavano da vicino, viene trovato barbaramente ucciso, Forstner comincia a temere di essere il bersaglio finale di una pazza omicida. Una stalker che non si ferma davanti a nulla pur di ottenere ciò che vuole. E ciò che vuole è lui, Jan, per sempre...     La recensione Lei non ha mai guardato nella tenebra, veramente. Sembra che lì sia tutto nero su nero, ma più a lungo la si fissa più si vede meglio.Sono tanti i piccoli gesti capaci di far sorgere il sole su una giornata di pioggia. Un fiore regalato senza un perché, qualche parola d'amore espressa in una lettera commovente, un disegno - trovato ad attenderci sotto il tergicristallo – appeso tra sorrisi e calamite colorate. Vivere per qualcuno ci fa sentire utili. Sentirsi amati può renderci i protagonisti di una romantica canzone pop passata tante volte alla radio. O di un incubo senza fine. E' quello che accade nell'ultimo romanzo del superbo Wulf Dorn, autore che, qualche anno fa, galeotto fu il suo impeccabile romanzo d'esordio, divenne un nome di spicco nel impervie lande del giallo. Pur condividendone le origini nordiche, Dorn era riuscito ad allontanarsi dall'incombente eredità lasciata dal compianto Stieg Larsson, scrivendo un thriller privo delle gelide atmosfere e degli scandali che avevano caratterizzato la trilogia di Uomini che odiano le donne e distante dalla consolidata banalità onnipresente nei paranormalamericani. Non c'erano violenze efferate, scottanti intrighi familiari, visioni o demoni. C'era questo e altro. L'eterna battaglia tra bene e male combattuta sul più fragile dei terreni. La mente umana. Dicono che non ci sia niente di più delicato e caduco di essa, ma Dorn, maestro annunciato di colpi di scena, fa vacillare ancora una volta le nostre certezze. Pensateci. La risposta la troverete proprio lì, rumorosa e innegabile che batte tra le pareti della nostra gabbia toracica. Il nostro cuore.Ha la grandezza di un pugno e una forma un po' goffa che i bambini scarabocchiano ovunque arrivino le loro manine paffute. Così piccolo, è la casa dei sentimenti più imponenti. Così indagato, è l'enigma più contorto. E cosa può esserci di più complesso del cuore di una donna? Nel suo terzo romanzo, l'autore della Psichiatra s'imbarca in un viaggio a senso solo tra le ombre più fosche dei sentimenti femminili e in una trama impenetrabile che affronta una delle tematiche più attuali, discusse e affascinanti di sempre: lo stalking. Una casa che diventa una prigione di paure, il pericolo ad ogni angolo, l'amore che regredisce in bramosia, un paio di tacchi slanciati che arrivano a calpestare qualsiasi intralcio ne ostacoli l'avanzare, un rossetto sgargiante che maschera il colore del sangue e le tenebre di una mente deviata. Nel thriller Attrazione fatale, il regista Adrian Lyne aveva analizzato per primo, tra scene conturbanti e violenza, i motivi che portavano una donna tradita a trasformarsi da regina del focolare a carnefice, da principessa a mostro. Dopo Hush e Obsessed, film che ne avevano seguito la sinuosa scia, pensavamo di averne viste abbastanza. Ma ci sbagliavamo ancora. La violenza perpetrata da un uomo è fisica, brutale: un livido violaceo su un volto tumefatto. Quella di una donna non lascia spazio all'ira. E' studiata, sottile, subdola. Non ci sono improvvisazioni, tutto è studiato nel dettaglio come se si trattasse dei preparativi di un matrimonio in grande stile. Come se la formula “finché morte non ci separi” , in tutta la sua sibillina sentenziosità, dovesse realizzarsi alla lettera. Coloro che, tra le pagine o sul grande schermo, l'hanno preceduto nell'impresa non avevano la stessa perizia e raffinatezza di quest'autore le cui splendide referenze fanno di lui una vera garanzia. Sulla copertina di Follia Profonda, la sua ultima fatica, spicca in perfetto rilievo sullo sfondo nero una rosa rossa. Il simbolo della passione per i colori dell'ossessione più radicata. Gli amanti del disegno concorderanno con me sul fatto che - con le sue mille sfumature, i petali flessuosi e leggiadri e un nucleo nascosto da una frusciante nuvola vermiglia – la rosa sia uno dei soggetti più difficili da rendere sulla bidimensionalità della carta. L'abilità di Dorn è come quella di un artista che non ha paura di perdersi nei labirinti più intricati, di osare e di tentare di dare concretezza a quello per cui le parole non bastano. Ha uno stile asciutto e scorrevole, scattante e ricco di dialoghi. I capitoli scorrono talmente veloci da non concederti scampo, eppure tra un colpo di scena che lascia sconcertati e il furore di un'indagine a colpi di sconvolgenti rivelazioni si trova spazio per racchiudere un giro di vite in tutta la loro dolorosa e incomprensibile completezza. Le case della città immaginaria di Fahlenberg, come i capitoli di un romanzo corale. L'animo umano vive nascosto e, quando si spezza, avviene in silenzio. Non ci sono schianti né tintinnii come la porcellana o il vetro. Solo quando è già troppo tardi, si vedono le schegge.Nell'arco delle pagine che lo compongono, Follia Profonda si mostra un thriller poliforme e di sconvolgente umanità. Nell'orrore di gesti scellerati che fomentano l'angoscia più insidiosa, le pagine trovano modo per parlarci di un quarantenne con la sindrome di Peter Pan, di un arzillo vicino di casa che – pure essendo in là con gli anni – cerca l'amore in chat, di un'ambiziosa segretaria tormentata dall'insicurezza, di una valente dottoressa che cerca in rapporti fugaci quello che il divorzio le ha sottratto, della perpetua di turno affamata di pettegolezzi e, ovviamente, di loro. Una lucida assassina dall'identità misteriosa e Jan, il suo salvatore, il suo oggetto del desiderio. Il protagonista, già noto ai lettori de Il Superstite, è uno psichiatra che, da un momento all'altro, si scopre vittima del male che da anni cerca di combattere. I volumi che ha studiato lo fanno apparire meticoloso e sicuro di sé, ma le sue notti sono piene di solitudine e inquietudine – perennemente in attesa della chiamata di una donna che ancora non impara ad amarlo come fa lui e ancorato alla volontà di una schizofrenica il cui volto non è altro che una cascata di capelli biondi in un banco di pioggia. Grazie al convincente alternarsi dei punti di vista, l'autore disegna una grata nella prigione della sua mente interrotta. Ce la mostra fragile, sottomessa, in attesa della chiave – stretta nel pugno dell'affascinante Jan – in grado di liberarla dai suoi demoni. La sua identità, come nel migliore dei thriller, rimane un dubbio assillante fino alla resa finale, ma i suoi gesti vengono narrati in presa diretta in capitoli essenziali e incredibilmente cupi in cui la penna si sofferma sul suo tocco mortale, sulle sue mani tremanti. Come nei film del Dario Argento dei tempi migliori, il suo volto rimane un'incognita, ma le sue mani, accompagnate da un'immaginaria e raggelante ninnananna, sono al centro di scene da brivido. Spezzano gli steli di un mazzo di papaveri, impugnano un gessetto impegnato in disegnini infantili, stringono una puntura letale, si uniscono in preghiera. Veramente impossibile non rimanere a bocca aperta dinanzi all'analisi di un disegno che non immaginavamo nemmeno potesse avere tanti significati occulti, o sussultare dinanzi a una confessione in cui è rivelato il più mortale dei peccati: l'omicidio. La grata di un confessionale come la veletta di una dark lady. Ambigua; vicina, eppure inviolabile. Unico neo di un thriller altrimenti sublime, i capitoli finali. Ricordo ancora che, da bambino, prima di leggere un romanzo di tal genere ero solito accertarmi che l'epilogo fosse dei più felici. Ma questo è uno dei tanti segni che, crescendo, sono cambiato un po'.. Il più abusato dei temi, rielaborato e approfondito ineditamente, utilizzato per omaggiare in sordina il più celebre dei film. Un dialogo silenzioso tra un valente allievo e uno dei suoi più importanti maestri. Un consiglio spassionato: leggetelo. In attesa del suo prossimo romanzo da brivido, provvederò a recuperare Il superstite. E' doveroso. Il mio voto: ★★★★Il mio consiglio musicale:  Luz Casal - Un año de amor 

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