Recensione "Il corridoio di legno" di Giorgio Manacorda

Creato il 17 novembre 2012 da Alessandraz @RedazioneDiario
Pubblicato da Stefania Auci Cari lettori, nel momento in cui un libro arriva nel novero di romanzi da cui sarà tratta la cinquina che concorrerà al premio Strega, si crea una grande aspettativa. Si cerca di capire chi sono questi autori, cosa hanno scritto per arrivare a simili vertici, che tesori nascosti celino tra le pagine... Ebbene, Il Corridoio di legno di G. Manacorda è un romanzo che apparteneva alla schiera di Finalisti. E, dopo averlo letto, ho iniziato a chiedermi come questi libri vengano selezionati. Perchè questo romanzo è una clamorosa occasione mancata che ha ingenerato in me una potente delusione. Titolo: Il corridoio di legno Autore: Giorgio Manacorda Editore: Voland Edizioni Pagine 160 Prezzo: euro 13,00 Pubblicato nel 2011
Trama Un poliziotto, atterrato a Berlino per un’indagine, torna al collegio in cui ha passato la sua adolescenza. Il collegio in cui si è formato un gruppo di amici che hanno dato origine alla lotta armata, una volta tornati in Italia. Per ragioni del tutto personali, vuole capire cosa è successo, da quale male privato è nato il male pubblico. Così ricostruisce la vicenda di due fratelli, dei loro sodali e delle loro donne tra Berlino, Roma e una piccola isola persa in un lago. Il tutto in uno scenario dominato dalle milizie di un regime autoritario, conseguenza della contestazione e del terrorismo. Un romanzo radicato nella concretezza dei luoghi ma fantastico quanto alla dimensione storica. La realtà non è andata così, ma così poteva andare a finire.

RECENSIONE Due fratelli: Andrea e Silvestro. Un gruppo di amici, un collegio a Berlino, una voce narrante, un’Italia distopica e malata. Sulla carta, i numeri de Il corridoio di legno sono validissimi: una storia di amicizia e legami familiari, intrisa di rancore, malinconia, passioni forti e ricordi che si mescolano a un presente oscuro. C'è un maC’è uno iato spaventoso tra le premesse e il risultato, tra una trama – buona e originale – e una scrittura pesante, che gronda autocompiacimento. Il corridoio di legno è un'occasione mancata: è un testo penalizzato da un impianto narrativo eccessivamente pieno di rimandi e da uno stile che ne rende ostica la leggibilità. L’atmosfera cupa è sottolineata dalla prima persona narrante, un poliziotto italiano che torna a Berlino dopo molti anni di assenza, nel collegio dove aveva conosciuto i due fratelli Andrea e Silvestro, oltre a un gruppo di ragazzi che diventeranno i sodali di Silvestro nella sua lotta per ottenere il potere in un’Italia governata da una dittatura militare di chiaro stampo sudamericano.

La narrazione è subito appesantita da una serie di flashback che compongono la prima parte del romanzo, e che vorrebbero raffigurare l’atmosfera tetra del collegio in cui si avvicendano momenti di evasione – spesso a carattere sessuale – a descrizioni di episodi di bullismo di cui Andrea era vittima. Berlino è descritta in maniera didascalica, così come accade per Roma, dove l’enumerazione delle strade è degna di una guida turistica. L’Autore conosce i luoghi, si capisce, ma non riesce a descrivere l’anima delle città che rappresentano lo scenario della vicenda. I personaggi sono presentati come monadi prive di una vera capacità di comunicazione, soli e disperati. Questa solitudine non abbandona i personaggi nella seconda parte del romanzo, scritta in forma epistola , con lunghe digressioni che colmano i vuoti della vicenda e che spiegano la sparizione di Andrea. Infine la terza parte è narrata dal punto di vista di Silvestro, il fratello ambiguo e squadrista, che appare traditore di un ordine politico e morale che lui stesso ha contribuito a creare.


Il romanzo si arrotola su se stesso, finendo per devastare il lettore, che termina la narrazione chiedendosi quale sia la morale, lo scopo o più semplicemente la trama di questo scritto. Perché questo romanzo avrebbe potuto essere tranquillamente un racconto, un romanzo breve, guadagnandone in efficacia e leggibilità. Lo stile è auto-celebrativo, complesso e privo di quella poesia cui ambisce: lunghe frasi appesantite da una pletora di aggettivi, successioni di coordinate e di paratassi con una punteggiatura limitata al minimo, dialoghi inconsistenti. 

La tetraggine (e la noia) delle situazioni è resa non tanto dalla descrizione delle stesse ma per l’estenuante sfilza di ripetizioni che appesantiscono la narrazione. Insomma: un libro pesante e di difficile lettura, che stanca il lettore e che lo lascia con una sensazione di irritazione e di insoddisfazione per una lettura in cui ha investito tempo e impegno che avrebbero potuto essere usati altrimenti.

La pecca maggiore, a mio parere, è aver scritto una storia senza anima più simile a un esercizio di stile, in cui si fa mostra di un lessico inutilmente barocco ed affettato. Infine una frase, una considerazione polemica: come ha fatto un libro sfacciatamente pseudointellettuale ad arrivare alla selezione del Premio Strega? C’è davvero da riflettere su questo… L'Autore:

Giorgio Manacorda è nato a Roma nel 1941. Ha insegnato letteratura tedesca all’Università della Calabria e all’Università della Tuscia. Ha scritto vari saggi su autori di lingua tedesca (da Goethe a Heiner Müller passando per Hofmannsthal, Roth, Kafka, Bachmann e altri) e si è occupato di poesia italiana contemporanea. Il suo libro più recente è Scrivo per te, mia amata e altre poesie (1974-2007), Scheiwiller 2009. Il corridoio di legno è il suo primo romanzo.

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