Recensione. HUNGRY HEARTS di Saverio Costanzo: molto buono, da non perdere

Creato il 14 gennaio 2015 da Luigilocatelli

Hungry Hearts di Saverio Costanzo. Con Alba Rohrwacher, Adam Driver, Roberta Maxwell. Al cinema da giovedì 15 gennaio 2015.
Una coppia a New York – lui americano lei italiana – rischia di esplodere quando lei, incinta, diventa schiava di un’ossessione natural-purificatrice. No medicine, no proteine animali, e via così, in una paranoia da contaminazione. Nasce un bambino sottonutrito che non riesce a crescere e rischia la morte. Tra marito e moglie si scava un abisso. E il film diventa un vero e proprio thriller. Ottima riuscita di Saverio Costanzo. Presentato in concorso a Venezia 2014. Doppia Coppa Volpi, per la migliore attrice e il miglior attore, a Alba Rohrwacher e Adam Driver. Voto tra il 7 e l’8
Figuriamoci, quando l’han proiettato a Venezia – era lo scorso 31 agosto – la contro-claque degli antipatizzanti si stava già preparando all’assalto, agli sghignazzi, schiamazzi e fischi. Anche perché, per misteriosi motivi, Saverio Costanzo e Alba Rohrwacher sono tra i più detestati dal medio critico italiano. Invece al press screening Hungry Hearts ha ricevuto applausi su applausi, è piaciuto e ha convinto. E gli haters son stati zitti. Ottimo film, altroché. Che sa scavare a fondo in un inferno di coppia, con echi tra Antonioni e Bergman, ma che riesce anche a essere un thriller assai teso, con un finale da riuscito cinema di genere. Produzione italiana di italiani, e però di respiro naturalmente internazionale, non solo perché girata a New York, non solo perché prevalentemente in inglese, ma per la sagacia della costruzione e progressione drammaturgica e per l’uso della macchina da presa, mobile, prensile, con inquadrature qua e là deformanti a rafforzare i momenti più visionari e orrorifici. Hungry Hearts va dritto al cuore di quell’invasamento che ha espugnato in Occidente molte menti, in particolare femminili, l’ossessione di una vita, e di un’alimentazione, soi-disant naturali, o fantasmatizzate-fantasticate come tali. Il culto di un corpo purificato, non contaminato dalla medicina tecnologizzata, aperto invece a quel mare magno e indistinto delle cosiddette medicine alternative, dove tutto si mescola, il buono e l’utile al pessimo, al pericoloso, al cialtronesco. Tutto incarnato nella storia di una giovane coppia, lui americano, lei italiana a New York a lavorare nel giro della diplomazia. Si conoscono in modo insolito, e già questa scena iniziale ci dà qualche indicazione su quello che il film sarà. Mina e Jude si ritrovano intrappolati nel cesso di un ristorante cinese, con la porta bloccata, e lui in preda a convulsioni intestinali per ingestione di pesce sospetto. Ci si può conoscere così? ci si può innamorare così? Loro si innamorano, vanno a vivere insieme (a Brooklyn, dove se no?), lei resta incinta (“no, non venirmi dentro”, implora, e invece lui macché). Mina si mette in testa, suggestionata da una clairvoyante, che il figlio è un bambino indaco, una strana creatura venuta da altri mondi. Traducendo tutto questo in un’ossessiva attenzione per il proprio corpo in gravidanza e il feto, rifiutando quella che lei ritiene ogni forma di contaminazione, dalla consulenza dei ginecologi alle medicine (“sono veleno”). Elimina dall’alimentazione le proteine, causando problemi a se stessa e al bambino. Il parto è a rischio, ma Mina non vuole saperne del cesareo. Glielo praticheranno a sua insaputa, dopo averla sedata. Il dramma vero comincia dopo, quando a causa della crescente paranoia di Mina verso cibo e farmaci, il bambino non ce la fa a crescere, rischia la denutrizione e il rachitismo. E tra marito e moglie comincia la crisi. Mina si arrocccherà sempre di più nel suo bozzolo ossessivo, Jude cercherà disperatamente una soluzione che gli permetta di salvare insieme il figlio e il matrimonio. Un crescendo che Costanzo riesce ad orchestrare benissimo, inchiodandoci tutti alla poltrona. Ci saranno sviluppi drammatici, e un gran colpo di scena finale. Un film che tiene senza mai un rallentameno e un calo di tensione. Ben scritto, benissimo girato, in uno stile da indie-movie da Sundance. Scusate, una volta tanto che ci troviamo in casa e a un festival un film italiano così lo dobbiamo maltrattare? Hungry Hearts ci pone di fronte all’integralismo ecologista-naturalista, sa indagare con sottigliezza lo stato delle cose della media coppia di oggi, strutturando l’eterna differenza uomo-donna secondo forme contemporanee. Assistendo a questa gravidanza così carica di fantasmi e deliri, non si può non pensare a Rosemary’s baby e a Mia Farrow. Alba Rohrwacher era l’unica attrice possibile per un ruolo così, e difatti è perfetta. Adam Driver si porta dietro tutto il recitare naturalistico americano, così poco presente nel nostro cinema. Con tutto il carico di follia nella parte femminile della coppia, questo è il nostro Gone Girl. Ispirato a Il bambino indaco di Marco Franzoso, Einaudi.


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