Recensione "Il divoratore" di Lorenza Ghinelli

Creato il 30 giugno 2011 da Alessandraz @RedazioneDiario
Cari lettori, 
oggi ci occupiamo di un romanzo che sta facendo molto parlare di sé. Perché Il divoratore di Lorenza Ghinelli suscita emozioni contrastanti: lo si ama, oppure lo si odia. Un thriller soprannaturale dalle forti tinte noir, che tocca anche la violenza domestica. Un romanzo che ti arriva allo stomaco, nel bene e nel male. E qui, di male con la M maiuscola ce n’è a bizzeffe. 
Stanotte ho sognato l’arco della mia città al centro del mare; le fondamenta sommerse. Era l’unica creazione umana in mezzo all’acqua, fin dove lo sguardo potesse arrivare. Troneggiava. Era bellissimo.  
Lorenza Ghinelli è un’autrice che non ama futili giri di parole. Pochi tratti, pochi colori ed ecco che l’universo da lei creato appare davanti ai nostri occhi. Semplice ed essenziale, il suo stile chiede l’aiuto del lettore: ciò che manca, viene creato dalla nostra fantasia, dal nostro intuito. 
Difficile scrivere un breve riassunto del romanzo, perché la storia di per sé è semplice ma l’intreccio lo rende di difficile descrizione. Per cui lo si potrebbe riassumere così: Il divoratore è una storia di odio, di un bau bau che si nasconde dietro un albero e che è pronto a cibarsi di quell’odio. E’ la storia del male che si trova nel cuore di un padre violento, è il male concreto del volto di un essere raccapricciante. E’ persino una storia di vendetta e rivalsa.    
Poté sentire la puzza del suo fiato. Sapeva di carta, di muffa, di cantina e di colori a olio. Poi vide il nero delle pupille cambiare, lo vide diventare viscoso e poi aprirsi, come un sipario sul niente. Il buco nero dell’universo. 
Saltando ripetutamente dal 2006, anno in cui si svolge il romanzo, al 1986, anno in cui avviene l’antefatto, la Ghinelli riesce a tenere alta la tensione, ad incuriosire il lettore che inevitabilmente viene risucchiato dalle pagine del romanzo. La bravura dell’autrice è quella di farci intuire fin dall’inizio cosa sia questo divoratore e quale sia il suo compito, ma facendo ugualmente tenere alta la nostra curiosità. Cosa sta per accadere? Cosa c’è dietro quella porta? 
L’autrice, infatti, crea situazioni ad alta tensione, giocando sul vedo e non vedo, su rumori sinistri, su ombre sfuggenti ma senza cadere in clichè di genere. Ironica quando occorre, riesce a destreggiarsi fra momenti drammatici e quelli più squisitamente sarcastici che servono a regalare un attimo di respiro al lettore. Perché elemento preponderante del romanzo resta comunque la violenza.
Ivan era diventato paonazzo e nella cucina si spargeva, come in ogni stanza in cui si soffermava per più di una manciata di minuti, un acre odore di vino stantio, che a Filippo faceva venire i brividi perché preannunciava sempre botte.
I più deboli sembrano, infatti, soccombere alle violenze e i soprusi dei più forti, sia che si tratti di maltrattamenti fra compagni di classe, oppure di quelli di un padre verso la moglie e il figlio. Fin dalla prima pagina, prendono vita immagini crude che a volte toccano toni fastidiosi. Come contrasto di tale brutalità appare l’Innocenza. Quella da preservare, da salvaguardare, rappresentata dal personaggio di Pietro. 
Pietro ha i capelli fini, biondo grano. Tagliati male. Pietro ha il terrore delle forbici, se le vede urla. Così i capelli glieli taglia sua madre, nel sonno. Pietro è alto un metro e sessanta. Pesa cinquanta chili. E’ il più grosso, il più grande e il più bello di tutti loro. Ma questo a loro non importa. O forse sì. Anzi. E’ soprattutto per questo. Perché è bello. Scemo. Predabile.  
Affetto da sindrome di Asperger, ovvero autismo ad alto funzionamento, Pietro non concepisce la malizia, la crudeltà. Comprende la presenza del Male ma non capisce la ragione della sua esistenza. 
Alice, sua tutrice, la si potrebbe definire il guardiano di questa Innocenza. Battagliera e determinata, lotta con le uniche armi in suo possesso, in primis la psichiatria, per proteggerlo ed aiutarlo. I due personaggi si completano a vicenda, sia caratterialmente che per la loro storia personale, creando i più bei momenti di pathos del libro, fino ad un paio di scene divertenti.  
L’usurpatore dell’Innocenza è questo Divoratore, che per natura lo si potrebbe associare al mostro It di Stephen King. Non lo senti arrivare ma all’improvviso lo trovi di fronte a te. Sembra quasi un innocente vecchietto, un ubriaco spaurito. Poi il mostro prende il sopravvento ed allora è troppo tardi. Inquietante e angosciante, la forza di questo personaggio sta proprio nel suo contrasto fra l’essenza di mostro e quella di innocuo vecchietto.
Pochi i personaggi di contorno, fra cui i genitori di Pietro e lo psicanalista; sicuramente fra questi c’è da annoverare Stefano, il compagno di Alice. Ragazzo comprensivo, razionale ed intelligente, è l’unico a cui la Ghinelli affida il compito di creare momenti divertenti e di spiccata ironia. 
Stefano armeggiava con un cacciavite, lo aveva infilato nella fessura scheggiata della porta. “Datemi una leva e solleverò il mondo un cazzo…”.            
Sostanzialmente Il divoratore è un libro adatto a stomaci più forti, che amano quella sensazione di brivido lungo la schiena e che prediligono l’inquietudine. Fondandosi sulle paure di bambini e di adolescenti, vien da sé che nel leggerlo ritornino in mente vecchie paure ancestrali con cui tutti da piccoli abbiamo fatto i conti. L’uomo nero, in fondo, lo abbiamo incontrato tutti nei nostri incubi. 
L'AUTRICE: 
Nata a Cesena nel 1981, è diplomata in grafica pubblicitaria, fotografia, web design e montaggio digitale. Laureata in Scienze della Formazione, ha conseguito, presso la Scuola Holden di Torino, il Master in tecniche della narrazione. Autrice di vari racconti, opere teatrali e cortometraggi, ha scritto Francis degli specchi, un romanzo disegnato da Mabel Morri. Nel 2010, insieme a Simone Sarasso e Daniele Rudoni, ha pubblicato J.A.S.T. Vive a Roma dove lavora come editor e sceneggiatrice per la Taodue.

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