Recensione: IL CASO SPOTLIGHT. Un buon film che non mi è piaciuto. Ecco perché

Creato il 22 febbraio 2016 da Luigilocatelli

Il caso Spotlight (in originale: Spotlight), un film di Tom McCarthy. Con Michael Keaton, Mark Ruffalo, Rachel McAdams, Liev Schreiber, Stanley Tucci.
Ricostruzione dell’inchiesta giornalistica che portò il Boston Globe nei primi anni Duemila a scoperchiare il verminaio dei preti pedofili. Avvincente. Perfettamente scritto, diretto, recitato (e Michael Keaton è grandissimo). Però pure fastidiosamente manicheo e semplificatorio. Assurdo il titolo italiano: Spotlight è semplicemente il team del Boston Globe che indaga, non esiste nessun caso Spotlight. Voto 5Che applausi, quando l’han dato in proiezione stampa lo scorso settembre alla mostra di Venezia (dov’era fuori concorso). E quanta indignazione contro la Chiesa (cattolica romana) accusata nel film di avere per anni, per decenni, insabbiato il verminaio dei preti pedofili della diocesi di Boston. E che buuh dalla politicamente correttissima platea-stampa quando le note finali ci avvertirono che l’arcivescovo Law, da Spotlight indicato come responsabile dell’occultamento di fatti fattacci e prove (“sapeva e non denunciò”), era stato sollevato dal suo incarico per essere trasferito presso la basilica di Santa Maria Maggiore a Roma.
Ecco, di fronte a simili reazione, io che sono laico e però assai rispettoso della religione e pure della Chiesa e del suo magistero e della sua tradizione che ritengo ineludibili, divento una bestia. Non lo reggo più questo laicismo becero degli attacchi aggratis e a prescindere alla Chiesa, non sopporto lo stolido pregiudizio anticristiano ormai di massa, specie nell’Italia che si sente più colta e antropologicamente superiore (a chi? a che cosa poi? ma quando mai). Spotlight è film assai abile e ben girato, benissimo scritto, con una di quelle seneggiatura d’acciaio che solo gli americani, e da noi mai. Perfetta e avvincente ricostruzione dell’inchiesta che, agli inizi degli anni Duemila, portò il Boston Globe, storico e radicato quotidiano di una città a forte insediamento cattolico-irlandese, a scoperchiare i molti casi, decine e decine, di preti pedofili. Mesi di muniziose indagini, di ricerca delle fonti, di reperimento di testimoni, di verifiche su verifiche per incastrare non solo i singoli sacerdoti colpevoli, ma per muovere l’attacco al palazzo, alla stessa diocesi di Boston, nella persona del suo responsabile, il cardinale Law, accusato di non essere intervenuto pur essendo a conoscenza dei fatti. Di aver nascosto e sopito per non far esplodere la bomba, facendo trasferire di volta in volta i preti pedofili in altre parrocchie o in strutture di riabilitazione segrete e quasi reclusive. Protagonista, del film e dell’inchiesta (ah, signora mia, il glorioso giornalismo investigativo come oggi non si fa più!) il team del Globe detto Spotlight, un pugno di reporter-detective sotto la guida di un redattore anziano che ne ha viste di ogni, e che è un Michahel Keaton bravissimo, capace di infinite sfumature, di complessificare e conferire penombre praticamente da solo, per merito di bravura propria, a un film che di sfumature non ne ha, irrimediabilmente manicheo com’è nel suo impianto narrativo e concettuale. Tutto un buoni-contro-cattivi, un lotta del Bene contro il Male dove dalla parte del male viene ovviamente collocata la chiesa cattolica del Massachusetts e, in controluce, la Chiesa tutta. Per carità, vorrei ribadirlo forte e chiaro: sacrosanto andare a stanare e denunciare coloro (quasi novanta) che lì, in quella diocesi, si erano macchiati di orrori a danno di ragazzini che avrebbero poi tutti pagato carissimo le violenze subite, qualcuno col disadattamento perenne, qualcuno con il suicidio. Sacrosante denunciare chi ha cercato di insabbiare. Il brutto di Spotlight è la semplificazione, l’additare tutta la struttura ecclesiastica come colpevole, alludere ai responsabili della diocesi e al cardinale Law come a una sorta di cupola mafiosa connessa da infiniti invisibili fili al potere anche politico della città. Fin quasi a suggerire allo spettatore che la pedofilia è inscritta nello stesso codice della Chiesa, ne è una tara strutturale, qualcosa di impastato alla sua stessa essenza: “tutto risale alla costrizione al celibato dei sacerdoti”, dice a un certo punto qualcuno, ed è, francamente, una sciocchezza. Alla fine compare l’elenco di tutte le parrocchie della diocesi in cui si verificarono le violenze, poi quelle di tutti gli Stati Uniti, poi gli altri paesi del mondo toccati da casi analoghi. Non ci viene detto, ma suggerito sì, che la pedofilia di matrice cattolica è un mostro, una piovra che ha esteso e forse continua a estendere i tentacoli in tutto il mondo. E questo, consentitemi, è non solo un’idiozia, ma visione assai pericolosa, perché non si tratta più di denuncia, ma di mostrificazione. Quanto sia stato devastante quello scandalo di Boston lo si vede ancora oggi che, nel famoso immaginario collettivo planetario, la Chiesa è spesso inconsciamente, e non solo inconsciamente, associata alla pedofilia. Spotlight è un buon film che avrà un enorme successo e un enorme impatto (secondo me arriva in zona Oscar), ma con il torto, soprattutto nell’ultima parte, di passare dale accuse ai singoli colpevoli alla demonizzazione di un mondo. Cast di lusso, Mark Ruffalo, Rachel McAdams, Stanley Tucci, Liev Schreiber. Tutti bravi, nessuno però come Michael Keaton.