Recensione: Il favoloso libro di Perle, di Timothée de Fombelle
Creato il 16 ottobre 2015 da Mik_94
Le
storie ci fanno cambiare. E certi incontri ci rovesciano sul dorso,
come succede alle tartarughe. Ci costringono a lasciarci sopraffare.
Titolo:
Il favoloso libro di Perle
Autore:
Timothée de Fombelle
Editore:
Mondadori
Numero
di pagine: 308
Prezzo:
€ 16,00
Sinossi:
Olia
è una fata che ha rinunciato ai suoi poteri per amore di un principe
cadetto. Ma quando finalmente si ricongiunge a lui, scopre che è
stato assassinato. Oppure no? Infrangendo il confine tra i mondi, il
giovane llian è scivolato in un'altra realtà. Non meno pericolosa
perché il ragazzo smarrito viene accolto nella famiglia Perle
proprio mentre sul futuro degli ebrei francesi si addensano nere nubi
temporalesche. Intanto la fata è condannata a stargli accanto e
insieme lontana, per anni e anni, per tutta una vita umana. Questa è
la storia che il narratore piano piano ricostruisce, a partire dal
muro di valigie che un bizzarro collezionista cela nella sua casa tra
le paludi, là dove il fiume scompare nelle pieghe delle mappe.
Dentro ci sono segreti, risposte, prove. Di cosa? Basta una vita
intera per trovare la strada del ritorno?
La recensione
“La
felicità è quella danza in cui ci si avvicina e ci si allontana,
senza perdersi.”
In
libreria, tappa fondamentale al centro commerciale, anche con il
portafoglio vuoto e il tempo che scarseggia, faccio giri veloci tra
le corsie, sbircio quel libro e quell'altro, soppeso - tra le mani -
la consistenza di romanzi che, dal vivo sono più leggeri o più
pesanti, più sottili o più doppi di quanto pensassi guardandoli al
computer. Faccio in fretta, di solito, per perdermi in un punto in
particolare del negozio. Io e le buste della spesa, la sezione dei libri per l'infanzia.
Lontani dai best seller, racchiusi in una bolla per pochi, sono
immensamente avventurosi e delicati nelle loro copertine splendide e
in trame che non conoscono la volgarità o il contingente. Per
questo, magici come tutto ciò che, per sua stessa natura, è incorruttibile. Mi
distrae, ogni tanto, un cellulare che vibra, una certa ora che si avvicina,
il pensiero che – con me che indugio, con il naso all'insù – i
surgelati si scongelino e le uova si schiudano. Ma quanto sono belle
quelle illustrazioni; quanto? Quanto potenti le promesse di quelle
storie romantiche e fantasiose che – quando avevi l'età – ti eri
negato e, per recuperare il tempo perduto, leggi adesso, con occhi
incantati e animo placido? Tanta indecisione – quale comprare e a
quale grande bellezza rinunciare - e il ricordo di un consiglio
fidato. Eccolo lì, l'ultimo Timothée de Fombelle, sull'ultimo
ripiano: quarantenne francese, creatore di storie universali i cui
titoli, in quei momenti fatidici, mi sfuggivano, ma facevano
senz'altro rima con l'imperativo categorico: “leggilo,
leggilo”. Il favoloso
libro di Perle – dopo le serie Tobia e Vango –
è una fiaba contemporanea e autoconclusiva, un magnifico racconto tripartito che nel
titolo, dal passaggio all'italiano, trova un
meritato aggettivo à la Jeunet e la copertina più bella apparsa
quest'anno su un qualsiasi scaffale al mondo. L'illustrazione di
Mariachiara Di Giorgio coglie, a colpo d'occhio, tutto quello che c'è
da cogliere e, davanti a una simile cura, le parole a che servono?
Il
favoloso libro di Perle è la
meravigliosa favola che la sua veste grafica promette: parigina e
notturna, misteriosa e emozionante. Giocare alle ombre cinesi e, alle
porte del crepuscolo e del sogno, mimare alberi antichi e erbe alte, muri di valigie e
siepi, castelli e bistrot. Tre sagome – per tre grandi
personaggi – che si sfiorano senza toccarsi. Quella di Olia e
Ilian, una fata e un principe separati dal male e uniti dalla
speranza, e di un narratore anonimo, forse lo stesso de Fombelle a
caccia di lucciole e ispirazione, che ricostruisce
lentamente i tasselli del loro breve amore e i cocci del
loro addio. Esiliati “nell'unico tempo e nell'unica
terra dove non si crede né alle favole né alle fate”, condannati
come Orfeo ed Euridice a essere vicini ma a non guardarsi,
riusciranno a provare l'esistenza di un regno impossibile prima che
sia troppo tardi? De Fombelle incanta all'istante, complice una prosa
che è un'autentica carezza, e cattura pian piano, mentre la trama si
infittisce ma tutto si fa chiaro. All'inizio, ci sono
vicende che non si incastrano a pennello: costruite con tessere di un
puzzle diverso – una ambientata in mondi paralleli, l'altra nella
Francia sotto assedio – incuriosiscono e intrigano, perché è
forte il desiderio di sapere cosa abbiano i comune quei Romeo e
Giulietta di fantasia, il figlio adottivo dei coniugi Perle –
ragazzo dalla doppia esistenza e dal doppio nome - e un adolescente
innamorato che fotografa ruderi e rane.
E c'è una tale
simmetria, una tale precisione che, facendo due calcoli, potrei quasi
giurarvi che a ognuna di quelle storie sia dedicato lo stesso spazio.
Anni e attimi, capitoli e frasi, in cui si parla dei viaggi per mare
di un collezionista instancabile – eroe di guerra, orfano,
pasticciere – che cerca le prove del mondo da cui
proviene per spezzare un antico incantesimo. In bagagli di cuoio e
cartone, assurde pareti di una capanna non segnata sulle carte
geografiche, i frammenti di una Atlantide condannata all'oblio –
una biglia, la squama di una sirena, un pezzo di culla, i ricordi di
un amore minacciato da un sovrano crudele – e le
infinite mete di un protagonista che, come il mitico Forrest Gump,
passeggia nella storia dell'occidente e nei mulinelli turbinosi dei
giri di vite. Il favoloso libro di Perle parla
di un bacio maledetto dalle stelle – e i passi degli innamorati che
sono costretti a dirsi addio sono i più belli, perché sembrano una
danza – e del dovere morale di affidare la propria storia a
qualcuno, per morire senza sparire. Quello sono gli scrittori d'ogni
dove: medium, ambasciatori, intermediari con altri mondi. Con Timothée
de Fombelle, così bravo da non crederci, non è scrivere un romanzo,
la questione, ma raccontare una storia nella maniera più nobile. Non è riempire una pagina
vuota, ma recuperare l'arte persa degli aedi – e i castelli
usurpati dai traditori – che non scrivevano, ma cucivano insieme
scampoli di storie. Con filo e inchiostro. Per un lapsus, prima, ho
scritto cucinavano e Word mi ha prontamente corretto. Ma, se di cucina si parlasse, l'imprevedibile storia di Olia e Ilian sarebbe
una delizia da cuocere a fuoco dolce. Un magico elisir in cui la tecnica
acquisita e la tanta pazienza fanno la differenza; l'eredità di una
nonna un po' maga. E finché ci si crede, nelle leggende popolari e
in cibi che stravolgono il tuo umore da così a così, certe
tradizioni, e certe fate, poi non muiono.
E chi non muore – però si
ama – alla fine si rivede.
Il
mio voto: ★★★★
Il mio consiglio musicale: Christina Perri –
A Thousand Years
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